YEMEN, conflitto. La mediazione di Sauditi e Oman

L’analisi di Eleonora Ardemagni, pubblicata dalla rivista Affari Internazionali dello IAI il 5 novembre scorso nell’immediatezza del documento comune firmato dal governo internazionalmente riconosciuto dello Yemen e dai secessionisti meridionali del Southern Transitional Council. Tuttavia è presto per considerarlo un tassello di stabilizzazione

Arabia Saudita e Oman rivali a Mahra. Yemen: accordo, Riad dà le carte, Abu Dhabi fa la strategia.

Non a caso, si chiama «Riyadh Agreement», ovvero l’accordo di Riad. Il documento firmato il 5 novembre tra il governo internazionalmente riconosciuto dello Yemen e i secessionisti meridionali del Southern Transitional Council (Stc) riporta l’Arabia Saudita al centro degli intrecci politici e militari yemeniti.

L’accordo, negoziato a Jeddah per più di due mesi, sancisce l’ingresso dei secessionisti del sud nel governo, dopo il “secondo golpe” sferrato dal Stc contro le istituzioni riconosciute (agosto 2019).

Gli Emirati arabi uniti (EAU) ritirano gran parte delle truppe dallo Yemen e passano il testimone ai soldati sauditi: ma non è una sconfitta; anzi, quella degli emiratini è una vittoria strategica, un compromesso più che soddisfacente dopo gli scontri agostani tra i rispettivi alleati yemeniti.

Infatti, gli EAU sono riusciti a portare i sauditi sulle loro posizioni politiche: via diplomatica ed entrata dei secessionisti nel governo.

L’accordo di Riad è un punto di svolta nella guerra (o meglio nelle guerre) dello Yemen, ma è ancora presto per considerarlo un tassello di stabilizzazione.

Il Stc non è l’unico attore politico del secessionismo meridionale e l’ingresso al governo susciterà le critiche degli altri separatisti; il canale di comunicazione tra huthi (insorti sciiti del nord) e Arabia Saudita per una tregua è ormai aperto, anche se la ritrovata compattezza del fronte anti-huthi potrebbe spingere Riad a contrattaccare nel nord in caso di escalation.

La rivalità geopolitica fra le monarchie del Golfo è più che mai viva nell’est yemenita (Mahra) e nell’arcipelago del paese (Socotra), là dove la “guerra delle bombe”, quella contro gli huthi, non è mai arrivata.

L’accordo di Riad. Alla presenza dei due uomini forti dell’intervento militare saudita-emiratino in Yemen, Mohammed bin Salman al-Saud (Arabia Saudita) e Mohammed bin Zayed al-Nahyan (EAU), i filo-governativi del presidente Abdu Rabu Mansur Hadi e i secessionisti del Stc dell’ex governatore di Aden Aydarous al-Zubaidi hanno siglato un testo che prevede la formazione di un governo unitario ad Aden.

I 24 ministri saranno equamente divisi fra nord e sud (12:12), nuove strutture militari e di sicurezza saranno create entro trenta giorni dalla firma: al momento, la milizia più abile, le Security Belt Forces (bfF) di Aden, erano già tecnicamente affiliate al ministero degli interni yemenita, ma sostenevano la causa separatista e ricevevano lo stipendio dagli EAU.

Una commissione congiunta guidata dall’Arabia Saudita monitorerà l’applicazione dell’accordo.

Secessionisti di governo (unitario). La grande contraddizione potrebbe esplodere al primo intoppo di governo: il Stc – oggi riconosciuto come interlocutore dai sauditi e pure dalle Nazioni Unite – entra in un esecutivo unitario (in cui vi è  pure Islah, il partito che raccoglie anche i Fratelli musulmani, classificati come “terroristi” dal Stc) e si impegna a non perseguire la secessione finché il fronte con gli huthi sarà aperto.

Un compromesso pragmatico che potrebbe essere tacciato di ambiguità e persino di tradimento da chi, fra i sudisti, non sarà soddisfatto dalla performance di governo in termini di servizi e sicurezza (oppure da come le risorse statali verranno distribuite): «la scelta secessionista è irreversibile e irrevocabile», recitava un documento pubblico del Stc dell’agosto scorso.

I sauditi e la militarizzazione di Mahra. Nel frattempo, nella regione yemenita di Mahra, al confine con l’Oman, i sauditi proseguono la militarizzazione del territorio.

Qui Riad aveva iniziato a inviare truppe nel tardo 2017 per sedare le tensioni fra parte dei locali e gli emiratini, che tra il 2015 e il 2017 avevano provato a estendere la propria influenza sul governatorato coniugando aiuti allo sviluppo e creazione di una milizia locale.

Gli EAU avevano poi ripiegato (rinforzandosi a Socotra); il Stc ha qui aperto un ufficio, ma i sauditi non hanno più lasciato Mahra: denunciando il crescente contrabbando lungo il confine yemenita-omanita – fenomeno storico dato che Mahra e il Dhofar (Oman) sono lo stesso ecosistema per tribù, dialetti ed economia informale -, l’Arabia Saudita ha inviato truppe e formato milizie lealiste (compresa una guardia costiera) trasferendo uomini da altre regioni del sud yemenita, come Aden.

Mahra, le contromosse dell’Oman. Ora, i sauditi avrebbero numerose installazioni militari a Mahra, in primis l’aeroporto e il porto di Al Ghayda, più il porto di Nishtun: la costa potrebbe essere lo sbocco di un oleodotto Arabia-Yemen che aggiri Hormuz sfociando dritto nell’Oceano Indiano.

Secondo più fonti autorevoli, l’Oman avrebbe aumentato il sostegno finanziario alle tribù di Mahra che protestano pacificamente contro la presenza saudita: il Sultanato, che ospita alcune delle personalità mahri più critiche verso i sauditi (molti abitanti di Mahra hanno passaporto omanita), teme la destabilizzazione al confine e, soprattutto, sgradisce l’interferenza di Abu Dhabi e poi di Riad nella sua tradizionale sfera d’influenza.

Insomma, laddove non vi sono gli huthi, il territorio yemenita è divenuto l’arena di rimodulazione dei rapporti di forza tra monarchie alleate. Quindi, la partita per il Sud (e per l’intero Yemen) è assai più complessa e vasta del pur positivo accordo di Riad.

 

Eleonora Ardemagni è ricercatrice associata presso l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI). Cultrice della materia all’Università Cattolica di Milano (Storia e Istituzioni dell’Asia islamica), è Gulf and Eastern Mediterranean Analyst per la NATO Defense College Foundation.

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