IRAN, scontro con gli Usa. Sveglia! La guerra è finita… forse, ma nulla sarà come prima

Nessuno vuole la guerra totale, tuttavia essa aleggia sul Medio Oriente allargato. Dopo gli attacchi adesso è l’ora del teatrino delle dichiarazioni più o meno belliciste e della propaganda. Intanto spunta fuori anche una lettera diplomatica «segreta» che Soleimani avrebbe dovuto recapitare ai nemici sauditi… ma non era certo un segreto che gli ayatollah stessero trattando con Bin Salman

Stanotte, puntuale, è arrivata la rappresaglia iraniana per l’eliminazione mirata del generale dei Pasdaran Qassem Soleimani e di Abu Mahdi al-Muhandis (vice capo delle unità di mobilitazione popolare irachene), fatti fuori da un elicottero d’attacco americano all’aeroporto di Baghdad.

bombardamenti, la ritorsione di Teheran è stata tuttavia limitata al lancio di alcune salve di missili del tipo Qiam-1 e Fateh-313, una quindicina, dei quali quasi un terzo andati fuori bersaglio oppure intercettati dai sistemi difensivi approntati dagli americani nelle loro basi irachene.

Oggetto degli attacchi il grande di Al Asad e una base a Erbil, quella dove si trovano anche i militari italiani inviati in missione nel Paese arabo, che fortunatamente non sono stati colpiti.

Non si registrerebbero morti, dunque si sarebbe trattato di un’azione necessaria – Teheran infatti non poteva permettersi di perdere la faccia – posta in essere con la necessaria cautela e nella dovuta misura.

Probabilmente non risponde al caso il fatto che nelle fasi successive all’attacco, una volta convocato il Consiglio di sicurezza nazionale, il presidente statunitense Donald Trump abbia sentito il bisogno di rimarcare che non c’erano state vittime tra gli americani, questo mentre il ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif si sia affrettato a dichiarare che il suo Paese «non vuole la guerra».

È vero, parte degli analisti e dei commentatori hanno subito affermato che in seno al sistema di potere iraniano si ravvisava una contraddizione tra i comunicati dei “duri” del regime e altri settori di vertice della teocrazia, sta di fatto comunque che appare chiaro che sono molti, la maggior parte, quelli che, da una parte e dall’altra della barricata spingono per smorzare il pericoloso focolaio di incendio e implementare la de-escalation.

Allora a questo punto tutto il resto potrebbe appartenere soltanto alla disinformazione e alla propaganda, perché la guerra sarebbe destinata a cessare prima di divampare e le trattative segrete attualmente in atto tra i vari attori regionali e globali continuerebbero giungendo – auspicabilmente – a buon fine, malgrado la lettera diplomatica segreta che il generale Soleimani aveva in tasca quando è stato ammazzato sia bruciata assieme a lui, senza così pervenire nelle mani dei suoi destinatari a Riyadh.

L’attacco Usa all’aeroporto di Baghdad è stato un gesto estremo che non fa stare in piedi la versione oleografica a uso mediatico che vorrebbe un presidente esagerato nel carattere e nei modi ricevere dai generali del Pentagono (che non sono degli sprovveduti) cinque possibili opzioni contro l’Iran e scegliere la più radicale di tutte per punire l’ultimo cardine dell’asse del male rimasto ancora in esistenza in Medio Oriente.

Una narrativa che sarebbe assai efficace per un serial televisivo, ma meno in un teatro di fondamentale importanza dove gli americani si sentono sfilare il terreno da sotto i piedi.

Essi avrebbero colpito sì, a ragione, per lanciare una chiaro e inequivocabile segnale i loro avversari in Medio Oriente, ma anche per annichilire quella trattativa in atto tra questi ultimi e i loro alleati principali in quella stessa regione, cioè i sauditi.

Il ramo della dinastia al-Saud attualmente al potere si trova in difficoltà sui vari fronti di guerra aperti, inoltre ha subito i colpi sferrati al cuore del suo sistema produttivo energetico, azzoppato dai missili lanciati di recente sulle raffinerie.

La monarchia nutre un interesse primario alla conduzione a buon fine del collocamento sul mercato delle proprie azioni Aramco, un’operazione che per il momento ha riguardato soltanto la borsa di Riyadh e non anche quella di Wall Street, il centro finanziario mondiale del Paese suo principale alleato.

Quindi si guarda intorno per limitare i danni e lo fa in un quadro complessivo dove praticamente tutti stanno andando per conto loro, ben sapendo che per evitare una escalation che sarebbe catastrofica per l’intera regione deve necessariamente interfacciarsi con gli odiati sciiti dell’altra sponda del Golfo.

Nessuno vuole la guerra, tuttavia essa è dietro l’angolo che aleggia sul Medio Oriente allargato.

