SOMALIA, economia. Imprese italiane, situazione critica e concorrenza cinese: una Paese che potrebbe rinascere

Raccogliamo l’appello rivolto alla politica da un imprenditore “di frontiera” genovese attivo nel Corno d’Africa

A cura di Agostino Siccardi, della Righel Consultancy E’ passato quasi un anno dalla mia prima volta in Somalia a Mogadiscio. Mi ero ripromesso di ritornare ed ecco un’ottima occasione: il primo business forum italo-somalo organizzato da UNIDO, con il patrocinio del Governo somalo e della nostra ambasciata a Mogadiscio nei giorni del 10 e 11 dicembre 2019.

Siamo veramente in pochi a intraprendere questa avventura: otto Imprenditori attivi nei settori più diversi, un avvocato di un importante Law Firm italiana con diverse sedi operative in Africa, un giornalista e un promoter di un importante evento fieristico internazionale in Italia nel settore ortofrutticolo.

Questa volta, purtroppo, non mi è stato possibile soggiornare in città, ma ho pernottato in un bellissimo albergo, costruito da una società turca, di fronte all’aeroporto; comunque anche dall’albergo, situato in una “zona sicura”, abbiamo distintamente avvertito gli spari dell’attentato compiuto nella notte del 10 dicembre dai terroristi che continuano a impedire alla Somalia di avere pace.

A Mogadiscio si respira un’aria irreale; rimani sospeso tra la realtà fatta a volte di eventi tragici che ti ricordano che il Paese non è ancora stabile e l’ottimismo dei somali, che diverso non potrebbe essere, convinti che il peggio sia passato e che anche per loro si aprirà un luminoso futuro.

Indubbiamente, oggi l’Africa è sulla bocca di tutti: convegni, seminari e ogni genere di evento ci parlano di come stia attraversando una fase dinamica di sviluppo; per cui anche la Somalia, pur tra mille difficoltà, potrà e dovrà cogliere questo vento di cambiamento: nel paese arrivano molti finanziamenti esteri soprattutto dai somali della diaspora; non esiste moneta locale, ma tutte le transazioni avvengono in dollari, tutta la vita quotidiana è scandita dall’uso del dollaro, questo facilita molto gli scambi commerciali con i partner esteri.

Cominciamo ad affacciarsi gli investitori, i precursori sono stati i turchi, con l’aiuto del Qatar, che hanno ristrutturato e riaperto l’aeroporto e il porto, fondamentali per poter parlare di ripresa dei contatti commerciali; dobbiamo anche ricordare che le missioni di pace volte a stabilizzare la Somalia hanno richiesto uno sforzo logistico importante, reso possibile dalla presenza di infrastrutture del genere.

Al Forum hanno partecipato numerose imprese somale, guidate da giovani, nei cui occhi appariva chiara la voglia di normalità; molte di esse hanno sede in Kenya, poiché a Nairobi è presente una numerosa comunità somala che ha trovato rifugio negli anni bui della guerra civile.

Molti sono stati i contatti e certamente ci sarà da lavorare affinché si traducano in contratti.

Certamente non è facile fare business chiusi all’interno di un “compound sicuro”, però è un inizio: come ho avuto modo di sottolineare al nostro ambasciatore in Somalia che ha recentemente ricevuto la nomina, il Paese potrà rappresentare una grande opportunità ma nel momento in cui vi sarà la percezione di una maggiore sicurezza.

Purtroppo, quando questo accadrà potrebbe essere tardi, ma non dobbiamo scoraggiarci; il Paese è grande, due volte l’Italia come estensione, e dall’aereo si possono vedere terre sterminate e disabitate.

Comunque, oltre ai turchi ormai presenti da tempo e agli immancabili cinesi, altri si stanno affacciando rapidamente alla Somalia.

La nostra classe politica dovrebbe cambiare passo, l’Africa è oggi il continente del futuro, lo hanno compreso tutti e infatti si moltiplicano le missioni imprenditoriali, ma a mio modesto parere stiamo commettendo un errore di strategia, anche a livello europeo.

Non possiamo contrastare la concorrenza cinese da soli, ma dobbiamo agire a livello di Comunità europea;

singolarmente poi, chiedo al Governo Italiano di non disperdere energie e soldi nel tentativo di allacciare rapporti troppo estesi in Africa; ciò non è possibile e basta guardare la cartina geografica per capirne i motivi; siamo stati presenti in Libia, Eritrea, Etiopia, Somalia, forse non sempre agendo nel modo più corretto, ma rimane il fatto che in questi paesi abbiamo contribuito allo sviluppo passato costruendo infrastrutture ancora oggi presenti ed utilizzate (una su tutte la ferrovia Asmara-Massawa finita nel 1905, ardita costruzione che partiva dal livello sul mare di Massawa fino ai 2.400 mlm di Asmara); concentriamo i nostri sforzi in questi quattro paesi; ricordiamoci che sviluppo, se poi anche sostenibile, vuol dire dare opportunità alle persone, e quindi meno possibilità per il terrorismo di attecchire e svilupparsi;

lo Stato italiano non ha la forza economica di quelli di altri paesi a causa del suo forte indebitamento e, tanto meno, quindi possiamo pensare di contrastare i cinesi, ma la politica Italiana può fare tanto: date copertura alle varie iniziative imprenditoriali private, fateci sentire la vostra vicinanza e non mancate il vostro sostegno; fate in modo che le nostre ambasciate ci affianchino sempre e siano presenti con iniziative di sostegno presso i governi locali; il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro degli Esteri e altri titolari di dicasteri manifestino la volontà dell’Italia di esserci con visite costanti in questi paesi.

Nel caso della Somalia, un fatto è inequivocabile: i Somali chiedono la nostra presenza.

Alla cena, sempre offerta dal nostro rappresentante diplomatico a Mogadiscio la sera del 10 dicembre, erano presenti dei componenti del governo locale e, diversi di loro, si sono intrattenuti a parlare con noi in perfetto italiano.

Anche allo stesso Forum numerosi imprenditori, quelli di prima generazione, si sono rivolti a noi in lingua italiana, un modo per manifestarci la loro amicizia e per farci capire di essere non così lontani da casa.

La stessa sensazione l’ho provata durante la mia visita ad Asmara, questo mentre, nonostante la mia continua frequentazione non provo lo stesso ad Addis Abeba.

Posso certamente affermare che non sarà la mia ultima volta a Mogadiscio, il 2020 mi vedrà presente con una certa assiduità.

Invito altri italiani a non avere paura e a unirsi in questa avventura dal sapore pionieristico che potrà darci grandi soddisfazioni, non soltanto economiche. Contribuire alla rinascita di un paese potrà rendere grande lustro all’Italia, non lasciamo che altri prendano il nostro posto e facciamo tornare Mogadiscio al suo antico splendore.

Ormai sono laureato da più di trentacinque anni, ma ricordo che il mio professore di ingegneria durante il periodo della mia tesi venne a insegnare all’Università di Mogadiscio. Era il 1984 e ci descrisse la capitale somala come una bellissima città, ricca di profumi per la presenza del mare (per noi genovesi una presenza costante nella nostra vita), di giardini fioriti e frutta tropicale.

Poi, tutto un giorno finì ed iniziarono venticinque anni bui di guerra civile. La popolazione è stata sottoposta ad una prova terribile; chi ha potuto è scappato, ma tanti sono rimasti e sono proprio questi che oggi si affidano anche a noi per ritrovare la serenità ed il loro passato.

Facciamoci dunque avanti… ci sentiamo alla prossima missione, speriamo nel febbraio del 2020.

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