CRIMINALITÀ, stupefacenti. Taranto, gli «scafisti 4.0» e «l’altra» economia di Tamburi e Paolo VI

Smantellato un pericoloso sodalizio criminale italo-albanese dedito al traffico di stupefacenti nel Salento: tratte in arresto dodici persone. Le dinamiche criminali locali dopo il declino della Sacra corona unita

Con l’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice per le indagini preliminari (Gip) del Tribunale di Lecce nei confronti di dodici persone, tre cittadini italiani e nove albanesi, si è conclusa un’articolata indagine su un traffico internazionale di sostanze stupefacenti condotta dalla Direzione distrettuale antimafia della Procura della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo salentino.

Essa ha portato all’individuazione di tre distinte associazioni criminali costituite da persone di nazionalità italiana e albanese, tutte dedite all’importazione da oltre Adriatico e dall’Olanda di ingenti quantitativi di stupefacenti.

Vasto lo spettro delle sostanze trattate, che comprendeva cocaina, eroina, hashish e marijuana, droghe introdotte in territorio pugliese e successivamente commercializzate nelle piazze di spaccio delle province di Brindisi, Lecce e Taranto.

L’operazione – che ha visto protagonisti i militari del Nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di Finanza di Taranto – è originata da una perquisizione a seguito della quale sono stati rinvenuti e quindi sequestrate armi, munizioni e un lampeggiante blu in dotazione alle forze di polizia, materiali in massima parte interrati in un fondo agricolo.

Un successivo esame ha stabilito che quelle armi – fornite dalla criminalità locale – , recanti le matricole abrase, erano classificabili “da guerra”, inoltre alterate al fine di potenziarne la capacità offensiva.  e di immediato utilizzo e con matricola abrasa.

Una volta avviate, le investigazioni hanno fatto emergere i fitti rapporti tra alcuni pregiudicati, sia albanesi che italiani, gravitanti nell’orbita di esponenti della malavita tarantina, soggetti egemoni nei quartieri di Salinella, Tamburi e Paolo VI, gli ultimi due posti negli ultimi tempi all’attenzione dell’opinione pubblica a causa della controversa vicenda del complesso siderurgico Ilva (già Italsider).

Attualmente, la criminalità locale si approvvigiona presso quella della sponda orientale dell’Adriatico, ma quest’ultima – come evidenziano anche le risultanze di questa stessa indagine -, seppure presente e attiva in Puglia attraverso suoi elementi, non ne controlla tuttavia il territorio, ma questi soggetti svolgono comunque un importante ruolo di player nel settore degli stupefacenti.

Essi praticano prezzi contenuti grazie anche alla ridota distanza del braccio di mare attraversato dai carichi e alle quantità molto elevate di droghe trasportate.

Nel caso di specie, le imbarcazioni dei trafficanti salpavano da una insenatura a nord della città portuale di Durazzo, tuttavia, allo stato delle indagini gli inquirenti ancora non si sbilanciano riguardo alla riconducibilità di questi soggetti a clan o sodalizi criminali dell’area di Durazzo o valonesi.

Gli uomini della Guardia di Finanza ha arrestato gli scafisti che pilotavano i gommoni una volta sul territorio italiano, poiché la collaborazione con le autorità di Tirana si è limitata al monitoraggio dei carichi di droga, dunque non c’è stata una rogatoria che poteva consentire l’individuazione dei loro complici in territorio albanese.

Attraverso le non facili investigazioni, militari e magistratura sono giunti a delineare in modo puntuale sia la composizione che la struttura gerarchica delle organizzazioni criminali, distintesi per la particolare cautela mediante la quale gestivano i loro traffici illeciti.

La loro forte connotazione criminale emergerebbe anche dall’elevato livello logistico  raggiunto, infatti, dalle comunicazioni intercorse tra i sodali si è potuto apprendere la disposizione di laboratori di raffinazione dove cocaina ed eroina veniva tagliata, nonché di depositi per lo stoccaggio della marjuana.

