AMBIENTE, de-carbonizzazione. Il dibattito sui costi della riduzione delle emissioni nocive

Per ridurre profondamente l’incidenza dei gas a effetto serra è essenziale una prospettiva a lungo termine sui costi. Kenneth Gillingham, analista di economia e ambiente a Yale, ha trattato l’argomento in un suo recente articolo pubblicato dal Fondo monetario internazionale, insidertrend.it ne propone una sintesi

Risale a pochi giorni fa il sostanziale fallimento della Cop 25 di Madrid, alla luce di questo risultato scienziati dell’ambiente ed economisti continuano a misurarsi con problemi, discussi ma non risolti, alla conferenza internazionale su ambiente e clima.

Sul banco degli imputati le emissioni di CO2, che a parole – ma non tutti – vorrebbero mitigare con un graduale e allo stesso tempo intenso processo di de-carbonizzazione.

Gli attuali mutamenti climatici vengono associati da buona parte del consesso scientifico a catastrofi naturali sempre più frequenti e intense, che vanno dalle siccità e dagli incendi boschivi agli uragani e alle inondazioni costiere.

Anche se l’entità del danno economico da esse provocato non può essere stabilita con certezza, gli elementi in possesso di studiosi ed economisti suggeriscono comunque che sia piuttosto grave.

Ai decisori politici si pone dunque la sfida su quanto e dove investire al fine di ridurre le emissioni di gas a effetto serra, essi tuttavia per poterlo fare dovranno essere in grado di confrontare i costi relativi alle varie opzioni, tra le quali figurano le fonti di energia rinnovabile e i veicoli a trazione elettrica.

Una sfida che assume sempre maggiore urgenza, poiché gli scienziati del clima sostengono che la riduzione delle emissioni dovrebbe essere rapida e profonda, con l’obiettivo di raggiungere lo zero netto entro il 2050, se non addirittura prima.

Un obiettivo che richiederà una vasta trasformazione delle fonti energetiche cui si è fatto finora ricorso al fine di alimentare l’economia globale, che, se realmente perseguito, significherebbe andare ben oltre il progresso tecnologico come accaduto nel passato dell’umanità.

Tuttavia, secondo l’International Energy Outlook 2019 redatto dell’Amministrazione Usa, nel 2050 i combustibili fossili continueranno a essere impiegati per l’elettro generazione per una quota pari al 57% del totale delle fonti disponibili.

Quindi il quesito da porsi è quanto costerebbe superare il tradizionale business per giungere entro il 2050 a un livello di emissioni pari allo zero netto?

Per fornirvi una risposta sarà necessario distinguere tra costi a breve e a lungo termine.

Infatti, a breve termine esistono alcune soluzioni  che consentirebbero di ridurre le emissioni, però dei tagli più profondi si scontrerebbero con un rapido incremento dei costi da sostenere.

Tuttavia alcune attività (in particolare quelle delle tecnologie a basse emissioni di carbonio), apparentemente costose nel breve termine, potrebbero invece rivelarsi a lungo termine degli approcci convenienti in ragione dell’innovazione indotta.

È un’analisi che pone in evidenza che il costo a lungo termine della mitigazione degli effetti sull’ambiente può essere inferiore a quello frequentemente ipotizzato.

Costi a breve termine delle tecnologie disponibili. Nel calcolo degli oneri a breve termine cui farsi carico al fine di ridurre le emissioni di gas a effetto serra, gli economisti stimano i costi iniziali dividendoli successivamente per il numero di tonnellate di emissioni di biossido di carbonio (o equivalente) ridotte.

Si supponga che uno Stato spenda venti milioni di dollari per promuovere lo sviluppo di parchi eolici per generare elettricità, riducendo le emissioni di biossido di carbonio di un milione di tonnellate, ebbene, in questo caso il costo a breve termine della mitigazione ammonterebbe a venti dollari per tonnellata.

