LIBIA, conflitto. Il ponte aereo neo-ottomano che porterà i qaedisti da al-Serraj

L’attivismo di Erdoğan sta imprimendo un’accelerazione alle dinamiche diplomatiche e belliche nel paese nordafricano. Arrivano i primi combattenti dalla Siria “accompagnati” dai turchi, fanno scalo a Misurata e forse anche nell’aeroporto utilizzato dai russi del Wagner Group. Haftar si farà prendere la mano e sferrerà l’attacco finale a Tripoli? Difficile. Tuttavia i petrolieri italiani sono assai preoccupati. A insidertrend.it l’analisi di Shorsh Surme, direttore del periodico Panorama Kurdo

Apparentemente, il presidente turco Reçep Tayyip Erdoğan è come il cingolo di un carro armato: schiaccia tutto quello incontra sul suo percorso senza curarsi di cosa ci sia intorno.

Compra i missili S-400 dai russi (con i quali effettua poderose esercitazioni aeronavali nell’Egeo e nel Mar Nero, intanto muove i reggimenti del suo esercito le nelle montagne irachene e quindi invade la Siria ricacciando indietro quei Kurdi che avevano contribuito a rfare piazza pulita dei tagliagole di Islamic State; infine, si accorda con il presidente libico Fayez al-Serraj sulla zona economica esclusiva (ZEE) nel Mediterraneo e in materia di Difesa, rialimentando la controversia sui giacimenti di idrocarburi nelle profondità marine attorno all’isola di Cipro (buona parte della quale le forze armate di Ankara occupano dal 1974).

Se prima rivendicava alla Turchia la città irachena di Mosul e il suo circondario (petrolio del suo sottosuolo incluso), adesso si sente di pretendere anche porzioni di costa libica e, tanto per dimostrare che non scherza, avvia un ponte aereo raccattando dalla provincia di Idlib, nella Siria nord-occidentale, gli jihadisti della galassia qaedista e i miliziani suoi proxi per imbarcarli sugli aerei e spedirli a combattere al fianco del presidente libico riconosciuto dall’Onu che è in guerra contro l’attuale “uomo forte” della Libia, quel generale Khalifa Haftar che (ormai molto tempo fa) dopo aver perso le guerre di Gheddafi in Ciad, cadde in disgrazia e gli si oppose passando con gli americani, che gli trovarono un appartamentino arredato dalle parti di Langley, dove l’ex ufficiale della Jamahiriyya visse alcuni anni.

Arrivano i turchi. Oggi ad Ankara è passata la risoluzione sull’impiego delle forze armate turche in sostegno al governo di Tripoli, «qualsiasi tipo di forze – recita il documento -, anche da combattimento», un atto che se il 2 gennaio prossimo riceverà anche la sanzione dal parlamento – ma è certo che l’Akp di Erdoğan avrà la maggioranza, poiché lo sosterrà la destra ultranazionalista erede dei Lupi grigi – per un anno (primo mandato) i militari turchi potranno essere schierati in Libia e, «se necessario, agire contro i gruppi terroristici e i gruppi armati illegali».

È il tentativo di ri-bilanciare le forze sul campo di battaglia, anche alla luce delle recenti mosse avversarie, ma non solo. Infatti, Erdoğan – in attesa di ottenere vantaggi da altre trattative, come quelle sui giacimenti di idrocarburi – con la sua avventuristica politica ottiene in ogni caso alcuni risultati immediati.

Il primo è quello di mettere tutti e due i piedi in Libia, divenendo il contraltare della Russia (altro protagonista nella regione) e, contestualmente, condizionare l’Egitto ossessionato dai Fratelli musulmani, con al-Sisi che – oltre a impegnarsi in faraoniche esercitazioni aeronavali e terrestri – non perso tempo e si è consultato subito con il suo uomo in Libia, Haftar appunto.

