Ovviamente si tratta soltanto di un caso, quindi non ce ne vogliano le decine di migliaia di operatori attivi nella vendita e nell’assistenza nel settore dei pneumatici, ma ieri due appartenenti alla loro categoria sono incappati nelle maglie della giustizia.
A Palermo la Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale, su richiesta della Procura della Repubblica, ha emesso un provvedimento di sequestro di aziende, disponibilità patrimoniali e finanziarie nei confronti di Vincenzo Gammicchia, noto imprenditore del capoluogo siciliano del settore della vendita e assistenza dei pneumatici.
Su disposizione della magistratura i militari del locale Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza hanno sequestrato beni per un valore complessivo di oltre diciassette milioni di euro.
Si tratta di aziende, quote societarie, immobili, conti correnti bancari, polizze assicurative, cassette di sicurezza, autoveicoli e motoveicoli.
Le indagini sono state condotte dal GICO, che ha setacciato atti giudiziari e dati di natura patrimoniale relativi a un arco temporale di oltre quaranta anni, consentendo una successiva ricostruzione dei fatti ai giudici del Tribunale.
Le conclusioni alle quali sono pervenuti questi ultimi sono che l’imprenditore attenzionato va considerato contiguo alla criminalità organizzata, nel caso di specie con cosa nostra.
Nel corso degli anni numerosi collaboratori di giustizia hanno indicato nel Gammicchia un soggetto «a disposizione» della mafia, poiché avrebbe reso possibile alle famiglie dei Galatolo e dei Fontana, l’investimento di risorse frutto di illeciti nelle proprie attività, sodalizi criminali che controllano i quartieri palermitani dell’Acquasanta e dell’Arenella.
Il Tribunale ha ritenuto dunque il Gammicchia, ancorché incensurato, in ogni caso soggetto socialmente pericoloso «in quanto appartenente – seppure non partecipe – al sodalizio mafioso», questo in considerazione dei fattivi contributi forniti nel tempo, che si sono diversificati nelle concrete prestazioni, ma che porrebbero comunque l’uomo nella categoria dell’imprenditore colluso con la mafia.
Gli indizi riscontrati, ritenuti sufficienti, farebbero ritenere che egli fin dall’avvio della propria attività imprenditoriale – risalente alla fine degli anni Settanta – si sia prestato all’occultamento e alla schermatura di risorse di provenienza illecita mediante l’investimento nella propria attività, pattuendo con esponenti di spicco delle famiglie mafiose forme di compartecipazioni dalle quali gli sono derivate utilità finanziarie.
Sarebbero stati proprio i fratelli Giuseppe e Vincenzo Galatolo, nei primi anni Ottanta a investire nella rivendita di pneumatici oltre cento milioni di lire per il suo avviamento.
Inoltre, nel corso degli anni il Gammicchia avrebbe fornito ulteriori contributi di natura illecita approfittando della propria impresa commerciale, ponendo a disposizione dei mafiosi i locali del suo esercizio commerciale per lo svolgimento di incontri, nonché favorendo il furto di autoveicoli consegnategli dalla clientela per interventi e riparazioni, duplicando le chiavi e annotando gli indirizzi di residenza di questi ultimi.
Grazie a specifiche dispense concesse da elementi apicali dei clan, egli avrebbe infine ottenuto l’esonero dalle richieste estorsive della mafia, oltre all’appoggio di quest’ultima ai fini dell’eliminazione della concorrenza con metodi violenti e minacce.
Nella capitale, invece, a cadere nella rete stesa dalle Fiamme gialle del Comando provinciale romano sono stati due uomini di origine albanese, padre e figlio, arrestati in quanto trovati in possesso di oltre un chilo di stupefacenti, tra hashish e cocaina.
Il continuo andirivieni di persone nei pressi di un deposito di gomme usate ubicato nel quartiere di Pietralata, locale munito di impianto di videosorveglianza, ha insospettito i militari del III Nucleo operativo metropolitano della Guardia di Finanza, che sono intervenuti facendovi irruzione e rinvenendo successivamente la droga pronta per lo spaccio.
La perquisizione è stata estesa all’abitazione dei due arrestati, all’interno della quale c’erano otto panetti di stupefacente, quattro coltelli, tre bilancini di precisione, due telefoni cellulari e circa 500 euro in contanti, presumibilmente frutto della cessione della droga ai clienti.
I responsabili sono stati processati con rito direttissimo dal giudice monocratico del Tribunale di Roma che li ha condannati, rispettivamente, a nove mesi e due anni di reclusione con obbligo di firma.