È confermato, alcuni pozzi e terminali di collegamento in territorio libico, principalmente nella zona est e centrale del Paese, hanno sospeso la produzione di olio e gas, eseguendo le disposizioni di well closing production del flusso ai centri di trattamento dei siti.
Alcune zone portuali – al momento si avrebbe certezza di quelli di Ras Lanuf, Brega e al-Sidra – adiacenti le baie di carico delle petroliere, che si trovano attualmente sotto il controllo delle milizie tribali, sono state poste in chiusura.
È confermato inoltre che alcuni gruppi riuniti in tribù hanno dichiarato la loro appartenenza alle forze del generale Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica nemico di Fayez al-Serraj, presidente del governo libico riconosciuto dall’Onu che ha sede in una Tripoli assediata.
Ora si attende di conoscere – presumibilmente nelle prossime ore – l’esatto numero di pozzi dell’Eni (l’ente petrolifero italiano) che sono stati chiusi, allo scopo di quantificare il danno ammontante derivato dalla mancata erogazione effettiva dei flussi.
«Non temiamo una ripercussione alla compagnia petrolifera italiana – ha affermato Michele Marsiglia, presidente di FederPetroli Italia -, infatti, sia per Haftar che per Sarraj, l’Eni risulta indispensabile al fabbisogno energetico del loro paese. La preoccupazione più grande è invece assistere a un’evidente sabotaggio industriale a danno della National Oil Corporation libica, oggi senza più alcun potere decisionale. Senza l’energia prodotta dall’Eni il paese libico raggiungerà in pochi giorni uno stato di default energetico. Per quanto concerne la Conferenza di Berlino, a nostro avviso potrebbe essere un elemento di distrazione per un’avanzata strategica verso la città di Tripoli».
Si tratta dunque di un pessimo segnale fatto pervenire all’immediata vigilia del vertice negoziale in programma nella capitale tedesca.
«Un grave segnale per la Conferenza di domani – ha dichiarato lo stesso Marsiglia – Qualche giorno fa avevamo espresso la convinzione che la politica libica fosse dettata dalle tribù che popolano il Paese nordafricano e che di esso sono il vero tessuto sociale. Tribù che da anni risultano vicine e proteggono Saif al-Islam Gheddafi, non è quindi da sottovalutare questa mossa sull’indotto strategico petrolifero del Paese che attendevamo e avevamo annunciato da mesi».