CRIMINALITÀ, Bari. Estorsione, usura e riciclaggio: arresti e sequestri

Eseguita dal GICO un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 36 soggetti operanti nel settore delle scommesse e di alcuni esponenti di spicco dei clan del capoluogo pugliese

All’alba di oggi i Finanzieri del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Bari, in collaborazione con i colleghi del Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata di Roma hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari di Bari nei confronti di 36 soggetti (27 in carcere e 9 agli arresti domiciliari), al termine di complesse ed articolate indagini condotte dal Gruppo Investigazione Criminalità Organizzata (GICO), sotto la direzione della locale Procura della Repubblica di Bari, Direzione Distrettuale Antimafia.

Tra gli arrestati, un ruolo determinante viene attribuito all’imprenditore nel settore del gioco D’Ambrogio Baldassare detto «Dario», nonché a diversi appartenenti a storiche organizzazioni criminali della città di Bari, quali gli Anemolo, gli Strisciuglio e i Capriati.

L’indagine scaturisce da una coraggiosa denuncia per usura ed estorsione sporta da un piccolo imprenditore barese titolare di una rivendita di tabacchi, vessato dalle pressanti richieste, corredate da violente minacce, rivolte nei suoi confronti dal D’Ambrogio, titolare di una società di noleggio di apparecchi da gioco e intrattenimento; quest’ultimo, al quale il denunciante in difficoltà economiche nella gestione della sua attività commerciale si era rivolto, aveva subordinato la concessione di un prestito in denaro a due condizioni tanto gravose quanto illecite: la corresponsione di interessi usurari e l’installazione esclusiva delle sue slot machine presso la citata tabaccheria.

Il focus investigativo avviato sull’attività di noleggio degli apparecchi da intrattenimento da parte del D’Ambrogio ha consentito di acclarare come il contesto denunciato dal tabaccaio non rappresentasse affatto un caso isolato.

Le indagini, protrattesi per oltre due anni, hanno infatti permesso di disvelare un più ampio e diffuso sistema di malaffare, esistente nella città di Bari e nei paesi limitrofi, finalizzato all’imposizione del noleggio delle apparecchiature da intrattenimento delle società riconducibili al D’Ambrogio presso gli esercizi commerciali, realizzato anche mediante l’appoggio di esponenti

di sodalizi criminali egemoni sui rispettivi territori di riferimento, i cui metodi mafiosi basati sulla forza di intimidazione neutralizzavano di fatto ogni tentativo degli imprenditori di sottrarsi al noleggio stesso e di rivolgersi ad altre imprese di settore

D’Ambrogio, grazie ai rapporti di affari con vari esponenti del clan Anemolo, delle articolazioni del clan Strisciuglio facenti capo a Caldarola Lorenzo e a Valentino Vito e del clan Capriati, aveva di conseguenza acquisito una posizione monopolistica nel settore, con l’estromissione forzosa della concorrenza.

Gli emissari dei diversi gruppi criminali indicavano, ai titolari delle attività commerciali ubicate nei territori su cui esercitavano la loro influenza, il D’Ambrogio quale unico noleggiatore cui rivolgersi per l’installazione dei congegni da intrattenimento, facendo previamente rimuovere eventuali apparecchi di altri imprenditori già presenti nell’esercizio ed impedendo così agli esercenti la libera scelta del fornitore cui rivolgersi in base alla convenienza economica e alle regole di mercato improntate alla libera concorrenza.

La provvigione corrisposta ai clan era parametrata al numero di slot machine che le organizzazioni riuscivano a far installare presso gli esercizi ubicati nelle zone di rispettiva influenza, ovvero agli introiti che ciascun esercizio commerciale otteneva dalle giocate effettuate sugli apparecchi noleggiati. Le indagini hanno evidenziato talvolta la riscossione di una somma di circa cento euro per congegno installato, ovvero la corresponsione di una somma forfettaria mensile variabile tra mille e cinquemila euro (in ragione ad esempio della qualità dei rapporti con il clan criminale di riferimento ovvero in base all’ubicazione dell’esercizio commerciale ove erano installati gli apparecchi); in altri casi la provvigione riconosciuta al clan era proporzionale al volume delle giocate al netto delle vincite pagate. Vincite del tutto esigue, tenuto conto che in diversi casi i congegni elettronici erano stati manomessi e scollegati dalla rete telematica di collegamento con l’Agenzia dei Monopoli, con evidenti riflessi negativi per l’Erario.

A favorire l’imprenditore colluso, nei rapporti con i vari esponenti dei clan, contribuiva la sua origine familiare: D’Ambrogio Baldassarre, infatti, è il nipote di D’Ambrogio Nicola, detto «Tro Tro», ovvero uno degli esponenti di maggiore rilievo del clan Strisciuglio, già detenuto per altro reato, nonché destinatario del provvedimento restrittivo odierno analogamente al nipote.

Dalle indagini è inoltre emerso che «Dario» avrebbe riciclato per conto del predetto zio cospicue somme di denaro provenienti dalle attività illecite gestite dal clan Strisciuglio; in particolare, nel 2012, avrebbe acquistato le quote di due sale da gioco in Bari, sottoscrivendo con il venditore due contratti di compravendita delle relative quote sociali per un corrispettivo dichiarato di 50.000 euro, che le indagini hanno tuttavia quantificato in oltre 430.000 euro, versati con cadenza mensile in quote frazionate di 22.500 euro.

Le indagini hanno infine acclarato che l’attività usuraria condotta dal D’Ambrogio e da altri soggetti della criminalità locale (già gravati da precedenti penali della specie), nei confronti di piccoli imprenditori locali, per la maggior parte conduttori degli apparecchi da gioco, consentiva la corresponsione di tassi oscillanti tra il 125% ed il 2.000% annuo.

In parallelo alle attività “classiche” di polizia giudiziaria, necessarie ad acquisire i riscontri finalizzati a corroborare il quadro accusatorio nei confronti degli indagati, sono state altresì condotte sofisticate investigazioni economico-finanziarie tese a ricostruire tutte le posizioni

economico patrimoniali riferibili agli indagati e ad ulteriori soggetti che fungevano da prestanome per i negozi giuridici relativi ai beni da questi indirettamente posseduti.

Ciò ha permesso di sottoporre a sequestro i beni risultati nella disponibilità degli indagati per un valore complessivo di oltre 7,5 milioni di euro, tra cui tre sale VLT ubicate in Bari, quattro immobili, cinque veicoli, due complessi aziendali (una concessionaria di veicoli e un’impresa individuale operante nel settore della riparazione di personal computer) e oltre duecento rapporti finanziari.

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