Si tratta di un metodo utile al confronto dei costi relativi alle varie modalità di riduzione delle emissioni, seppure comporti una certa cautela nell’interpretazione dei risultati quando ricavati isolatamente da una singola tecnologia o politica, poiché potrebbero verificarsi interazioni tra politiche e costi associati alle tecnologie, variabili a seconda dell’ubicazione e dell’esatta applicazione di queste ultime, e le stime di tali costi mutano anno dopo anno.

Come il costo di produzione di energia da solare ed eolico, che è diminuito rapidamente nell’ultimo decennio, un trend che sembrerebbe proseguire.

Gillingham e Stock hanno stimato i costi non sovvenzionati delle varie tecnologie per ridurre le emissioni di gas a effetto serra sulla base di una revisione della recente letteratura economica e delle prospettive energetiche riferite al 2018 negli Usa.

Essi vengono espressi in relazione alla produzione di carbone esistente, che è un parametro utile poiché questo genere di combustibile fossile è quello a maggiore intensità di carbonio.

Saranno molti i paesi nei quali i responsabili delle politiche ambientali dovranno decidere se chiudere o meno gli impianti alimentati a carbone ancora in funzione.

Le tecnologie energetiche basate su fonti rinnovabili risultano essere tra le meno costose, ma nei fatti il costo dell’eolico e del solare può essere ancora più basso quando gli operatori sono in condizioni di beneficiare di sovvenzioni dirette o indirette.

In ogni caso, queste stime non tengono conto della discontinuità propria delle fonti rinnovabili, conseguentemente, a elevati livelli di utilizzo esse necessitano di un’integrazione con tecnologie di stoccaggio come l’accumulo idroelettrico di pompaggio o le batterie, oppure con forme di generazione in grado di colmare rapidamente i gap nei casi in cui l’approvvigionamento da eolico o da solare va rarefacendosi.

Negli Stati Uniti, un’alternativa economica al carbone che non pesi sul piano delle emissioni nocive è quella delle centrali elettriche a elevata efficienza che incorporano sia le turbine a gas che quelle a vapore, cioè gli impianti a ciclo combinato di gas naturale, una soluzione resa possibile dall’attuale abbondante offerta di gas sui mercati, negli Usa anche di scisto fracked.

Ma in quest’ultimo caso la stima di un costo di 27 dollari per tonnellata è calcolato sulla base dell’assenza di fuoriuscite di metano dai pozzi estrattivi, condutture o impianti di stoccaggio. Infatti, il metano è un potente gas serra, la cui dispersione nell’atmosfera – come attesta il precedente relativo alla gigantesca perdita di Aliso Canyon, in California nel 2015 – ha evidenziato che la generazione di gas naturale può produrre emissioni di gas a effetto serra più elevate, quindi maggiori costi per tonnellata rispetto a tutti i gas a effetto serra ridotti.

Costi sociali. Per comprendere la convenienza dell’impiego di risorse economiche per la riduzione delle emissioni è utile confrontare queste ultime con le stime relative ai costi sociali generati dal carbonio, quantificando i danni incrementali derivanti dall’emissione di una tonnellata di anidride carbonica e di altri gas a effetto serra nell’atmosfera.

Un danno comprendente fattori quali le perdite (o i guadagni nei climi settentrionali) causate all’agricoltura dal riscaldamento globale, o le inondazioni derivanti dall’aumento del livello delle acque marine, nonché la devastazioni provocate dai cicloni tropicali e dagli incendi.

Diverse tecnologie per la mitigazione degli effetti derivanti dalle emissioni nocive si sono rivelate meno costose di quanto previsto.

Un recente rapporto elaborato dal Fondo Monetario internazionale (Fmi) stima che una tassa di 75 dollari per tonnellata di biossido di carbonio imposta in tutto il mondo consentirebbe il raggiungimento dell’obiettivo fissato nell’Accordo di Parigi, che limita il riscaldamento globale a due gradi rispetto ai livelli preindustriali.

Se tale stima risulterà attendibile vorrà dire che, ad esempio, il nucleare avanzato si configurerà come un’opzione meno onerosa sul piano dei costi sociali imposti dal carbonio.

