HONG KONG, proteste. Escalation, la città ancora sotto assedio: Carrie Lam interviene alla televisione

Proseguono le proteste contro le ingerenze della Repubblica popolare cinese. Buona parte dei manifestanti che occupavano il politecnico ha desistito, ma restano ancora asserragliate un centinaio di persone

L’ex colonia britannica sta conoscendo una escalation, infatti proseguono senza tregua le proteste di piazza.

I manifestanti affermano con sempre più forza che le crescenti ingerenze della Repubblica popolare cinese starebbero ponendo a rischio l’autonomia della città stato.

Il politecnico, divenuto in questi ultimi giorni un luogo simbolo della contestazione contro Pechino, si trova ancora sotto assedio, seppure la maggior parte dei manifestanti che si trovavano al suo interno avessero desistito dal proseguire quella forma di protesta.

Dei seicento che sono usciti all’esterno  quattrocento sono stati arrestati dalla polizia, mentre i restanti, in massima parte minorenni, sono stati soltanto identificati.

Il capo dell’esecutivo di Hong Kong, Carrie Lam, è apparsa sui teleschermi nel tentativo di tranquillizzare la popolazione. Ella ha affermato che «fino a quando la situazione verrà mantenuta sotto il controllo della polizia non si renderà necessario l’intervento dell’Armata di liberazione cinese».

I soldati di Pechino fanno paura, negli ultimi mesi unità dell’esercito comunista sono state fatte affluire a ridosso dei confini della Cina popolare con Hong Kong.

Ma l’apparato di sicurezza dell’ex città stato non sono rimaste certamente inerti, poiché in queste ore sono stati registrati centinaia di arresti a opera dalle locali forze dell’ordine, mentre contestualmente viene represso il dissenso.

A Joshua Wong, attivista per i diritti umani, è stata negata la possibilità di lasciare Hong Kong per recarsi all’estero dove era atteso per una serie di conferenze, tra le tappe del suo viaggio figurava anche Milano, dove si sarebbe dovuto recare per un incontro presso la Fondazione Feltrinelli.

Riguardo all’escalation della protesta è interessante l’analisi della situazione pubblicata ieri – 18 novembre 2019 – sulla rivista Affari Internazionali dello IAI da Elisabetta Esposito Martino, sinologa e costituzionalista, responsabile dell’Ufficio affari generali dell’INdAM e componente del Redress Committee del Progetto INdAM Cofund-VII Programma Quadro dell’Unione Europea.

 

Autonomia della città stato a rischio: Hong Kong, una marea nera sullo scoglio del mandato celeste

Dal 9 giugno 2019 Hong Kong è sotto i riflettori: le manifestazioni, prima pacifiche, poi trasformatesi in vivaci contestazioni, sono infine tracimate in una vera e propria rivolta, come sta accadendo in molte piazze del mondo.

La drammatica situazione del Porto dei Profumi è stata inserita all’ordine del giorno della quarta sessione plenaria del XIX Comitato centrale del Partito comunista cinese – tenutasi alla fine di ottobre – per discutere sui miglioramenti da apportare al sistema socialista con caratteristiche cinesi. L’obiettivo è promuovere una governance sempre più efficace ed efficiente e modernizzare le capacità di governo, di fronte alle sfide del rallentamento economico che, con la guerra sui dazi, ha causato un rallentamento della crescita del Pil fino al 6 per cento.

Di fronte a queste sfide si configura come indispensabile una soluzione della questione, in un Paese in cui le radici culturali di matrice confuciana, molto profonde e riaffiorate proprio a opera di Xi Jinping, consentono di legare la legittimazione del potere ad un governo saggio e giusto, che persegua il benessere del popolo. Secondo questa antica tradizione il «Mandato del Cielo» (天命) poteva  essere revocato qualora un sovrano, di fronte a disordini, calamità e ribellioni, non fosse riuscito a riportare l’Impero celeste in armonia.

Le contraddizioni di Hong Kong. In effetti le proteste che si stanno susseguendo a Hong Kong sono il frutto di una serie di contraddizioni sviluppatesi negli ultimi anni ed emerse con le manifestazioni di Occupy Central, durante la “Rivoluzione degli ombrelli” del 2014. La prima di queste antinomie riguarda la piena democrazia, che i dimostranti richiedono a gran voce, e che il Regno Unito, più volte coinvolto a sostegno delle contestazioni (insieme ad altri paesi occidentali), a suo tempo non concesse, pur garantendo i diritti fondamentali.

Invocare in aiuto le antiche potenze coloniali suscita ancora grandi timori per la sicurezza della Cina, di cui la popolazione di Hong Kong non si sente parte, rivendicando una propria peculiarità, che la formula “un Paese due sistemi” dovrebbe in teoria difendere, almeno per questa generazione.