Un altro risultato è quello di ridurre i rischi potenzialmente derivanti dall’esodo di massa degli jihadisti orfani di Islamic State dall’enclave di Idlib dove hanno trovato rifugio dopo  la debellatio subita anche per mano kurda.

Le truppe del governo di Damasco appoggiate dal dispositivo militare di Mosca hanno attaccato e, giorno dopo giorno, stanno riconquistando terreno schiacciando islamisti, oppositori e popolazione civile in spazi sempre più angusti, con l’effetto di ridurre la pressione dei miliziani qaedisti sulle due non lontane basi russe in Siria, invertendo i termini del discorso, in quanto ora centinaia di migliaia di profughi in cerca di asilo si dirigono verso la frontiera turca.

Svuotare in qualche modo la provincia di Idlib dai piantagrane fa dunque comodo un po’ a tutti, sia a Putin che a Erdoğan.

Così facendo, Erdoğan potenzia inoltre una delle armi più potenti usate nelle moderne guerre di IV generazione, cioè il ricatto o il vero e proprio ricorso a strumenti di pressione sull’avversario (o l’interlocutore) politico costituiti dalla minaccia di una loro destabilizzazione interna mediante i flussi di profughi e immigrati.

E l’Europa dal presidente turco  dovrebbe avere imparato qualcosa in questi ultimi mesi, poiché non è del tutto chiaro se il pagamento di alcuni miliardi di euro ad Ankara al fine di interrompere il flusso di persone sulla via balcanica sia stato un buono o un pessimo affare.

Una volta che il leader neo-ottomano avrà voce in capitolo anche su porzioni della costa libica vorrà dire che si sarà assicurato l’altro braccio girevole della tenaglia, lo strumento col quale sarà possibile piegare la politica estera dei Paesi europei, a cominciare da quelle italiana e  greca.

Le cifre del “ponte aereo”. In questa sede è inutile ripetere l’assunto che vuole che «la prima vittima delle guerre sia la verità», poiché è ormai assodato che funzioni così. E allora non resta che fare i cronisti ponendosi alcuni solleticanti interrogativi: quanti sono i tagliagole recapitati dagli aerei neo-ottomani negli scali libici ancora praticabili? Trecento? Di meno?

Qualcuno sarebbe già arrivato, inoltre si parla di una cifra – tutta da verificare – oscillante tra i 900 e i 1.600 uomini provenienti dalla Siria – in particolare dall’area di Afrin, già enclave curda conquistata dalle forze di Erdoğan nel 2018 -, trasferiti in alcuni campi di addestramento in territorio  turco in attesa di essere successivamente inviati nel Paese nordafricano.

Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani (Ong con sede a Londra), si tratterebbe di combattenti in precedenza in organico alle milizie del sultano Murat e di Suleyman Shah, nonché della Divisione al-Mu’tasim, formazioni alleate di Ankara.

Questo seppure il governo turco non abbia fornito alcun riscontro ufficiale all’operazione in atto. Ma non c’è bisogno del comunicato stampa di un burocrate del ministero della Difesa di Ankara, poiché i voli passeggeri e i cargo decollati dalla Turchia e diretti all’aeroporto di Misurata (e non soltanto quello) al giorno d’oggi sono tracciabili anche per mezzo di Internet, anche quelli “non registrati”.

Quella Misurata che, attraverso l’azione delle sue milizie, ha finora svolto un ruolo fondamentale nel sostegno del tartassato e vacillante Stato di al-Serraj. Misurata, la città dove sono schierati a difesa dell’ospedale da campo i militari italiani del contingente inviato in Libia.

Sono più di quattrocento i membri delle Forze Armate inviati da Roma nel Paese nordafricano, in massima parte impiegati nella citata missione di assistenza e supporto al governo di Tripoli, con altre aliquote minori impegnate nell’addestramento della locale guardia costiera o nelle missioni multinazionali dell’Onu e dell’Unione europea.