Costi a breve termine di queste politiche. Finora sono stati esaminati i costi di quelle tecnologie non sovvenzionate risultate utili alla comprensione della direzione che i mercati potranno prendere nel prossimo futuro.

Parallelamente alla sostituzione di quegli impianti giunti al termine della loro vita operativa oppure divenuti obsoleti, si assisterà a un cambiamento in direzione delle tecnologie per rinnovabili, indipendentemente dalle politiche in materia energetica e ambientale.

Una transizione che, però, potrebbe risultare molto più lento rispetto agli ambiziosi obiettivi fissati da non pochi governi, che impone dunque anche la quantificazione dei costi derivanti da pratiche di riduzione delle emissioni poste in essere attraverso le possibili diverse misure di natura politica assunte dai vari governi.

La letteratura economica rivela un’ampia gamma di costi relativi alle politiche, siano esse attuate che soltanto valutate. Gli interventi di efficienza energetica sono quelli più immediati e portano a risparmi di denaro attraverso semplici informazioni che influenzano le decisioni degli utenti sui consumi di energia indirizzandole verso un approccio maggiormente rispettoso dell’ambiente.

In questa categoria, ad esempio, rientrano  i dati comparativi presenti nelle fatture commerciali inviate alla loro clientela dalle aziende che erogano elettricità, prospetti che confrontano nel dettaglio i consumi di energia elettrica di un nucleo famigliare con quello dei suoi vicini.

Si tratta di interventi non eccessivamente impegnativi che possono ridurre i consumi di elettricità di circa il 2%, con conseguenti risparmi netti.

Mentre queste misure possono pagarsi da sole, le riduzioni delle emissioni che ne conseguono tendono invece a risultare modeste, incidendo così in maniera relativamente limitato nel quadro dello sforzo complessivo di de-carbonizzazione.

Altre politiche, invece, guardando ai costi da sostenere sul breve termine appaiono essere meno onerose, ma nei fatti poi non lo sarebbero affatto. Al riguardo Gillingham cita l’esempio delle politiche di de-carbonizzazione perseguite mediante l’impiego di elettricità nel sistema dei trasporti, con annesse erogazioni di  sussidi ai veicoli elettrici.

Egli afferma che tutto ciò sarebbe sconveniente poiché in molti luoghi gli accumulatori in batteria di questi stessi veicoli vengono caricati facendo ricorso a energia elettrica generata da fonti fossili, fatto che riduce i potenziali risparmi di emissioni.

Tuttavia, in ultima analisi tali tecnologie potrebbero rivelarsi più economiche di quanto suggerirebbero le stime elaborate per il breve termine, in quanto si potrebbero concretizzare tutta una serie di benefici collaterali come la riduzione dell’inquinamento atmosferico, benefici che potrebbero renderle attraenti seppure esse comportino degli elevati costi nei termini della riduzione delle emissioni di carbonio.

Inoltre, ma a più lungo termine, le riduzioni delle emissioni e la riduzione dei costi per tonnellata potranno configurarsi in maniera del tutto diversa da quella attuale a causa delle ricadute generate dai cambiamenti tecnologici indotti.

Costi dinamici a lungo termine. I mutamenti climatici sono un problema a lungo termine, intergenerazionale. L’anidride carbonica nell’atmosfera persiste infatti da centinaia di anni, pertanto i cambiamenti introdotti sul piano tecnologico e l’innovazione permarranno ancora per molto tempo al centro degli sforzi tesi alla mitigazione del clima prima di giungere allo sviluppo di alternative ai combustibili fossili.

Oggi sono già disponibili tecnologie che consentono di ridurre notevolmente le emissioni nocive, inoltre, malgrado l’enorme inerzia del sistema energetico, esistono anche notevoli spazi per ulteriori riduzioni dei costi.

Una prospettiva dinamica che spiega come gli attuali investimenti in nuove tecnologie possano ridurre i costi futuri della riduzione delle emissioni.

