SUDAMERICA, Bolivia. Proteste di piazza, si ammutina la polizia; Morales: «È in corso un golpe»

Gli agenti si schierano dalla parte dei manifestanti in sei città contro il presidente. La Paz ha rivolto all'Organizzazione degli stati americani la richiesta di rivedere l'intero scrutinio per il tramite della missione elettorale inviata in Bolivia

«Nel paese è in corso un colpo si stato», questa la pesante denuncia del presidente boliviano Evo Morales seguita all’ammutinamento dei corpi di polizia stanziati nelle città di Sucre, Santa Cruz e Cochabamba.

Gli agenti dei reparti di sicurezza si sono rifiutati di obbedire agli ordini impartiti dai loro superiori che gli avrebbero imposto di reprimere le manifestazioni di piazza in corso contro l’esito delle elezioni presidenziali che hanno avuto luogo lo scorso 20 ottobre.

«Sorelle e fratelli, la nostra democrazia è in pericolo a causa dell’attuale colpo di stato che gruppi violenti hanno lanciato contro l’ordine costituzionale. Denunciamo alla comunità internazionale questo attacco allo stato di diritto», così ha dichiarato Morales dopo aver riunito in sessione straordinaria i ministri del suo esecutivo unitamente al comandante delle forze armate, generale Williams Kaliman.

Il presidente ha rinnovato l’invito precedentemente rivolto ai boliviani a sostenere pacificamente la democrazia e la costituzione politica (Cpe), «che è – ha affermato Morales – al di sopra di ogni interesse politico». I

l ministro della Difesa Javier Zavaleta ha pubblicamente escluso in modo categorico la possibilità di un intervento dell’esercito, rassicurando la popolazione sul fatto che nessuna operazione militare verrà effettuata.

In un messaggio trasmesso alle stampa locale, un dirigente della polizia di Chuquisaca (Sucre) ha annunciato – mascherando tuttavia il proprio volto per non farsi riconoscere – il proprio sostegno ai corpi di polizia che hanno disobbedito agli ordini.

«La polizia di Chuquisaca – ha affermato – sostiene i compagni che si sono ammutinati a Cochabamba e Chuquisaca, che sono al fianco del popolo boliviano. Non possiamo continuare con questo narco-governo e con questa democrazia ingiusta».

Luis Fernando Camacho – esponente di punta del Comitato civico di Santa Cruz, una rete di organizzazioni sociali critiche nei confronti del governo – ha invece dichiarato che il prossimo lunedì si recherà al palazzo presidenziale per consegnare personalmente a Morales la lettera di dimissioni dalla carica di presidente della repubblica, un documento precompilato e con l’unico spazio “in bianco” per la firma.

«Non ci muoveremo da lì fino a quando essa non verrà firmata e Morales non si sarà dimesso». Dichiarando infine che la sua sarà una azione «unica, totale e definitiva», che godrà del sostegno dell’altro importante movimento protagonista della protesta sociale, il Comitato nazionale di difesa della democrazia (Conade).

La crisi in Bolivia è divampata all’indomani delle elezioni del 20 ottobre, quando il tribunale supremo elettorale ha diffuso i dati che rinviavano l’esito delle consultazioni presidenziali a un secondo turno.

Dopo diciassette ore di silenzio, la corte ha poi aggiornato il conteggio, giungendo progressivamente a decretare la vittoria di Evo Morales al primo turno, rendendo noto l’esito finale dello scrutinio, che ha assegnato al presidente uscente il 47,07% dei consensi, contro il 36,51% del suo avversario Carlos Mesa. Uno scarto superiore al 10% che gli ha consentito di evitare il ballottaggio.

Dal canto suo Morales ha affermato che si è trattato di una vittoria «indiscutibile», una convinzione del tutto contraria a quelle maturata da Mesa, che ha immediatamente denunciato la «brutale manipolazione dei risultati».

Le controverse consultazioni elettorali hanno sollevato infiammate polemiche sia all’interno del paese che all’estero.

Al fine di placarle, il governo di La Paz ha rivolto all’Organizzazione degli stati americani (Osa) la richiesta di rivedere l’intero scrutinio per il tramite della missione elettorale inviata in Bolivia (Moe).

Alla fine anche lo stesso Morales si è visto costretto a promettere che nel caso venissero riscontrati dei brogli si procederà al secondo turno.

Egli, in lizza per un quarto mandato, ha accusato l’opposizione di averlo criticato allo scopo di contestare il risultato del voto del 20 ottobre, affermando che «adesso (gli esponenti dell’opposizione) non parlano più di frodi, di andare al ballottaggio e neanche di fare nuove elezioni, ma vogliono soltanto che Evo se ne vada».

Per lui, dunque, la rassegnazione delle dimissioni dalla carica che gli viene richiesta altro non sarebbe se non «un golpe», un concetto che ribadito ricordando contestualmente che «i boliviani hanno deciso per un nuovo mandato».

Morales tiene apparentemente duro, e nella sua propaganda lo afferma chiaramente: «Voglio dire alla destra, a tutta la Bolivia e al mondo intero che non mi dimetterò. Siamo stati eletti dal popolo e rispettiamo la costituzione».

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