Alcuni stati del Sud America dove si produce e traffica droga sono giunti a un punto di non ritorno? In Messico e Colombia i cartelli della cocaina controllano ormai capillarmente il territorio imponendosi sui governi e le strutture di polizia e di giustizia?
Per dare una risposta a questi due inquietanti interrogativi è necessario muovere da un presupposto fondamentale, quello che non esiste paese nel continente latino americano che non sia coinvolto con l’universo degli stupefacenti, principalmente della cocaina.
Così come non esiste organizzazione criminale latinoamericana che non sia strettamente connessa al narcotraffico, esse nascono, crescono e si fortificano grazie a esso.
Narcos e loro contrasto. La produzione globale di cocaina è in continuo aumento, i terreni messi a coltivazione della foglia di coca nel 2019 hanno raggiunto un’estensione complessiva di quasi 250.000 ettari, registrando un incremento del 15% rispetto all’anno precedente.
Si tratta di migliaia di tonnellate di droga immesse sul mercato mondiale in massima parte dai tre tradizionali paesi produttori, che detengono una quota del 98% del volume complessivo di cocaina avviata allo spaccio: Colombia (70%), Perù (18%) e Bolivia (10%).
Il network della cocaina comprende però un quarto fondamentale protagonista, il Messico, divenuto quasi in esclusiva il principale luogo di stoccaggio del pianeta al quale devono fare riferimento i broker del narcotraffico. È dal Messico, infatti, che la cocaina prodotta transita negli Usa e nel resto del mondo.
Le istituzioni (nazionali e internazionali) preposte al contrasto del fenomeno non sempre riescono a interfacciarsi facilmente con i loro referenti sudamericani, poiché alcuni di essi sono addirittura platealmente disinteressati a forme di cooperazione tra forze di polizia finalizzate all’effettuazione di operazioni antidroga.
In particolare, in Bolivia e Messico sono state riscontrate profonde collusioni tra gli organismi investigativi e i cartelli della droga oppure le condizioni ambientali sono divenute impossibili per le forze dell’ordine locali, che dunque non sono in grado di intervenire contro i narcos.
Ma, se questi due Paesi si sono rivelati impraticabili – l’anno scorso la Direzione centrale per i Servizi antidroga italiana ha, di fatto, deciso la chiusura del proprio ufficio di La Paz – con altri, invece, le relazioni sono più fruttuose.
È il caso del Perù, dove la collaborazione è molto attiva, mentre viene definito «straordinario» il livello di intesa raggiunto con gli organismi investigativi e di intelligence della Colombia, che – pur essendo in assoluto il primo produttore di cocaina al mondo – ha mostrato interesse al contrasto del narcotraffico.
Però, dove il dialogo è in atto non si producono comunque risultati, dato che in non pochi casi i cartelli della droga sono militarmente più forti delle strutture di sicurezza di quei Paesi.
In Messico ad esempio, il crimine organizzato è talmente strapotente da non avere più bisogno di contrastare lo Stato, in quanto lo ha già piegato e indebolito.
Macelleria messicana. I dati provenienti dal Sud America sono agghiaccianti e riflettono un’ordinaria assenza di sicurezza nel quadro di scenari di guerra.
I dati sono eloquenti. Nel continente latino americano (Caraibi inclusi) vive soltanto l’8% della popolazione mondiale, tuttavia – dati estrapolati dalle statistiche elaborate dall’Onu -, vi si commettono un terzo degli omicidi volontari commessi al mondo (145.000, pari al 33%), assassinii in massima parte riconducibili alla criminalità organizzata. Al riguardo, quale termine di paragone è utile fare riferimento alla Repubblica popolare cinese, paese che conta 1.370.000.000 di abitanti, dove, invece, nell’anno 2016 sono stati registrati “solo” 8.634 omicidi, nel medesimo periodo nell’Unione europea ne sono stati commessi 5.351. Statistiche che da quella data di rilevazione risultano in costante crescita.