Gli economisti sono consapevoli che ricerca e sviluppo generano un allargamento della base dei possibili risultati, questo perché spesso le imprese che vi investono possono trarne vantaggio soltanto in parte.

Si pensi, ad esempio, alla situazione che si viene a determinare ogni qual volta scade un brevetto, quando cioè ogni impresa è in grado di avvantaggiarsi da esso in un quadro di innovazione associata.

In altri casi invece, l’ingegneria e i miglioramenti apportati allo sviluppo di una nuova tecnologia dal management aziendale portano all’abbassamento dei costi di processo, con l’effetto ulteriore del riversamento di tali riduzioni su altre aziende.

Inoltre sono possibili anche effetti positivi di rete derivanti dall’adozione di un unico standard, come nel caso di una presa di alimentazione impiegabile nella fase di ricarica di tutti i veicoli elettrici.

Oltre a questi tre  esempi, le recenti innovazioni introdotte nel campo della generazione di «energia pulita» hanno evidenziato come politiche di spesa ottimali possono essere tra loro molto diverse nei termini degli effetti sul lungo termine.

Alcuni degli approcci alla riduzione delle emissioni, sicuramente costosi nel breve termine, sono infatti in grado di stimolare l’innovazione, con la conseguenza di rendere i costi sul lungo termine inferiori rispetto a quelli preventivati in fase di pianificazione sulla base degli approcci possibili allo stato attuale.

È il caso delle sovvenzioni concesse alle imprese che sono dedite allo sviluppo di veicoli elettrici, che hanno applicato i loro centri di ricerca a tecnologie in rapida evoluzione, come quelle delle batterie.

In linea di principio, tale constatazione ha valore anche se solo una singola impresa adotta un processo innovativo a basse emissioni di carbonio, poiché all’atto pratico si verificheranno egualmente con quasi certezza redistribuzioni di conoscenza che porteranno a minori costi sul lungo termine.

La visione chiave – afferma Gillingham – è che quando la società sceglie come affrontare al meglio il cambiamento climatico, la decisione ottimale a lungo termine può differire dalla decisione miope assunta nel breve termine.

Ma, naturalmente non è facile prevedere come si svilupperà la tecnologia, quindi ogni decisione comporterà una dose di incertezze, tuttavia è noto che le tecnologie mature hanno meno probabilità di progredire rispetto a quelli nascenti, pertanto la visione sul lungo termine andrebbe applicata soltanto a quelle nuove e a bassa emissione di carbonio, che presentino un concreto potenziale di riduzione dei costi nel futuro.

La sfida attuale. Tornando al quesito posto inizialmente, cioè se sia possibile de-carbonizzare abbastanza per giungere entro il 2050 a un livello di emissioni di gas a effetto serra prossimo allo zero, è possibile affermare che questo oggi è fattibile, poiché le tecnologie necessarie esistono.

Ma una trasformazione a tal punto radicale ed estesa del sistema energetico imporrà dei costi eccessivamente impegnativi se intrapresa in una volta sola, soprattutto tenuto conto dei giganteschi oneri nell’immediato cui dovrebbero farsi carico i Paesi in via di sviluppo che dipendono dai combustibili fossili nella loro fase di transizione.

Sono certamente disponibili misure a buon mercato alla portata anche di essi, tra queste figurano la conservazione dell’energia, i bilanci di efficienza e la sostituzione delle fonti fossili con fonti rinnovabili nella produzione di energia elettrica.

Si tratterebbe di misure che presenterebbero costi di per sé già inferiori a quelli derivanti dai danni causati dal cambiamento climatico.

Altri attuali approcci risultano invece piuttosto costosi nel breve termine, in particolare quelli alla promozione di nuove tecnologie a bassa emissione di carbonio.

Ma – e lo si è affermato chiaramente -, quando le politiche presentano un forte potenziale di stimolo dell’innovazione, sono in grado di abbassare i costi complessivi totali nel lungo termine.

Una prospettiva, quella a lungo termine, che dovrebbe tenere in considerazione l’innovazione quale elemento cruciale nell’affrontare il cambiamento climatico.

Innovazioni come i piccoli reattori nucleari modulari o le tecnologie di cattura del carbonio potrebbero cambiare le carte in tavola e portare al conseguimento dell’obiettivo dell’abbattimento delle emissioni di gas a effetto serra.

Elaborare delle previsioni sul tema è certamente difficile – conclude Kenneth Gillingham –, tuttavia non lo è pianificare il futuro fornendo incentivi sia per la riduzione dei gas a effetto serra, sia per l’innovazione a basse emissioni di carbonio, investendo giudiziosamente anche nelle nuove tecnologie.

 

Di seguito è possibile leggere il testo integrale in lingua inglese dell’articolo di Kenneth Gillingham, professore associato di Economia ambientale ed energetica alla Yale University.
(https://www.imf.org/external/pubs/ft/fandd/2019/12/the-true-cost-of-reducing-greenhouse-gas-emissions-gillingham.htm)
Esso è tratto dal sito web del Fondo monetario internazionale ed è l’adattamento di un’altra analisi dell’economista americano risalente al 2018, “the Cost of Reducing Greenhouse Gas Emissions”, elaborata assieme a James H. Stock, pubblicata dalla rivista “Economic Perspectives”.
Carbon Calculus. For deep greenhouse gas emission reductions, a long-term perspective on costs is essential
The scientific consensus is clear: climate change is associated with increasingly frequent and intense natural disasters ranging from droughts and wildfires to hurricanes and coastal flooding. While the extent of the economic damage cannot be known for certain, strong evidence suggests it could be quite severe. The challenge for policymakers will be to decide how much to spend on measures to reduce greenhouse gas emissions. To do that, they must be able to compare the costs of various options, including renewable-energy sources and electric cars.
The challenge is taking on increasing urgency in the policy world as climate scientists argue that emission reductions must be rapid and deep, with a goal of reaching net zero by 2050, if not sooner (Millar and others 2017). That goal, which many countries have already embraced, will require a vast transformation of the energy sources used to power the global economy, and it would mean going far beyond business-as-usual technological progress. Indeed, the US Energy Information Administration’s International Energy Outlook 2019 projects that fossil fuels will still generate 57 percent of electricity in 2050.
How much would it cost to move beyond business as usual and come within striking distance of net-zero emissions by 2050? To answer this question, it’s important to distinguish between short- and long-term costs. In the short term, there are some inexpensive ways to reduce emissions, but deeper cuts run up against quickly rising costs. However, some activities—especially those involving fledgling low-carbon technologies—that appear expensive in the short term may actually turn out to be low-cost approaches in the long term, because of induced innovation. This insight suggests that the longer-term cost of mitigation may be lower than is widely assumed.
Short-term costs of technologies. To calculate the short-term costs of mitigating greenhouse gas emissions, economists estimate the up-front costs and divide by the number of tons of carbon dioxide (or equivalent) emissions reduced. For example, suppose a government spends $20 million to promote the development of wind farms to generate electricity, reducing carbon dioxide emissions by 1 million tons. The short-term cost of the mitigation would be $20 per ton. This method provides a useful way of comparing the costs of various ways of reducing emissions.
Of course, one must be cautious in interpreting results focused on an individual technology or policy in isolation. For instance, there could be interactions among policies, and the costs associated with technologies may vary by location and exactly how the technology is implemented. And estimates of such costs are changing every year. Indeed, the cost of solar and wind generation has declined rapidly over the past decade, and the decline appears likely to continue.
My colleague James Stock and I estimated the unsubsidized costs of various technologies to reduce greenhouse gas emissions based on a review of recent economic literature and the Energy Information Administration’s Annual Energy Outlook 2018 (Chart 1). The costs are expressed in relation to existing coal generation, which is a useful benchmark because coal is the most carbon-intensive fuel. In many countries, policymakers will have to decide whether to close existing coal plants on the path toward decarbonization. These estimates are averages from the United States, and one should be cautious in applying them elsewhere.
