EUROPA, allarme sovranismo. A 30 anni dalla caduta del Muro di Berlino «la storia non è finita»

Dalla Germania al resto del Vecchio continente monta la marea delle forze anti-sistema che mettono in discussione questa Europa. Fanno paura, allora politica e intellettuali si interrogano sul fenomeno e giungono alla conclusione che l’incertezza della gente alimenta le forze “sinistre”. Se ne è discusso ieri all’Università Roma Tre in un dibattito organizzato in collaborazione con la Konrad-Adenauer Stiftung

È il panico! Come in un effetto domino, elezione dopo elezione le forze anti-sistema e quelle sovraniste si vanno affermando sempre più nei Paesi membri dell’Unione europea.

Si tratta spesso di formazioni venate da sentimenti xenofobi quando non apertamente razzisti. Fanno paura le incertezze, quelle derivanti dal “diverso” che immigra e quelle di natura economica.

Le prime, almeno nel breve periodo, risultano estremamente paganti sul piano della demagogia per quei politici pur di affermarsi nelle urne cavalcano la tigre del “pericolo  invasione”.

Non che il problema non sussista, tutt’altro, ma allo stato attuale è divenuto uno spettro da agitare ogniqualvolta sia necessario, si tratti di un comizio di piazza, o di un talk show (tuttavia sempre meno seguiti), ovvero ancora di una operazione psicologica condotta nel web.

A trenta anni dalla caduta del Muro di Berlino quel mondo che sembrava avviarsi verso un radioso futuro di pace –  sia chiaro: era propaganda anche quella -, adesso presenta il conto di scelte che hanno portato la politica ad appiattirsi sotto ricette economiche apparentemente indiscutibili come quella liberista.

Da allora sistemi di welfare sono stati gradualmente smantellati, i debiti pubblici di non pochi Paesi (Italia inclusa) hanno raggiunto picchi insostenibili, le guerre non sono certamente cessate e la ricchezza si è andata concentrando in poche mani, lasciando sotto di sé non soltanto ampie sacche di povertà, ma anche un pericoloso assottigliamento di quella che un tempo era la classe media, cioè quel cuscinetto sociale che avrebbe dovuto evitare l’inasprirsi di conflittualità.

Se ne è discusso ieri al Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università Roma Tre in un convegno organizzato dall’ateneo capitolino in collaborazione con la Konrad-Adenauer Stiftung.

L’occasione era quella offerta dalla presentazione di un saggio della scrittrice franco-tedesca Géraldine Schwarz, I senza memoria, libro edito da Einaudi. “La storia non è finita – questo il tema del dibattito -, a 30 anni dalla caduta del Muro di Berlino riflettiamo sulla nostra identità europea, sospesa fra memorie divise e sfide comuni”, che ha avuto presso l’Aula Volpi in Via del Castro Pretorio a Roma.

Buona parte della discussione si è incentrata sull’attuale situazione tedesca, in qualche modo modello di quanto potrebbe verificarsi anche altrove in Europa. Infatti, è di pochi giorni fa l’affermazione dell’AfD, quella tanto temuta “Alternativa per la Germania” che raccoglie sempre più consensi tra la gente.

Ma non basta. Nel Paese permangono le fratture di quaranta anni di divisione. Non si tratta di una novità, se ne è sempre parlato fin dai tempi immediatamente successivi all’unificazione, ma per pudore lo si è fatto a bassa voce. E allora ecco che restano Wessie e Ossie, ognuno con i suoi pregiudizi, la sua cultura e le sue recriminazioni, questo malgrado l’alluvione di marchi prima e di euro poi che ha sommerso il länder orientali.

I tedeschi sono dunque un popolo oppure no? Stando ai risultati delle analisi e dei sondaggi condotti in quelle che erano le regioni della Repubblica democratica tedesca parrebbe che tutta questa uniformità – attenzione: «uniformità», non «coesione» – non ci sarebbe.

Al riguardo è disarmante il rapporto annuale redatto dal Governo federale, che fotografa una situazione a dir poco contrastante, con i cittadini dei länder dell’Est che percepiscono una propria condizione di svantaggio.

