Ufficialmente, la ragione alla base del vertice africano di Pau convocato dal presidente francese è stata il pericolo costituito dalla presenza e dal controllo di non poca parte della regione saheliana da parte delle formazioni radicali islamiste e jihadiste, reso ancor più allarmante dal recente moltiplicarsi degli attacchi di natura terroristica.
Un incontro inizialmente programmato per il 16 dicembre scorso ma poi rinviato, che ha avuto luogo all’indomani di un attacco sferrato contro l’esercito nigeriano dalle formazioni armate jihadiste riconducibili a Boko Haram. Nel corso dell’azione compiuta nel campo di Chinégodar, una località non distante dal confine col Mali, sono stati uccisi ottantanove militari di Niamey, mentre settantasette sono stati gli jihadisti morti.
Una strage che ha seguito quella perpetrata un mese prima, quando – sempre in prossimità della frontiera maliana – a perdere la vita per mano di sospetti miliziani jihadisti furono più di settanta soldati nigerini, personale di stanza nella base di Inatés, nella regione di Tillaberi nel Niger occidentale.
A Pau, città d’arte della Nuova Aquitania nella Francia sudorientale, l’inquilino dell’Eliseo ha chiamato a raccolta proprio tutti: dai presidenti del G5 Sahel (Ciad, Burkina Faso, Mali, Mauritania e Niger) al segretario generale dell’Onu Antonio Gutérres e al presidente della Commissione dell’Unione Africana Moussa Faki, fino a quello del Consiglio europeo Charles Michel.
Scopi dell’iniziativa francese sono stati la valutazione delle possibili iniziative da intraprendere per contrastare il fenomeno jihadista nella regione è il rafforzamento della cooperazione militare mediante la concentrazione degli sforzi profusi sul piano militare sotto un’unica direzione, quella di un comando congiunto delle forze schierate sul campo.
In particolare, nell’immediato i rispettivi sforzi in campo militare verranno concentrati sotto il comando congiunto della forza Barkhane e della Forza congiunta del G5 Sahel, questo – si è affermato -, al fine di coordinare meglio l’azione di contrasto dei jihadisti.
Il nuovo dispositivo posto sotto la sostanziale direzione di Parigi – maldigerita dai partner saheliani – si chiamerà «Coalizione per il Sahel» e opererà nelle tre aree di confine tra Mali, Burkina Faso e Niger, cioè quella vasta area dove si concentrano gli attacchi jihadisti, soprattutto dei combattenti dello Stato islamico del Grande Sahara (EIGS).
«La Francia e i paesi del G5 Sahel deciso di rafforzare la loro cooperazione militare, di fronte all’ondata di attacchi jihadisti che sta interessando la regione».
Questo si leggeva nella dichiarazione congiunta resa al termine del vertice, un documento nel quale i cinque Paesi del Sahel esprimevano l’auspicio riguardo alla «prosecuzione dell’impegno militare francese nella regione».
«Nel corso del vertice – proseguiva il testo – il presidente francese e le sue controparti africane hanno anche concordato di istituire un nuovo quadro politico, strategico e operativo».
Ma se osservate in controluce, le dichiarazioni ufficiali rese al termine del vertice si nota la filigrana degli evidenti problemi che, non da oggi, affliggono Parigi nell’Africa subsahariana.
Venerdì scorso migliaia di persone sono scese in piazza a Bamako protestando contro la presenza delle truppe francesi in Mali, mentre il vertice di Pau è stato percepito più come una convocazione da parte di Macron che come un invito.
Oltre alla chiara presa di posizione a uso mediatico in risposta al crescente sentimento anti-francese che da tempo monta nella regione africana (in particolare in Mali e in Burkina Faso), contestualmente Macron persegue anche altri fini.
La Francia è in difficoltà e, a fronte di un necessitato rafforzamento del loro dispositivo militare francese nello specifico teatro, che vuol dire più uomini dell’Armée da schierare sul terreno a rischio sovraesposizione, quindi vorrebbe coinvolgere nella mobilitazione le forze dei Paesi europei.
Ecco quindi il progetto di costituzione del raggruppamento di forze speciali europee denominato «Takuba», che troverebbe integrazione nel citato comando congiunto in una fase nella quale gli usa avrebbero preso in considerazione la possibilità di un loro graduale disimpegno dal Sahel, per quanto possano valere le notizie di disimpegni militari americani nel MENA (Medio Oriente e Nord Africa) provenienti dagli uffici dell’amministrazione repubblicana attualmente in carica a Washington.