In un paese nelle condizioni della Libia, pagando si può ottenere quasi tutto, persino uno stallo discreto su una pista di atterraggio, magari quelle stesse piste situate nel territorio formalmente controllato da Haftar dove pochi giorni prima erano stati fatti sbarcare i russi dell’organizzazione Wagner o gli altri contractors bulgari.

Accelerazione delle dinamiche e rischi. Il Parlamento turco anticiperà al prossimo 2 gennaio la ripresa dei lavori, che avranno in programma la seduta urgente nel corso della quale verrà votata la mozione governativa sull’invio dei militari in Libia.

Una volta autorizzato dal parlamento l’invio delle truppe le dinamiche potrebbero subire una brusca accelerazione, ma comunque non prima della visita a Istanbul del presidente russo Vladimir Putin in calendario l’8 gennaio.

Nel frattempo Erdoğan ha avuto un colloquio telefonico con la cancelliera tedesca Angela Merkel, con la quale ha trattato il dossier libico, dato che Berlino al riguardo dovrebbe ospitare una conferenza di pace nella metà del mese di gennaio, una iniziativa, quella europea, azzoppata già in partenza.

Malgrado il quotidiano bollettino dei morti e dei feriti, salvo imprevisti la situazione non dovrebbe degenerare. Haftar è sì militarmente forte, ma non abbastanza, e comunque non potrebbe certo prendersi la libertà di sferrare l’attacco finale a Tripoli senza la necessaria “luce verde” dei suoi sponsor.

In ogni caso, oltre al placet delle potenze (globali e regionali che siano), per farlo egli avrebbe anche bisogno del permesso concessogli delle milizie di Tripoli, con le quali dovrà trattare per ottenerlo.

Ieri mattina il ministro degli Esteri italiano Luigi di Maio ha telefonato al suo omologo egiziano Sameh Shoukry, al quale ha espresso la necessità di intensificare gli sforzi per ripristinare la sicurezza e la stabilità in Libia.

Il comunicato ufficiale della Farnesina riferisce che: «I due ministri hanno al contempo respinto gli interventi militari stranieri nel territorio libico, che ostacolerebbero il percorso verso un accordo politico inclusivo che affronti tutti gli aspetti della crisi libica nell’ambito del processo politico di Berlino».

Ma a essere estremamente preoccupati sono soprattutto gli imprenditori italiani del settore Oil & Gas che in Libia operano da decenni. Le loro paure sono sintetizzate nelle parole pronunciate ieri sera ai microfoni di insidertrend.it del presidente di FederPetroli Italia, Michele Marsiglia:

«Abbiamo appurato – egli ha affermato – che in Libia è fondato il pericolo dell’arrivo di ribelli e jihadisti, miliziani armati provenienti dalla Siria, territorio dove fino a qualche mese fa collaboravano con la Difesa turca. Questa possibile ondata di guerriglieri preoccupa l’intelligence, non soltanto quella italiana, ma di diversi paesi che controllano e monitorano la situazione in Libia».

«L’ondata di miliziani – ha proseguito poi al riguardo il presidente di FederPetroli Italia -, resa possibile dall’azione del presidente turco Erdoğan, va in un’unica direzione, cioè in quella del pieno supporto del Governo di Accordo Nazionale (GNA) con a capo Fayez al-Sarraj, contro l’offensiva delle forze del generale Haftar. Questo seppure a Tripoli e dal quartier generale di al-Serraj si continui a smentire l’arrivo di turchi.

Da nostre informazioni assunte in territorio libico, anche lo stesso aeroporto di Misurata risulta essere un punto di focalizzazione di diverse strutture militari operative giunte lì da altri paesi, tuttavia a oggi non è chiaro da dove.

Alla luce del veloce evolversi della situazione nella capitale libica e nei suoi paraggi, è sicuramente possibile una massiccio afflusso di combattenti da diverse regioni del Magreb, ma essendo un flusso in entrata clandestino non si è però nelle condizioni di fornire un numero approssimativo delle possibili presenze.