The most striking takeaway is that renewable-energy technologies are among the least costly. (This result can be applied outside the United States, because markets for most renewable technologies are global.) In fact, the cost of wind and solar may be even lower when implicit or explicit subsidies are included. However, these estimates do not account for the intermittency of renewable energy generation—after all, the sun does not shine and wind does not blow all the time (Joskow 2019). At high levels of use, renewables must be complemented with storage technologies such as pumped hydroelectric storage or batteries, or with a form of generation that can quickly fill the gap when the supply of wind or solar power falters.
In the United States, a low-cost, low-carbon alternative to coal is a power plant that incorporates both gas and steam turbines to increase efficiency. Known as natural gas combined-cycle generation, this solution takes advantage of the copious supply of inexpensive fracked shale gas. One caveat: the estimated cost of $27 per ton assumes that no methane leaks from wells, pipelines, or storage facilities. Methane is a potent greenhouse gas, and the gigantic leak at Aliso Canyon, California, in 2015 shows that natural-gas generation may produce higher greenhouse gas emissions—and thus higher costs per ton of all greenhouse gases reduced.
Social cost. To understand how sensible it is to spend money on these emissions reductions, we can compare them to estimates of carbon’s social cost, which quantifies the incremental damage resulting from emitting a ton of carbon dioxide and other greenhouse gases into the atmosphere. This incremental damage includes factors such as losses (or gains in northern climates) to agriculture caused by global warming, flooding from sea level rise, and destruction from more-severe tropical cyclones and additional wildfires. The administration of US President Barack Obama developed a central-case estimate of $50 per ton of carbon dioxide in 2019.
Several technologies for mitigation turn out to be less expensive than carbon when this estimate of carbon’s social cost is used (suggesting they are no-brainers), while others are more expensive, such as solar thermal and offshore wind. Benchmarks other than the $50 per ton estimate may also be useful. For instance, a recent IMF report estimates that a tax of $75 per ton of carbon dioxide applied around the world would make it possible to meet the Paris Agreement target of limiting global warming to 2˚C over preindustrial levels. If this $75 estimate is used instead of $50, advanced nuclear becomes another option that is less expensive than carbon’s social cost.
Short-term costs of policies. So far, we have looked at the costs today of unsubsidized technologies, which is useful for understanding the direction markets will be going in the near future. It is clear that as old generation plants are retired and new ones are built, there will be a shift toward renewable-energy technologies, regardless of policy. However, this switch may be much slower than would otherwise be dictated by the ambitious goals many governments have set. So it is also important to understand the costs of emission reductions resulting from different policy measures governments could undertake.
A look at studies in the economics literature reveals an extremely wide range of costs for policies that have been implemented and evaluated (Table 1). At the low end are energy efficiency interventions, which actually save money. In behavioral economics, these are often referred to as “nudges,” because they simply involve providing or reframing information to influence, or nudge, energy-consumption-related decisions toward a more environmentally friendly approach. A well-known example are reports included in electricity bills that compare a household’s electricity use with that of its neighbors. Such interventions are inexpensive and can reduce electricity use by about 2 percent, yielding net savings. While these measures may pay for themselves, the resulting emission reductions tend to be modest and have a relatively small role in deeper decarbonization efforts.
At the high-cost end are many policies that appear to be quite expensive when looking at short-run, static costs. Most notable are policies to induce additional renewable generation and to help decarbonize transportation. In fact, the most expensive are subsidies for electric vehicles. This is because in many places, such vehicles are charged using electricity from fossil fuel sources, which reduces potential emission savings.
Yet such technologies may ultimately be cheaper than the table’s short-term estimates suggest. That’s because many may provide side benefits such as reduced air pollution, which could make them attractive even if they entail high carbon emission-reduction costs. Moreover, in the longer term, their resulting emission reductions and cost per ton reduced may look very different, owing to spillovers from induced technological change.