Inoltre, di mezzo ci si è messa anche la crisi economica, o meglio… il «rallentamento» della locomotiva tedesca, con tutti i suoi perniciosi effetti sia sul piano interno che su quello internazionale (si pensi a titolo di esempio alle ricadute negative sull’indotto lombardo dell’automotive che esportava prevalentemente in Germania).

Al convegno di ieri si è partiti dalla fine del comunismo in Europa e la fine del confronto bipolare tra le superpotenze, evento salutato come salvifico, che tuttavia, dopo le iniziali speranze che avevano illuso i “deterministi della storia”, ha lasciato campo libero al capitalismo liberista e selvaggio che, oltre a drenare gran parte della ricchezza del globo, ha contestualmente alimentato il mostro populista facendolo ingrassare a dismisura.

Ed è noto, lo insegna la fisica: gli spazi lasciati vuoti prima o poi vengono colmati. Restando al paradigma tedesco si è osservato che il concetto di volkspartei non riesce a comunicare più i propri valori alla gente, anche perché c’è uno strappo tra società e politica e questo nonostante il marcato attivismo delle giovani generazioni negli ambiti più vari, dall’ambiente alla “casa comune” e cosi via.

Crollate le speranze riguardo al futuro prevalgono l’insicurezza e lo scetticismo, in primo luogo nei confronti dell’Europa, pallida madre.

Un quarto dei tedeschi guarda con favore all’estrema destra, facendo riemergere vecchi mostri dalle caligini del passato, contro i quali gli attuali anticorpi democratici non si sono dimostrati efficaci.

Non sono stati in grado di arginare il fenomeno anti-sistema. Perché? si sono domandati al convegno di Roma pervenendo alla risposta che è un problema culturale, visto che nelle regioni della ex DDR il benessere economico esiste, seppure ridotto rispetto a quello goduto a Occidente.

«Si riscontra un’assenza di cultura politica profonda – si è detto – e sarà molto difficile edificarla dopo quaranta anni di comunismo».

E ancora: «A Oriente non è stato fatto in maniera adeguata “il lavoro sulla memoria”» e questa sarebbe una delle cause del riemergere dei sentimenti nazionalisti e antisemiti. Un lavoro che, invece, sarebbe stato fatto nella Germania Ovest.

In realtà è vero soltanto in parte, poiché alla fine del secondo conflitto mondiale gli americani e i loro alleati britannici e francesi, nel contrasto del “nuovo nemico” comunista hanno immediatamente reclutato non pochi tra ex nazisti sopravvissuti al crollo del III Reich, facendo inoltre affidamento al conformismo dei tedeschi rimasti a occidente della cortina di ferro.

È stato così che molti di loro si sono rifatti una verginità, a differenza dell’Est, dove al contrario l’eradicazione è arrivata molto più in profondità. In questo senso non è possibile nascondersi dietro a un dito, la Guerra fredda ha imposto tali recuperi.

La Guerra fredda, cioè quel punto di vista attraverso il quale si comprende che anche la narrativa relativa al «pacifico e praticamente indolore» abbattimento del comunismo in Europa orientale in realtà è soltanto una illusione frutto della propaganda.

Non è vero che non è stato versato del sangue nel corso della Guerra fredda, vero è che in Europa se ne è versato meno che altrove, tuttavia neppure le Germanie sono state esenti dagli effetti del titanico scontro tra le superpotenze. Il terrorismo e le attività dei servizi segreti che erano a esso dietro ne sono una conferma.

L’Europa è stata molto fortunata, essa ha beneficiato dell’esenzione dalla guerra derivante dallo spostamento forzato del baricentro della conflittualità nelle vicine Asia e Africa e, più distante, nell’America Latina.

Domanda: quanti episodi di guerra convenzionale e di guerriglia sono stati registrati dal 1945 al 1989?

