IRAQ, eliminazione di Qassem Soleimani. Usa: passo falso o lucida strategia?

Un passo molto pericoloso che rischia di far perdere definitivamente agli americani il controllo sull’Iraq, a meno che a Washington non si pensi di forzare Teheran a una successiva trattativa da posizioni di ulteriore debolezza, con i pasdaran depotenziati sulla scena politica iraniana. E il petrolio?

Eliminare Qassem Soleimani in quel modo spettacolare e in quel luogo, in palese violazione della sovranità nazionale irachena, ha significato oltrepassare una linea rossa.

Ora il punto è comprendere se si sia trattato del perseguimento di obiettivi ben precisi nel quadro di una lucida e inesorabile strategia, oppure la conseguenza della perdita del controllo della situazione che ha portato a commettere un grave errore, che per certi aspetti potrebbe rivelarsi fatale.

Molto peggio di tutte le possibili provocazioni e dei botta e risposta finora osservati nel Golfo Persico e negli stretti di Hormuz.

Luce verde del Pentagono. Eppure l’eliminazione eccellente c’è stata, un avvenimento senza precedenti nel pregresso confronto verificatosi nell’immediatezza dell’assedio dell’ambasciata statunitense a Baghdad.

Gli  americani sono ritornati in forze in Iraq, schierando 18.000 soldati, mentre il presidente Trump ha appena annunciato che rinforzerà questo dispositivo mediante l’invio di altri 3.500 uomini in Iraq, Kuwait e altri paesi.

Per gli Usa, il Paese arabo nel quale sedici anni fa venne determinata manu militari la caduta del regime di Saddam è ancora molto importante, poiché allo stato attuale è il primo effettivo grande produttore di materie prime energetiche a basso costo e in abbondanza, questo alla luce della situazione attraversata dalla confinante Arabia Saudita, che non sarebbe in grado di fornire le stesse garanzie per tutta una serie di ragioni.

Infatti, a seguito dei recenti attacchi contro i suoi impianti Riyadh per fare fronte agli impegni precedentemente assunti nell’esportazione ha dovuto fare addirittura ricorso all’acquisto di greggio per alimentare le proprie raffinerie.

Da quando a Washington si è insediata questa amministrazione repubblicana non sono stati infrequenti i mal di pancia provocati al Pentagono dalle controverse decisioni assunte dall’inquilino della Casa Bianca.

In effetti, i dubbi ingenerati da un’azione del genere sulla propria efficacia proiettata sul piano politico sono molti, tuttavia, se l’eliminazione mirata del generale Soleimani, qualora osservata non esclusivamente dal punto di vista della tattica, in filigrana potrebbe forse anche lasciare intravedere la trama di una precisa strategia.

Colpendo l’uomo forte della Repubblica Islamica, oltre a tentare di decapitare il vertice della struttura che ha portato Teheran a conseguire una serie di successi sul campo giungendo a controllare una fascia di Medio Oriente dal Golfo Persico al Mediterraneo, si sono colpiti i pasdaran in una momento nel quale l’Iran sta attraversando una fase di duro confronto interno.

Accendere la miccia dell’escalation in Iraq per portare Teheran a trattare sul tavolo del nucleare e dell’assetto regionale da posizioni di ulteriore forza grazie al de-potenziamento di quei settori del potere più oltranzisti.

L’escalation come pretesto dunque, anche attraverso operazioni spregiudicate e pericolose come quella dell’aeroporto di Baghdad.

Escalation. La parola maggiormente ricorrente in queste ore è «escalation», un’escalation che avrebbe un preciso punto di partenza collocabile temporalmente non più di alcune settimane fa, cioè quando la Exxon, major petrolifera americana, ha visto svanire la possibilità dello sfruttamento di un grosso giacimento di idrocarburi nella zona di Bassora, territorio iracheno a maggioranza sciita situato a ridosso delle acque del Golfo.

Alcuni mesi fa, a causa della minaccia costituita dagli attacchi armati, il personale della compagnia petrolifera texana era stato ritirato e conseguentemente l’accordo era saltato.

Da allora la tensione è cresciuta, alimentata da un confronto continuo in uno scacchiere instabile e densamente militarizzato, con iraniani e sciiti iracheni a esercitare pressioni di vario genere per la ricacciata degli americani fuori dal Paese arabo.

Intorno – oltre alle grandi manovre congiunte che hanno visto esercitarsi assieme russi, cinesi e iraniani -, tutto il corollario dei conflitti combattuti dai proxi delle varie potenze regionali e mondiali, quella dimensione dove proprio il comandante della Quds Force aveva dimostrato di eccellere.