Long-term, dynamic costs. Why do innovation spillovers make a difference? Climate change is a long-term, intergenerational problem, with carbon dioxide in the atmosphere persisting for hundreds to thousands of years. Thus, technological change and innovation are central to longer-term efforts to mitigate climate change by developing alternatives to fossil fuels. While technologies to steeply reduce emissions are available today, there is not only tremendous inertia in the energy system, but also much room for further cost declines in the technology. These considerations lend themselves to a long-term, dynamic perspective that accounts for how spending on new technologies today may lower the cost of reducing emissions in the future.
There are several reasons why taking the longer-run, dynamic perspective makes sense. Economists know that research and development generates spillovers because firms often can only partly appropriate the gains it brings. For example, once a patent expires, any firm can take advantage of the associated innovation. There may also be cases where engineering and managerial improvements from producing a new technology lower the technology’s costs (often called “learning by doing”), and some of the cost reductions may spill over to other firms. For instance, there is evidence that firms in the semiconductor industry lowered their production costs as they produced more of each generation of semiconductors and that these lowered costs spilled over to other firms (Irwin and Klenow 1994). There may also be positive network effects, with benefits to society from the adoption of a single standard, such as one plug that works for charging all electric vehicles. All three types of spillovers allow other firms to reduce costs, improving social welfare and providing an economic motivation for carefully designed policies to foster such spillovers.
Apart from spillovers, recent work in the economics of clean-energy innovation has emphasized that optimal policy may be quite different in the long term simply because expenditures today may have long-term effects. Some of the approaches to reducing emissions that are more expensive in the short term may spur innovation that could lead to lower long-term costs than existing approaches. Consider subsidies for electric vehicles, which include rapidly improving technology such as batteries. If policy today for clean technology can reduce costs substantially in the future, then it may make sense to undertake more expensive options today (Acemoglu and others 2016; Vogt-Schilb and others 2018). In principle, this finding holds even if only a single firm adopts the low-carbon innovation (so there would be no innovation spillovers), although in practice there will almost certainly be spillovers leading to lower long-term costs. The key insight is that when society chooses how best to address climate change, the optimal long-term decision may differ from the short-term, myopic decision. Of course, it is not easy to foresee how technology will unfold, so any decision involves uncertainty. But we know that mature technologies are less likely to see major leaps than nascent ones. Thus, the long-term view applies only to newer low-carbon technologies with real potential to reduce costs in the future.
Game changers. Let’s return to our original question. Is it possible to decarbonize deeply enough to come within striking distance of net-zero greenhouse gas emissions by 2050? Yes, it is feasible even today—the technologies exist. Yet such a vast transformation of the energy system will be costly and challenging if attempted all at once, especially considering the large short-term costs of the transition for fossil-fuel-reliant developing nations. There are certainly inexpensive measures that can be implemented today, including energy conservation, efficiency nudges, and the replacement of retiring fossil-fuel powered electricity generation with renewables. The costs of these measures are already lower than the damage from climate change they would avert, based on estimates of carbon’s social cost. But many other approaches are quite costly in the short term, especially efforts to promote new low-carbon technologies. However, when the policies have strong potential to spur innovation, they may lead to much lower total costs over the longer term.
A long-term perspective that keeps innovation in mind is crucial in considering ways to tackle climate change. Innovations such as small modular nuclear reactors and carbon capture technologies could be game changers in achieving net-zero greenhouse gas emissions at a low cost. Granted, as the Danish physicist Niels Bohr said, “prediction is very difficult, especially if it is about the future.” The future path of technology is unknown, so we can at best speculate about the ultimate cost of reaching net zero. Yet we can plan for the future without regret by providing incentives for both low-cost greenhouse gas mitigation and low-carbon innovation, such as economy-wide carbon pricing, while also judiciously investing in new technologies.
KENNETH GILLINGHAM is an associate professor of environmental and energy economics at Yale University. This article is adapted from a 2018 article he wrote with James H. Stock, “The Cost of Reducing Greenhouse Gas Emissions,” published in the Journal of Economic Perspectives..
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