I carichi nel tempo trasportati erano variegati quanto a composizione e diversi erano anche i punti di imbarco: se marijuana (prodotta in loco) e hashish salpavano dall’Albania – da dove in alcuni casi veniva imbarcata anche l’eroina proveniente dalla Turchia -, per la cocaina la base logistica era nel gigantesco porto di Rotterdam, uno degli accessi europei più importanti della droga.

Dall’Olanda i carichi venivano quindi fatti pervenire in Salento per mezzo di corrieri, che effettuavano anche delle soste a Rimini per rifornire alcuni pusher locali.

Le piazze di spaccio pugliesi si approvvigionano di stupefacenti da organizzazioni pugliesi e queste ultime, storicamente, hanno relazioni ramificate con altre mafie italiane.

Sul mercato del traffico internazionale l’offerta albanese, ad esempio, riesce però a soddisfare meglio le esigenze di prima e immediata necessità, anche in relazione al grado di rischio che questi sodalizi sono disposti ad assumersi nel portare a termine le operazioni.

Una situazione che in Puglia è stata resa possibile dalla sostanziale scomparsa della “quarta mafia”, la Sacra corona unita e, nel particolare caso di Taranto, perché si assiste a uno sgretolamento del vecchio establishment criminale, con le tradizionali famiglie che sono divenute oggi meno potenti rispetto ad altri sodalizi intervenuti sul territorio, una dinamica che ha, tra l’altro, aperto spazi di manovra agli albanesi.

Una propensione a delinquere, quella dell’organizzazione, resa ancor più evidente da alcune scelte spregiudicate assunte nel periodo in cui i soggetti, ignari di esserlo, si trovavano sottoposti al monitoraggio delle Fiamme gialle.

Un episodio, in particolare, rende l’idea della loro intraprendenza e determinazione, il piano concepito da uno di questi sodalizi criminali, intenzionato addirittura a sottrarre con la forza quaranta chilogrammi di cocaina a un’organizzazione rivale – entrambe erano composte da cittadini albanesi -, un carico di stupefacenti che quest’ultima avrebbe dovuto far giungere a Taranto.

Le modalità delineate in fase di pianificazione prevedevano la simulazione di un falso posto di blocco delle Forze dell’ordine italiane, i componenti del commando avrebbero utilizzato armi di elevata potenza offensiva come i fucili automatici d’assalto AK-47, lampeggianti in tutto e per tutto simili a quelli in dotazione alle polizie italiane e uniformi artefatte.

Un “colpo di mano” ai danni di una organizzazione in passato alleata, che era stata infiltrata allo scopo di carpire informazioni riguardo a tempi, luoghi e consistenza del carico di droga atteso.

Un progetto fallito soltanto perché quel carico non è mai arrivato in Italia, ma se fosse stato portato a compimento, con ogni probabilità avrebbe scatenato una serie di azioni delittuose proprie di una guerra di mafia balcanica.

In questo senso va rilevato l’effetto deterrente generato dalla capillare presenza degli uomini delle Forze dell’ordine, che quando non pervenivano al sequestro di droga o armi, saturavano in ogni caso il territorio facendo così percepire alla criminalità un quadro di intensificato controllo.

In diverse fasi operative, la complessa attività, resa possibile anche grazie all’ausilio sinergico dei dispositivi aeronavali del Reparto operativo aeronavale (Roan) di Bari e del Gruppo aeronavale (Gan) di Taranto, ha consentito il sequestro di complessive cinque tonnellate di marjuana, quindici chilogrammi di eroina, due di cocaina e uno di hashish, inoltre anche di due gommoni, tre autovetture, due pistole in calibro 9×21 aventi la matricola abrasa e diverse centinaia di cartucce.

Nove le persone arrestate in flagranza di reato, alle quali sono stati contestati i reati di associazione per delinquere finalizzata al traffico transnazionale e alla detenzione illecita di sostanze stupefacenti, detenzione abusiva e alterazione di armi da sparo.

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