A un atto del genere l’Iran non può non rispondere e a questo punto resta soltanto da vedere quali iniziative verranno intraprese dai vertici della Repubblica Islamica. Essi devono assolutamente evitare di perdere la faccia, sia sul piano interno che di fronte ai decisori politici e alle opinioni pubbliche mondiali, in particolare a quelle mediorientali.

Con ogni probabilità opteranno per una ritorsione attraverso le milizie sciite e i loro alleati, con atti terroristici o magari scatenando un attacco cibernetico su larga scala, rappresaglie effettuate principalmente in territorio iracheno e siriano contro basi militari e obiettivi economici.

In generale, si tratta di luoghi che vedono anche la presenza di militari italiani nell’ambito di missioni di pace: 1.000 in Libano, 800 in Iraq e 300 in Libia.

Uno scontro diretto non conviene a nessuno, né agli americani, che sono consapevoli delle difficoltà insormontabili di un attacco terrestre alla Repubblica Islamica, né le monarchie del Golfo (sauditi inclusi) che fanno di tutto per spegnere i focolai di tensione, tantomeno gli stessi iraniani, che sanno bene di non poter tirare eccessivamente la corda.

In ogni caso, l’eventuale pronuncia del parlamento iracheno (composto in maggioranza da sciiti) nel senso dell’illegalità della presenza dei militari americani nel Paese legittimerebbe in ultima analisi anche azioni di natura bellica contro di loro.

Per il momento il Dipartimento di Stato ha invitato tutti i cittadini statunitensi presenti in Iraq ad abbandonare la più presto il paese.

Gli aspetti energetici. Una conflittualità crescente provocherà sicuramente un aumento di prezzi petroliferi, con annesse lievitazioni dei prezzi alla pompa anche per i consumatori americani, che non  utilizzano derivati dallo shale oil – materia prima della quale l’estrazione potrebbe acquisire convenienza con un incremento del costo al barile -, bensì un greggio più pesante oppure una miscela di leggero e pesante.

Dunque, anche a voler fare della dietrologia, si dovrebbe comunque concludere che, stante la complessità del quadro strategico mediorientale e tenuti in debito conto i fattori che ne determinano le mutevoli dinamiche, la decisione di eliminare Soleimani sarebbe stata presa indipendentemente (anche) da un calcolo sugli effetti più o meno positivi per i petrolieri americani di un aumento del prezzo del greggio provocato dalle tensioni trasmesse dall’instabilità conseguente sui mercati internazionali.

Washington ha inteso lanciare agli ayatollah un segnale forte e preciso, che prescinde quindi dalle prospettive, divenute ormai remote, di un ritorno su larga scala degli operatori americani del settore in Iraq, a cominciare proprio dalla Exxon, che in questa situazione ha rinunciato a estrarre nel martoriato Paese arabo.

Si tratta di una lettura realistica della situazione? Parte degli operatori italiani del settore Gas & Oil avrebbero un’opinione diversa, dicendosi allarmati per quelli che potranno essere gli sviluppi della situazione.

Secondo il presidente di FederPetroli Italia gli Usa avrebbero scatenato una vera e propria guerra per il controllo dei giacimenti di idrocarburi.

«La storia si ripete come ai tempi di Saddam Hussein, stesso copione – ha affermato Michele Marsiglia -, il raid statunitense su Baghdad che ha provocato l’uccisione del generale Soleimani è il segnale evidente di una guerra per i giacimenti petroliferi della regione da parte degli Usa. La storia si ripete come ai tempi di Saddam Hussein, stesso copione».

Egli ha poi aggiunto che: «Se in questi ultimi mesi la focalizzazione principale è stata sulla Libia, con quest’ultimo episodio si colpiscono due obiettivi geopolitici strategici del Medio Oriente: Iraq e Iran, nonché i Paesi collegati alle fazioni politiche degli ayatollah di Teheran».

Secondo FederPetroli Italia l’eliminazione del generale iraniano avrà conseguenze dirette anche sulle quotazioni petrolifere internazionali, dato che un fatto del genere ha sconvolto le politiche di approvvigionamento di importanti ordinativi di greggio iracheno già precedentemente contrattualizzati.

Un’impennata del 4,3% del prezzo del petrolio è un’oscillazione difficile da contenere sulle contrattazioni e nell’adeguamento dei prezzi, sia per il Wti che per il Brent, dunque si attendono forti oscillazioni nelle prossime settimane.

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