La seconda contraddizione è di carattere economico in quanto Hong Kong rappresenta, da un lato, la settima borsa globale, hub finanziario ed economia capitalista più libera al mondo (secondo la classifica “Index of Economic Freedom” di The Heritage Foundation), laboratorio di sperimentazione per forgiare il capitalismo con caratteristiche cinesi.

Dall’altro lato, il caos che sta travolgendo questi luoghi, il loro declassamento per l’incombente recessione, sta enormemente favorendo la politica di investimenti destinati alla Greater Bay Area, forgiata come nuova Silicon Valley, che, se potrebbe da un lato salvare Hong Kong dall’attuale caduta libera, dall’altro sicuramente la risucchierebbe nel sistema economico della Repubblica popolare cinese molto prima del tempo concordato con la Corona britannica, il 1 luglio 2047.

La terza contraddizione è legata al futuro distopico presente nell’immaginario della popolazione di Hong Kong, che non solo teme per il domani, ma vive già oggi una situazione sociale ed economica di profonda precarietà, come testimoniato dai numeri impietosi diffusi in Occidente.

L’indice di Gini, che misura la disparità nella distribuzione del reddito, segna 0.537 e riassume i dati degli ultimi 10 anni in cui il Pil locale è aumentato del 60%, ma il reddito medio solo della metà. Il persistente boom immobiliare ha fatto lievitare anche i prezzi degli alloggi, mentre la disoccupazione dilaga e la povertà si affaccia tra i giovani che chiedono politiche più incisive per arginare le crescenti disuguaglianze.

Lo sviluppo delle proteste La ribellione dilagante rivela quindi un profondo disagio, debordato ormai in violenze sempre più gravi, che hanno già causato due morti, perpetrate da manifestanti vestiti di nero e dal volto coperto – sapremo mai quanti tra questi infiltrati? -, a loro volta aggrediti da bande vestite di bianco e armate di bastoni (appartenenti alla Triade mafiosa?).

La polizia, dal canto suo, in perenne tenuta antisommossa, fingendo di non vedere i secondi, ha risposto ai primi sempre più duramente, con lancio di lacrimogeni e proiettili di gomma, ma anche sparando sulla folla o calpestando la sotto i  veicoli: un flash di quello che potrebbe accadere in una nuova Tiananmen.

Purtroppo però, da entrambe le parti, le posizioni si sono irrigidite: i manifestanti pretendono che il governo di Carrie Lam, ritirato il disegno di legge sulle estradizioni, avvii un’inchiesta sulle brutalità commesse dalla polizia, ordini il rilascio degli arrestati e si dimetta per consentire elezioni pienamente democratiche.

Quattro delle cinque richieste sono rimaste inascoltate, le violenze si aggravano e lo stesso presidente Xi Jinping ha definito ormai urgente il ripristino dell’ordine per salvaguardare la sovranità nazionale.

Possibili soluzioni. Questo monito potrebbe portare all’applicazione dell’art. 18 della Legge fondamentale di Hong Kong che prevede, nel caso in cui si verifichino tumulti che mettano in pericolo l’unità o la sicurezza nazionale e siano fuori del controllo del governo della Regione amministrativa speciale, la proclamazione dello stato di emergenza.

Ciò comporterebbe la sospensione dell’autonomia e l’eventuale intervento, in base all’art. 14, della guarnigione in loco dell’Esercito popolare di liberazione, che è stato già visto sul territorio e che la governatrice potrebbe richiedere.

La Repubblica popolare cinese, protagonista del più grande sviluppo economico che la storia abbia mai visto sbocciare, deve infatti garantire l’armonia della società, vagheggiata da cinque millenni e, negli ultimi anni, evocata con insistenza fino all’inserimento di questo nuovo canone dell’estetica del potere tra gli emendamenti della Carta nel 2018, in riferimento alle varie nazionalità.

Alla luce di ciò anche la piccola enclave di Hong Kong deve riuscire a raggiungere un reale equilibrio politico, sociale ed economico, nell’interesse della Cina stessa, delle sue periferie e del progresso umano e civile.

Il rispetto dei diritti fondamentali, sempre più calpestati, ma che il governo di Pechino dichiara ancora di rispettare, appare pertanto un elemento imprescindibile per il regime ibrido creato con la formula “un Paese due sistemi”, prevista nell’art. 31 della Costituzione cinese vigente

Non risolvere questi profondi malesseri o soffocarli violentemente potrebbe screditare pesantemente l’immagine del Dragone all’esterno e, all’interno, evocare la perdita del mandato celeste.

Elisabetta Esposito Martino (Twitter: @esposito_eli)

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