L’azione iraniana era stata in qualche modo comunicata al nemico (gli americani) per il tramite del governo di Baghdad, nella sostanza si è trattato di un attacco simbolico portato alla stessa ora dell’azione di eliminazione del comandante in capo della Forza Al Quds.

Una ritorsione volutamente contenuta, malgrado il ventaglio costituito dalle tredici ritorsioni paventate da Ali Shamkhani (capo del Consiglio di sicurezza iraniano) e le dichiarazioni incandescenti continuano a venire rilasciate alla stampa e nel web, questo nonostante il tweet del capo della diplomazia iraniana Zarif, che afferma: «Abbiamo risposto in modo proporzionato e concluso la nostra rappresaglia». Insomma, molta propaganda associata a una estrema prudenza da parte di tutti.

I missili di Teheran hanno colpito esclusivamente obiettivi di natura militare alla stessa ora in cui veniva ucciso Soleimani, nel frattempo Teheran si guarda bene dal chiudere il suo canale di contatto formale con gli Usa rappresentato dalla diplomazia svizzera.

La guerra è dunque finita? Magari lo fosse per davvero, comunque nulla sarà come prima e, in ogni caso, non ci si devono fare illusioni riguardo ai diversi scenari che potrebbero delinearsi in futuro.

Quali ipotesi sono dunque esplorabili? Washington ha forse in programma la vetrificazione dell’Iran?

Intanto non apparrebbe plausibile un’invasione della Persia via terra, in quanto costerebbe molto cara sia in termini di vite umane che economici.

Al momento non si ha certezza che dopo l’uccisione del generale Soleimani le dinamiche conflittuali nella regione debbano tendere necessariamente e inesorabilmente dal piano della guerra asimmetrica a quello del conflitto convenzionale classico.

Gli iraniani non sono stati ricacciati via dall’Iraq e la loro capillare ed efficace rete di permane tuttora attiva.

Il 5 gennaio scorso il parlamento iracheno ha votato l’espulsione delle truppe statunitensi dal Paese, una decisione formale che per il momento non è però vincolante e che dovrà venire ratificata l’11 gennaio.

Nei fatti Washington ha perso l’Iraq, tuttavia proverà a rimanerci con la forza, contrastata da una variegato fronte sciita arabo-iracheno giocoforza ricompattato dagli ultimi eventi.

Indice ne sarebbe il fatto che anche il turbolento Moqtadà al-Sadr parteciperà al prossimo summit di guerra a Beirut.

Ma non c’è soltanto l’Iraq, poiché obiettivi statunitensi si trovano anche in Siria, dove la Repubblica Islamica ha svolto un ruolo determinante nel mantenimento al potere del presidente Bashar al-Assad annichilendo Islamic State.

Non ci sarà soluzione di continuità nell’azione iraniana in Siria, dove Teheran mantiene elevato il suo grado di influenza. Il successore di Soleimani alla guida, maggior generale Esmail Ghaani, prosecutore della linea politico-militare nel Paese arabo alleato, ha lavorato lì per oltre dieci anni

Nella giornata di ieri il presidente russo Vladimir Putin si è recato in visita a Damasco – è la seconda volta dall’intervento di Mosca nel conflitto –, un viaggio che tutto fa ritenere collegato ai possibili effetti generati dall’eliminazione di Soleimani sulle milizie sciite attive in Siria, nonché alla fase finale nella sanguinosa battaglia per Idlib (ultima provincia ancor, a fuori dal controllo del regime).

Nel frattempo, a Teheran Ali Shamkhani incontrava Ali Mamlouk, elemento apicale dei mukhabarat damasceni.

Infine, in serata è stato possibile osservare le reazioni dei mercati agli avvenimenti seguiti allo sferrare dell’operazione «Soleimani martire».

Dopo una fase burrascosa le turbolenze sono cessate e tutto è rientrato, in particolare a seguito dello stop imposto alle borse asiatiche. Un rialzo è stato registrato sulle piazze europee e anche Wall Street ha chiuso in positivo, mentre, sempre a New York, il prezzo del petrolio è sceso sotto i 60 dollari al barile.

Con riferimento alla crisi Usa-Iran gli analisti del settore economico prevedono che l’escalation della crisi mediorientale potrebbe riflettersi negativamente a livello globale, in particolare proprio a causa di un’impennata dei prezzi delle materie prime energetiche.

Tuttavia non è soltanto questo il comparto esposto a rischi, poiché potrebbe esserne interessata l’economia nel suo complesso, in modo particolare i comparti  bancario e turistico.

Nel peggiore degli scenari possibili ci si attende un’alta volatilità dei prezzi di petrolio e gas nell’anno in corso, determinata da un aumento della produzione associato a una flessione della domanda.

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