La preoccupazione generale – ha infine concluso l’esponente di vertice dell’organizzazione di categoria degli imprenditori dell’indotto energetico italiano – è che con il passare  delle settimane non si riesca più a controllare un eventuale arrivo di quegli stessi jihadisti in Europa dalla Libia attraverso l’Italia».

In attesa di tre date cruciali. Siamo dunque di fronte alla degenerazione finale che condurrà all’epilogo di una sanguinosa guerra civile oppure “soltanto” a un riequilibrio delle potenze euroasiatiche nella regione?

Il dossier libico – come hanno affermato ieri alcuni analisti – si sta spostando nelle mani diverse da quelle di un asse diverso da quello dell’Unione europea e dell’Onu?

Si è in attesa di tre date cruciali. Il prossimo 2 gennaio il parlamento di Ankara si pronuncerà sull’invio delle truppe turche in Libia e, si è visto, la decisione parrebbe scontata.

Cinque giorni dopo, il 7 gennaio, sarà la volta dell’Unione europea, che attraverso un tentativo di rianimazione dell’iniziativa diplomatica tenterà di trovare una (assai difficile) soluzione politica alla crisi.

Il giorno dopo, 8 gennaio, il presidente russo Vladimir Putin si recherà a Istanbul per inaugurare assieme a Erdoğan il gasdotto Turkish Stream, che dalla regione di Krasnodar, attraverso il Mar Nero, collega la Turchia ai siti estrattivi.

Si tratta dell’evento di maggiore importanza, che  vedrà Il vecchio kagebešník e il sultano,  cioè i veri protagonisti del momento, confrontarsi sul futuro della Libia, con gli americani, presenti militarmente in tutta l’Africa, in posizione attendista.

Tecnicamente, sui due lati opposti dello schieramento, entrambi sembrerebbero intenzionati a ripetere uno schema simile a quello sperimentato in Siria.

Molto si giocherà poi sul tavolo della trattativa per il controllo delle fonti energetiche. È anche per questo, oltre che per carenze proprie del suo strumento bellico, che Haftar non si è azzardato nel dare la spallata finale alla capitale controllata dal suo nemico.

Con ogni probabilità, se l’uomo forte della Cirenaica finora non è ancora andato fino in fondo e si è limitato ad avanzare per poi arrestarsi e attendere gli sviluppi della situazione – seppure la sua propaganda ufficiale dica altro -, evidentemente  la “luce verde” non gli è stata data.

Dunque, argomentando a contrariis, diviene lecito ritenere che non tutti gli attori che contano sul palcoscenico libico, compresi quelli che si muovono dietro le quinte, desiderano la caduta di Fayez al-Serraj.

 

Sugli ultimi sviluppi della situazione in Libia e sulla politica del presidente turco Reçep Tayyip Erdoğan, insidertrend.it ha raccolto l’opinione di Shorsh Surme, esponente della comunità kurda in Italia e direttore del periodico Panorama kurdo (audio A220)

A220 – LIBIA, GUERRA CIVILE: L’INTERVENTO MILITARE DIRETTO TURCO. Le iniziative del presidente Reçep Tayyip Erdoğan, dall’accordo con il governo di Tripoli presieduto da Fayez al-Serraj al “ponte aereo” per trasportare i combattenti jihadisti dalla sacca siriana di Idlib al fronte libico.
L’attivismo di Ankara sta imprimendo un’accelerazione alle dinamiche diplomatiche e belliche nel paese nordafricano. Arrivano i primi combattenti dalla Siria, fanno scalo a Misurata e forse anche nell’aeroporto utilizzato dai russi del Wagner Group. Haftar si farà prendere la mano e sferrerà l’attacco finale a Tripoli? Difficile. Tuttavia i petrolieri italiani sono egualmente assai preoccupati. A insidertrend.it l’approfondita analisi dei fatti svolta da SHORSH SURME, direttore del periodico Panorama Kurdo
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