Il Messico è lo scenario maggiormente insanguinato. Nel primo trimestre del 2019 vi sono stati commessi 8.943 omicidi volontari. Un quarto della totalità di omicidi viene commesso in soli quattro paesi: Brasile, Colombia, Messico e Venezuela, mentre 43 delle 50 città (comprese le prime 10) nelle quali più elevata è l’incidenza del fenomeno sono in America Latina.
In questi paesi si è abbattuto drasticamente il livello della qualità della vita e gli elementari diritti umani vengono posti a repentaglio.
In città come Caracas (capitale del Venezuela) o Acapulco (un tempo esclusiva località turistica) la probabilità di una persona di morire di morte violenta è pari a uno su dieci.
La situazione è divenuta a tal punto critica che nel recente passato in Messico i medici necropati hanno scioperato poiché, dato l’elevato numero di assassinii commessi nel Paese, non erano più nelle condizioni di effettuare esami autoptici sui cadaveri delle persone uccise. Il sistema sanitario non ha retto, ma non soltanto con riguardo agli esami peritali, poiché neppure gli spazi disponibili negli obitori sono stati più sufficienti ad accogliere i cadaveri delle guerre tra narcos e tra narcos e polizia. Si è reso necessario quindi affittare dei camion-frigoriferi per conservare in uno stato decente i cadaveri dato che non si riusciva più a procedere all’effettuazione delle autopsie.
Narcodollari e loro tracciamento. Il moderno crimine organizzato tende a penetrare l’economia legale attraverso il riciclaggio e a influenzare la governance degli Stati attraverso la corruzione.
Nell’affrontare la tematica degli stupefacenti l’aspetto economico diviene quindi fondamentale in entrambe le sue due componenti, quella economica in senso stretto e quella economico-finanziaria.
I vari druglords mondiali impostano il complesso delle loro attività sulla base del concetto di impresa, al fine di ricavarne profitti che, una volta accumulati, verranno poi reinvestiti nei circuiti produttivi e finanziari dell’economia “sana”.
Oggi il riciclaggio del denaro frutto del crimine organizzato è divenuto un fenomeno di portata globale, conseguentemente, per cercare di contrastarlo con efficacia è necessaria un’azione di respiro sovranazionale e multilaterale.
I Paradisi fiscali sono Stati che offrono la possibilità a soggetti esterni di non operare illegalmente al proprio interno, tuttavia, di effettuarne operazioni illegali. L’universo off-shore si alimenta di qualcosa che è al di fuori di sé nazionalizzandolo in termini legali.
Alla luce delle dinamiche criminali, però, l’aspetto “fiscale” è divenuto forse quello meno rilevante ai fini di interessi multilaterali, infatti – e di questo si è avuto coscienza soprattutto dopo gli attentati dell11 settembre 2001 -, dietro qualunque atto, sia esso posto in essere da mafie oppure da terroristi, c’è sempre un’organizzazione finanziaria che consente il funzionamento della struttura operativa.
Dunque – come affermò Giovanni Falcone – «bisogna seguire il denaro», cioè seguire il cosa, il come e il chi. Seguire il cosa nell’economia e seguire il come nella finanza diviene allora fondamentale.
Ma oggi i paradisi fiscali, almeno intesi come qualche anno fa, non esistono più. Su 193 Stati esistenti al mondo una trentina sono qualificabili come “paradisi fiscali”.
Cosa avverrà con l’avvento delle nuove tecnologie, che sfuggono al controllo degli Stati sovrani o che li ne sono al di fuori (come ad esempio il cloud), ovvero che avvengono tra soggetti privi di identità (come le “maschere” che operano nel dark web)?
Le organizzazioni criminali che hanno accumulato illecitamente denaro sono costrette a una lunga fase di lavaggio prima di poterlo riutilizzare profittevolmente nell’economia reale.
E qui si pone il problema dell’inquinamento delle economie “sane”, che pone come prioritaria l’identificazione del «beneficiario effettivo» in ogni fase di svolgimento dell’operazione economica.
A questo punto, però, il tracciamento dei capitali transnazionali richiede una risposta a livello internazionale, non più legata dunque alla bilateralità.