Non sono poche le perplessità manifestate riguardo all’impegno militare africano di Parigi, anche oltralpe.
Recentemente, il generale Bruno Clément-Bollée, ufficiale responsabile dei collegamenti per le operazioni di sicurezza con il Quai d’Orsay, ha affermato che l’Operazione Barkhane «si trovi ancora in un vicolo cieco», in quanto la Francia «starebbe ancora cercando di elaborare una strategia per il Sahel».
La situazione sul campo sta progressivamente peggiorando a causa degli attacchi terroristici alle basi che hanno provocato numerose perdite, «principalmente perché – ha aggiunto l’ufficiale distaccato al ministero degli esteri – Barkhane non ha iniziativa sul campo e viene percepita come una forza occupante dalle popolazioni locali».
Non si tratta di critiche nuove, poiché queste missioni condotte al di fuori del territorio metropolitano, avviate a loro tempo come “temporanee”, si sono poi trasformate in “permanenti”, con tutti i pesanti oneri di vario genere da esse derivanti.
Aveva iniziato Françoise Hollande nel gennaio 2013 con l’Operazione Serval nel Mali, concepita allo scopo di debellare i gruppi armati jihadisti distruggendo le basi logistiche che avevano allestito nel Paese. Serval fu un insuccesso, la linea dei rifornimenti da assicurare all’Armée de Terre non ebbe totale continuità, un sostegno che divenne carente proprio nel momento in cui i soldati si trovarono esposti nei confronti delle milizie islamisti.
Nel frattempo, anche grazie alle imprese del presidente Nicholas Sarkozy, si andò deteriorando la situazione in Libia, e nel 2014 Parigi si vide costretta a rimodulare il suo intervento militare nella regione, passando alla successiva fase contraddistinta dall’Operazione Barkhane, che è ancora in atto.
In pratica, Barkhane sostituì la preesistente missione Serval estendendo però la proiezione militare francese, aspetto che costrinse Parigi alla ricerca di una cooperazione in ambito locale all’interno di una coalizione che le permettesse di colmare le lacune evidenziate dal proprio strumento bellico.
Mantenendo il focus sui loro interessi strategici nazionali – come l’uranio nigerino, l’oro maliano e le numerose relazioni commerciali in essere -, i francesi definirono un obiettivo iniziale: la messa in sicurezza delle aree frontaliere ove insistevano i rifugi e i santuari degli elementi ostili, prevedendone la caccia anche sui territori degli Stati confinanti.
Da allora Parigi è rimasta militarmente sovraesposta. Oggi i militari francesi impegnati su un territorio oltremodo vasto e al contempo difficilmente controllabile sono oltre 4.500.
Nel frattempo le formazioni armate jihadiste (e quelle della locale criminalità comune in alcuni casi loro sodali) hanno affinato tecniche e tattiche di combattimento, anche per effetto del contributo apportato dai veterani del conflitto siriano giunti gradualmente nel Sahel.
Inoltre non vanno sottovalutati i benefici derivanti agli jihadisti saheliani dalle dinamiche interne alla galassia radicale islamista, con la composizione e la scomposizione di alleanze e fronti comuni di lotta.
I dati diffusi dall’Onu indicano in oltre 4.000 le persone che nel solo 2019 hanno perso la vita a causa di attacchi terroristici compiuti in Burkina Faso, Mali e Niger. In Mali sono stati dislocati anche i 13.000 caschi blu della missione di peacekeeping Onu MINUSMA.
Di fronte alle dure posizioni assunte da alcune personalità politiche dei cinque paesi africani alleati, sono nascosti dietro a un dito e hanno espresso il loro malcontento per «l’arroganza di Parigi», Macron alla vigilia del vertice di dicembre, che affermò di essere fermamente intenzionato a mettere sul tavolo tutte le opzioni possibili, inclusa quella di un ritiro delle forze francesi dal Sahel.
In ogni caso il vertice di Pau si è concluso con l’annuncio di Macron relativo a un prossimo invio di altri 220 militari francesi in Africa in rinforzo del dispositivo Barkhane.
Il prossimo vertice G5 Sahel avrà luogo nel prossimo giugno a Nouakchott, in Mauritania.