All’inizio sembrava solo un ragazzone allegro e sorridente. Un’impressione fuorviante, naturalmente. Ma Kobe Bean Bryant ha dovuto lavorare sodo per dimostrare a tutti che niente poteva scalfirlo. Soprattutto nel corso della sua tormentata stagione d’esordio. Ero lì la sera in cui segnò i suoi primi punti su azione nella Nba, con un tiro da tre allo Charlotte Coliseum, nel dicembre del 1996. A fine partita, rientrò caracollando nello spogliatoio e mi dedicò un vigoroso soul shake – palmi a contatto, dita a uncino e un bello strattone. Non aveva la minima idea di chi fossi, se non uno dei tanti giornalisti armati di registratore e blocchetto. Ma aveva troppa voglia di festeggiare insieme al mondo. (Roland Lazenby)
Showboat, la vita di Kobe Bryant. Quando il figlio di Jellybean Bryant arrivò nella Nba, a diciott’anni, molti pensavano che fosse ancora immaturo, se non addirittura un bluff: un ragazzino viziato che voleva scimmiottare Jordan e usurparne lo scettro. Per qualcuno invece era l’erede designato.
Nei playoff, nel momento più atteso, quel ragazzino scagliò quattro tiri maldestri e trascinò i suoi Lakers nel baratro. Fu il primo esame dell’educazione cestistica di Kobe Bryant, e da allora le critiche non lo avrebbero più abbandonato.
Dicevano che tirava troppo, che non giocava per la squadra, che era un «corpo estraneo». Eppure Bryant ha saputo costruirsi una carriera stellare, giocando vent’anni con la stessa maglia, segnando ottantuno punti in una sola partita, vincendo cinque anelli e due ori olimpici.
E col tempo ha dimostrato di essere «l’agonista più compulsivo nella storia del basket», disposto a fare il vuoto attorno a sé pur di conquistare il trono della Nba.
Con la consueta eleganza, intrecciando statistiche, cronache sportive e interviste, Roland Lazenby ci offre un nuovo ritratto in chiaroscuro di un campione unico, raccontandoci le prodezze sul campo e gli enigmi dell’uomo: i conflitti con i genitori, il rapporto con la moglie – «la nuova Yoko» -, le accuse di violenza sessuale.
Senza mai dimenticare la saga dei Lakers e le lotte per il potere tra Bryant e Shaquille O’Neal, che chiamava il rivale «Showboat» per irridere le sue smanie di protagonismo. Kobe preferiva «Black Mamba», come il rettile feroce di Kill Bill.
Docente di giornalismo e scrittura alla Radford University e alla Virginia Tech, Roland Lazenby è un giornalista e uno scrittore prolifico. Ha al suo attivo oltre cinquanta libri, molti dei quali dedicati a personaggi di spicco del football americano e del basket, tra cui Jerry West e Phil Jackson.
Sue anche le ricostruzioni di alcune memorabili stagioni dei Chicago Bulls e dei Los Angeles Lakers del passato.
Per 66thand2nd è uscito il bestseller Michael Jordan, la vita (2015), la storia definitiva del più grande cestista di tutti i tempi, di cui Showboat, la vita di Kobe Bryant è una sorta di inevitabile e avvincente sequel.