Il giorno di natale il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan si è recato in visita ufficiale a Tunisi dove ha incontrato il suo omologo tunisino Kaies Saied.
In agenda vari temi oggetto di discussione, in primo luogo i possibili passi per un cessate il fuoco nella confinante Libia e le iniziative di collaborazione economiche e commerciali tra la Turchia e la Tunisia.
Se queste sono stati gli argomenti al centro dei colloqui bilaterali, nel corso della successiva conferenza stampa congiunta, però, Erdoğan non ha perso l’occasione per denunciare la presenza in Libia di migliaia di combattenti stranieri, principalmente sudanesi e russi, che sosterrebbero le forze del generale Khalifa Haftar.
Data la situazione venutasi a determinare sul campo di battaglia con l’assedio della capitale Tripoli, quest’ultimo – sostenuto da russi, francesi, sauditi e da altri Paesi del Golfo Persico – potrebbe essere in procinto di dare la “spallata finale” al governo libico (internazionalmente riconosciuto) presieduto da Fayez al-Serraj, stretto alleato di Ankara.
«Gli sviluppi in Libia non riguardano solo la Libia – ha dichiarato Erdoğan – ma hanno gravi conseguenze negative per i Paesi vicini, principalmente per la Tunisia».
Per il presidente turco la Tunisia può svolgere un ruolo importante nella ricerca di una soluzione alla crisi.
Egli ha quindi aggiunto che: «Abbiamo discusso dei passi da compiere per un cessate il fuoco e un ritorno a un processo politico in Libia. Sono convinto che la Tunisia fornirà contributi molto importanti e costruttivi a sostegno degli sforzi per un ritorno della stabilità in Libia».
Per quanto concerne invece il protocollo d’intesa raggiunto con la Libia, Erdoğan ha criticato la posizione della Grecia affermando che essa «non ha voce in capitolo», affermando inoltre che: «In Libia stiamo agendo con al-Serraj, che ha un riconoscimento internazionale, che non è invece il caso di Haftar».
Infine, a proposito del possibile invio di militari turchi in Libia, egli ha voluto precisare che: «Non siamo mai stati dove non siamo stati invitati e se dovessimo essere chiamati studieremo la questione».