Economia drogata. Delle conseguenze politiche, economiche e sociali per gli quegli Stati – e non solo per quelli -, nonché del contributo fornito al contrasto del fenomeno del narcotraffico dalle esperienze maturate in Italia, si è discusso venerdì scorso, 22 novembre, presso la Link Campus University in via di San Pio V a Roma.
All’incontro hanno preso parte Vincenzo Scotti (Presidente della Link Campus University e già ministro dell’Interno), Federico Cafiero De Raho (Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo), Giuseppe Cucchiara (Direttore centrale per i Servizi antidroga del Dipartimento della Pubblica Sicurezza), Giovanni Tartaglia Polcini (Consigliere giuridico del Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale), Piergiorgio Valente (Straordinario di Diritto tributario presso la Link Campus University) e Giorgio Malfatti di Monte Tretto (ministro Plenipotenziario e autore del saggio “Economia drogata, il traffico di droga nell’America Latina”), a moderare il dibattito è stato Aaron Pettinari, caporedattore di “Antimafia Duemila”.
Tuttavia, tra le splendide pareti della Sala Antica Biblioteca del Casale di San Pio V presente all’incontro c’era anche un convitato di pietra, evocato soltanto incidentalmente dal moderatore di Antimafia Duemila, Aaron Pettinari e, comunque, meritoriamente ricordato in uno degli ultimi capitoli del saggio di Malfatti di Monte Tretto: la legalizzazione delle droghe come possibile soluzione del problema qualora associata a un’intensa campagna educativa diretta all’opinione pubblica riguardo ai pericoli insiti nel consumo delle droghe.
Anemizzare le miliardarie fonti di reddito delle organizzazioni criminali transnazionali attraverso un intervento radicale sul mercato, depotenziandole mediante la sottrazione della loro linfa, il denaro derivante dal traffico e dallo spaccio degli stupefacenti, che all’ultimo miglio della loro turpe filiera giungono quasi sempre al consumatore sotto forma di “prodotto”, non soltanto in grado di generare dipendenza, ma anche tagliate più volte con sostanze estremamente nocive.
Di questo tema, insidertrend.it ha parlato col Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Federico Cafiero De Raho, intervistato a margine del convegno. L’intervista è fruibile su questo sito – unitamente a quella integrale dell’incontro/dibattito – in calce a questo articolo (audio A212A e A212B).
A212A – CRIMINALITÀ, DROGA: «NARCOSTATI» DEL SUD AMERICA. Le “economie drogate” dai dollari frutto della produzione e del traffico delle sostanze stupefacenti stanno conducendo alcuni Paesi latinoamericano a un punto di non ritorno.
Delle conseguenze politiche, economiche e sociali per gli questi Stati – e non solo per quelli -, nonché del contributo fornito al contrasto del fenomeno del narcotraffico dalle esperienze maturate in Italia, si è discusso nel corso di un incontro che ha avuto luogo presso la Link Campus University in via di San Pio V a Roma il 22 novembre 2019.
A esso hanno preso parte VINCENZO SCOTTI (Presidente della Link Campus University e già ministro dell’Interno), FEDERICO CAFIERO DE RAHO (Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo), GIUSEPPE CUCCHIARA (Direttore centrale per i Servizi antidroga del Dipartimento della Pubblica Sicurezza), GIOVANNI TARTAGLIA POLCINI (Consigliere giuridico del Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale), PIERGIORGIO VALENTE (Straordinario di Diritto tributario presso la Link Campus University) e GIORGIO MALFATTI DI MONTE TRETTO (ministro Plenipotenziario e autore del saggio “Economia drogata, il traffico di droga nell’America Latina”), a moderare il dibattito è stato AARON PETTINARI, caporedattore di “Antimafia Duemila”.
A212B – CRIMINALITÀ, DROGA: CONTRASTO DEL FENOMENO, LEGALIZZAZIONE. È percorribile la strada della legalizzazione di produzione e vendita delle sostanze stupefacenti – almeno di alcune di loro – allo scopo di anemizzare le fonti di reddito delle mafie e dei narcotrafficanti “offrendo” sul mercato legale un prodotto che sia il meno tossico possibile?
insidertrend.it ha trattato questo spinoso argomento con FEDERICO CAFIERO DE RAHO, Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo.