Risale a pochi giorni fa il sostanziale fallimento della Cop 25 di Madrid, alla luce di questo risultato scienziati dell’ambiente ed economisti continuano a misurarsi con problemi, discussi ma non risolti, alla conferenza internazionale su ambiente e clima.
Sul banco degli imputati le emissioni di CO2, che a parole – ma non tutti – vorrebbero mitigare con un graduale e allo stesso tempo intenso processo di de-carbonizzazione.
Gli attuali mutamenti climatici vengono associati da buona parte del consesso scientifico a catastrofi naturali sempre più frequenti e intense, che vanno dalle siccità e dagli incendi boschivi agli uragani e alle inondazioni costiere.
Anche se l’entità del danno economico da esse provocato non può essere stabilita con certezza, gli elementi in possesso di studiosi ed economisti suggeriscono comunque che sia piuttosto grave.
Ai decisori politici si pone dunque la sfida su quanto e dove investire al fine di ridurre le emissioni di gas a effetto serra, essi tuttavia per poterlo fare dovranno essere in grado di confrontare i costi relativi alle varie opzioni, tra le quali figurano le fonti di energia rinnovabile e i veicoli a trazione elettrica.
Una sfida che assume sempre maggiore urgenza, poiché gli scienziati del clima sostengono che la riduzione delle emissioni dovrebbe essere rapida e profonda, con l’obiettivo di raggiungere lo zero netto entro il 2050, se non addirittura prima.
Un obiettivo che richiederà una vasta trasformazione delle fonti energetiche cui si è fatto finora ricorso al fine di alimentare l’economia globale, che, se realmente perseguito, significherebbe andare ben oltre il progresso tecnologico come accaduto nel passato dell’umanità.
Tuttavia, secondo l’International Energy Outlook 2019 redatto dell’Amministrazione Usa, nel 2050 i combustibili fossili continueranno a essere impiegati per l’elettro generazione per una quota pari al 57% del totale delle fonti disponibili.
Quindi il quesito da porsi è quanto costerebbe superare il tradizionale business per giungere entro il 2050 a un livello di emissioni pari allo zero netto?
Per fornirvi una risposta sarà necessario distinguere tra costi a breve e a lungo termine.
Infatti, a breve termine esistono alcune soluzioni che consentirebbero di ridurre le emissioni, però dei tagli più profondi si scontrerebbero con un rapido incremento dei costi da sostenere.
Tuttavia alcune attività (in particolare quelle delle tecnologie a basse emissioni di carbonio), apparentemente costose nel breve termine, potrebbero invece rivelarsi a lungo termine degli approcci convenienti in ragione dell’innovazione indotta.
È un’analisi che pone in evidenza che il costo a lungo termine della mitigazione degli effetti sull’ambiente può essere inferiore a quello frequentemente ipotizzato.
Costi a breve termine delle tecnologie disponibili. Nel calcolo degli oneri a breve termine cui farsi carico al fine di ridurre le emissioni di gas a effetto serra, gli economisti stimano i costi iniziali dividendoli successivamente per il numero di tonnellate di emissioni di biossido di carbonio (o equivalente) ridotte.
Si supponga che uno Stato spenda venti milioni di dollari per promuovere lo sviluppo di parchi eolici per generare elettricità, riducendo le emissioni di biossido di carbonio di un milione di tonnellate, ebbene, in questo caso il costo a breve termine della mitigazione ammonterebbe a venti dollari per tonnellata.
Si tratta di un metodo utile al confronto dei costi relativi alle varie modalità di riduzione delle emissioni, seppure comporti una certa cautela nell’interpretazione dei risultati quando ricavati isolatamente da una singola tecnologia o politica, poiché potrebbero verificarsi interazioni tra politiche e costi associati alle tecnologie, variabili a seconda dell’ubicazione e dell’esatta applicazione di queste ultime, e le stime di tali costi mutano anno dopo anno.
Come il costo di produzione di energia da solare ed eolico, che è diminuito rapidamente nell’ultimo decennio, un trend che sembrerebbe proseguire.
Gillingham e Stock hanno stimato i costi non sovvenzionati delle varie tecnologie per ridurre le emissioni di gas a effetto serra sulla base di una revisione della recente letteratura economica e delle prospettive energetiche riferite al 2018 negli Usa.
Essi vengono espressi in relazione alla produzione di carbone esistente, che è un parametro utile poiché questo genere di combustibile fossile è quello a maggiore intensità di carbonio.
Saranno molti i paesi nei quali i responsabili delle politiche ambientali dovranno decidere se chiudere o meno gli impianti alimentati a carbone ancora in funzione.
Le tecnologie energetiche basate su fonti rinnovabili risultano essere tra le meno costose, ma nei fatti il costo dell’eolico e del solare può essere ancora più basso quando gli operatori sono in condizioni di beneficiare di sovvenzioni dirette o indirette.
In ogni caso, queste stime non tengono conto della discontinuità propria delle fonti rinnovabili, conseguentemente, a elevati livelli di utilizzo esse necessitano di un’integrazione con tecnologie di stoccaggio come l’accumulo idroelettrico di pompaggio o le batterie, oppure con forme di generazione in grado di colmare rapidamente i gap nei casi in cui l’approvvigionamento da eolico o da solare va rarefacendosi.
Negli Stati Uniti, un’alternativa economica al carbone che non pesi sul piano delle emissioni nocive è quella delle centrali elettriche a elevata efficienza che incorporano sia le turbine a gas che quelle a vapore, cioè gli impianti a ciclo combinato di gas naturale, una soluzione resa possibile dall’attuale abbondante offerta di gas sui mercati, negli Usa anche di scisto fracked.
Ma in quest’ultimo caso la stima di un costo di 27 dollari per tonnellata è calcolato sulla base dell’assenza di fuoriuscite di metano dai pozzi estrattivi, condutture o impianti di stoccaggio. Infatti, il metano è un potente gas serra, la cui dispersione nell’atmosfera – come attesta il precedente relativo alla gigantesca perdita di Aliso Canyon, in California nel 2015 – ha evidenziato che la generazione di gas naturale può produrre emissioni di gas a effetto serra più elevate, quindi maggiori costi per tonnellata rispetto a tutti i gas a effetto serra ridotti.
Costi sociali. Per comprendere la convenienza dell’impiego di risorse economiche per la riduzione delle emissioni è utile confrontare queste ultime con le stime relative ai costi sociali generati dal carbonio, quantificando i danni incrementali derivanti dall’emissione di una tonnellata di anidride carbonica e di altri gas a effetto serra nell’atmosfera.
Un danno comprendente fattori quali le perdite (o i guadagni nei climi settentrionali) causate all’agricoltura dal riscaldamento globale, o le inondazioni derivanti dall’aumento del livello delle acque marine, nonché la devastazioni provocate dai cicloni tropicali e dagli incendi.
Diverse tecnologie per la mitigazione degli effetti derivanti dalle emissioni nocive si sono rivelate meno costose di quanto previsto.
Un recente rapporto elaborato dal Fondo Monetario internazionale (Fmi) stima che una tassa di 75 dollari per tonnellata di biossido di carbonio imposta in tutto il mondo consentirebbe il raggiungimento dell’obiettivo fissato nell’Accordo di Parigi, che limita il riscaldamento globale a due gradi rispetto ai livelli preindustriali.
Se tale stima risulterà attendibile vorrà dire che, ad esempio, il nucleare avanzato si configurerà come un’opzione meno onerosa sul piano dei costi sociali imposti dal carbonio.
Costi a breve termine di queste politiche. Finora sono stati esaminati i costi di quelle tecnologie non sovvenzionate risultate utili alla comprensione della direzione che i mercati potranno prendere nel prossimo futuro.
Parallelamente alla sostituzione di quegli impianti giunti al termine della loro vita operativa oppure divenuti obsoleti, si assisterà a un cambiamento in direzione delle tecnologie per rinnovabili, indipendentemente dalle politiche in materia energetica e ambientale.
Una transizione che, però, potrebbe risultare molto più lento rispetto agli ambiziosi obiettivi fissati da non pochi governi, che impone dunque anche la quantificazione dei costi derivanti da pratiche di riduzione delle emissioni poste in essere attraverso le possibili diverse misure di natura politica assunte dai vari governi.
La letteratura economica rivela un’ampia gamma di costi relativi alle politiche, siano esse attuate che soltanto valutate. Gli interventi di efficienza energetica sono quelli più immediati e portano a risparmi di denaro attraverso semplici informazioni che influenzano le decisioni degli utenti sui consumi di energia indirizzandole verso un approccio maggiormente rispettoso dell’ambiente.
In questa categoria, ad esempio, rientrano i dati comparativi presenti nelle fatture commerciali inviate alla loro clientela dalle aziende che erogano elettricità, prospetti che confrontano nel dettaglio i consumi di energia elettrica di un nucleo famigliare con quello dei suoi vicini.
Si tratta di interventi non eccessivamente impegnativi che possono ridurre i consumi di elettricità di circa il 2%, con conseguenti risparmi netti.
Mentre queste misure possono pagarsi da sole, le riduzioni delle emissioni che ne conseguono tendono invece a risultare modeste, incidendo così in maniera relativamente limitato nel quadro dello sforzo complessivo di de-carbonizzazione.
Altre politiche, invece, guardando ai costi da sostenere sul breve termine appaiono essere meno onerose, ma nei fatti poi non lo sarebbero affatto. Al riguardo Gillingham cita l’esempio delle politiche di de-carbonizzazione perseguite mediante l’impiego di elettricità nel sistema dei trasporti, con annesse erogazioni di sussidi ai veicoli elettrici.
Egli afferma che tutto ciò sarebbe sconveniente poiché in molti luoghi gli accumulatori in batteria di questi stessi veicoli vengono caricati facendo ricorso a energia elettrica generata da fonti fossili, fatto che riduce i potenziali risparmi di emissioni.
Tuttavia, in ultima analisi tali tecnologie potrebbero rivelarsi più economiche di quanto suggerirebbero le stime elaborate per il breve termine, in quanto si potrebbero concretizzare tutta una serie di benefici collaterali come la riduzione dell’inquinamento atmosferico, benefici che potrebbero renderle attraenti seppure esse comportino degli elevati costi nei termini della riduzione delle emissioni di carbonio.
Inoltre, ma a più lungo termine, le riduzioni delle emissioni e la riduzione dei costi per tonnellata potranno configurarsi in maniera del tutto diversa da quella attuale a causa delle ricadute generate dai cambiamenti tecnologici indotti.
Costi dinamici a lungo termine. I mutamenti climatici sono un problema a lungo termine, intergenerazionale. L’anidride carbonica nell’atmosfera persiste infatti da centinaia di anni, pertanto i cambiamenti introdotti sul piano tecnologico e l’innovazione permarranno ancora per molto tempo al centro degli sforzi tesi alla mitigazione del clima prima di giungere allo sviluppo di alternative ai combustibili fossili.
Oggi sono già disponibili tecnologie che consentono di ridurre notevolmente le emissioni nocive, inoltre, malgrado l’enorme inerzia del sistema energetico, esistono anche notevoli spazi per ulteriori riduzioni dei costi.
Una prospettiva dinamica che spiega come gli attuali investimenti in nuove tecnologie possano ridurre i costi futuri della riduzione delle emissioni.
Gli economisti sono consapevoli che ricerca e sviluppo generano un allargamento della base dei possibili risultati, questo perché spesso le imprese che vi investono possono trarne vantaggio soltanto in parte.
Si pensi, ad esempio, alla situazione che si viene a determinare ogni qual volta scade un brevetto, quando cioè ogni impresa è in grado di avvantaggiarsi da esso in un quadro di innovazione associata.
In altri casi invece, l’ingegneria e i miglioramenti apportati allo sviluppo di una nuova tecnologia dal management aziendale portano all’abbassamento dei costi di processo, con l’effetto ulteriore del riversamento di tali riduzioni su altre aziende.
Inoltre sono possibili anche effetti positivi di rete derivanti dall’adozione di un unico standard, come nel caso di una presa di alimentazione impiegabile nella fase di ricarica di tutti i veicoli elettrici.
Oltre a questi tre esempi, le recenti innovazioni introdotte nel campo della generazione di «energia pulita» hanno evidenziato come politiche di spesa ottimali possono essere tra loro molto diverse nei termini degli effetti sul lungo termine.
Alcuni degli approcci alla riduzione delle emissioni, sicuramente costosi nel breve termine, sono infatti in grado di stimolare l’innovazione, con la conseguenza di rendere i costi sul lungo termine inferiori rispetto a quelli preventivati in fase di pianificazione sulla base degli approcci possibili allo stato attuale.
È il caso delle sovvenzioni concesse alle imprese che sono dedite allo sviluppo di veicoli elettrici, che hanno applicato i loro centri di ricerca a tecnologie in rapida evoluzione, come quelle delle batterie.
In linea di principio, tale constatazione ha valore anche se solo una singola impresa adotta un processo innovativo a basse emissioni di carbonio, poiché all’atto pratico si verificheranno egualmente con quasi certezza redistribuzioni di conoscenza che porteranno a minori costi sul lungo termine.
La visione chiave – afferma Gillingham – è che quando la società sceglie come affrontare al meglio il cambiamento climatico, la decisione ottimale a lungo termine può differire dalla decisione miope assunta nel breve termine.
Ma, naturalmente non è facile prevedere come si svilupperà la tecnologia, quindi ogni decisione comporterà una dose di incertezze, tuttavia è noto che le tecnologie mature hanno meno probabilità di progredire rispetto a quelli nascenti, pertanto la visione sul lungo termine andrebbe applicata soltanto a quelle nuove e a bassa emissione di carbonio, che presentino un concreto potenziale di riduzione dei costi nel futuro.
La sfida attuale. Tornando al quesito posto inizialmente, cioè se sia possibile de-carbonizzare abbastanza per giungere entro il 2050 a un livello di emissioni di gas a effetto serra prossimo allo zero, è possibile affermare che questo oggi è fattibile, poiché le tecnologie necessarie esistono.
Ma una trasformazione a tal punto radicale ed estesa del sistema energetico imporrà dei costi eccessivamente impegnativi se intrapresa in una volta sola, soprattutto tenuto conto dei giganteschi oneri nell’immediato cui dovrebbero farsi carico i Paesi in via di sviluppo che dipendono dai combustibili fossili nella loro fase di transizione.
Sono certamente disponibili misure a buon mercato alla portata anche di essi, tra queste figurano la conservazione dell’energia, i bilanci di efficienza e la sostituzione delle fonti fossili con fonti rinnovabili nella produzione di energia elettrica.
Si tratterebbe di misure che presenterebbero costi di per sé già inferiori a quelli derivanti dai danni causati dal cambiamento climatico.
Altri attuali approcci risultano invece piuttosto costosi nel breve termine, in particolare quelli alla promozione di nuove tecnologie a bassa emissione di carbonio.
Ma – e lo si è affermato chiaramente -, quando le politiche presentano un forte potenziale di stimolo dell’innovazione, sono in grado di abbassare i costi complessivi totali nel lungo termine.
Una prospettiva, quella a lungo termine, che dovrebbe tenere in considerazione l’innovazione quale elemento cruciale nell’affrontare il cambiamento climatico.
Innovazioni come i piccoli reattori nucleari modulari o le tecnologie di cattura del carbonio potrebbero cambiare le carte in tavola e portare al conseguimento dell’obiettivo dell’abbattimento delle emissioni di gas a effetto serra.
Elaborare delle previsioni sul tema è certamente difficile – conclude Kenneth Gillingham –, tuttavia non lo è pianificare il futuro fornendo incentivi sia per la riduzione dei gas a effetto serra, sia per l’innovazione a basse emissioni di carbonio, investendo giudiziosamente anche nelle nuove tecnologie.