Lavorare sulla memoria è sicuramente utile, tuttavia si rende necessario elaborare ideali comuni per il futuro e convincere della loro utilità le opinioni pubbliche che oggi sono spaventate dalla povertà, dall’arrivo degli immigrati, e dall’emersione radicalismi.

Quello islamico in primis, assai più pericoloso dei cosiddetti «populismi» perché tende ad annientare la democrazia.

Ma quale visione, quale narrativa comune proporre e in che modo?

Nel convegno di Roma si è affermato che: «L’opinione pubblica dovrebbe saper riconoscere i metodi di manipolazione che vengono applicati ai suoi danni».

Me non gli si chiede un po’ troppo? L’opinione pubblica è come un bambino che si può ingannare con estrema facilità, ipnotizzandolo con la propaganda e le operazioni psicologiche. Anche quelle grossolane, propinate quotidianamente attraverso gli schermi ultrapiatti di un televisore.

Nella società della comunicazione l’opinione pubblica è un adolescente rapito dalle parole di un titolo di telegiornale, l’unica cosa che gli resterà in mente dopo mezz’ora di trasmissione di notizie.

Chi scriverà quel titolo? E quali contenuti avrà?

La risposta questi pressanti e inquietanti interrogativi è difficile. Resta comunque il fatto che l’Europa permane ancora il maggiore spazio di libertà e di affermazione dei diritti civili condivisi al mondo, al quale si dovrebbe accedere soltanto accettandone e rispettandone i principi che risiedono alla sua base. Per questo bisognerà sforzarsi di preservarlo.

 

Di seguito è possibile ascoltare l’audio integrale del convegno in predicato; oltre a esso, di seguito sono fruibili altri documenti dai contenuti che si richiamano alle tematiche trattate alla Sala Volpi del Dipartimento di Scienza della Formazione dell’Università degli Studi Roma Tre

 

A203 – EUROPA, 30 ANNI DALLA CADUTA DEL MURO DI BERLINO: la storia non è finita. Riflessioni sull’identità europea sospesa fra memorie divise e sfide comuni.

Dibattito organizzato dal Dipartimento di Scienza della Formazione dell’Università degli Studi Roma Tre, 29 ottobre 2019, Aula Volpi, Via del Castro Pretorio 20 Roma.

Interventi di: MASIMILIANO FIORUCCI (direttore del Dipartmento della Scienza della Formazione Roma Tre), SILKE SCHMITT (referente scientifica Konrad-Adenauer Stiftung e.V. Auslandbüro Italien), MARCO IMPAGLIAZZO (Università Roma Tre), MAURIZIO RIDOLFI (Università Roma Tre), MARIALUISA SERGIO (Università Roma Tre), GIANFRANCO PASQUINO (professore emerito di Scienza politica presso l’Università di Bologna), GÉRALDINE SCHWARZ (scrittrice franco-tedesca, autrice de Die Gedächtnislosen, “I senza memoria” edito da Einaudi; modera: FRANCESCA SFORZA (giornalista de “La Stampa”).

A132 – UNIONE EUROPEA, ELEZIONI AL PARLAMENTO DEL 26 MAGGIO: IL “RISCHIO ITALIA”. Euroscetticismo e pulsioni sovraniste, diffidenza tra Paesi membri della Ue: l’Italia si appresta a vestire gli scomodi panni dell’outlayer? I conti in tasca ai vari schieramenti politici che si presentano alla tornata elettorale per i seggi di Strasburgo; nuove e vecchie aggregazioni sempre meno connotate dalle ideologie, ma sullo sfondo l’incombente avanzata dei sovranisti: avranno questi ultimi i numeri per cambiare le carte in tavola a Bruxelles? A monte di tutto la complessa situazione economica e i disagi mai alleviati sofferti dalle classi meno abbienti in una situazione che vede allargarsi la forbice del divario del benessere. Inoltre, la spada di Damocle del debito pubblico che pende sul Bel Paese. Di queste tematiche si è trattato nel corso del dibattito ELEZIONI EUROPEE 2019: UNO SNODO CRUCIALE PER L’ITALIA E L’EUROPA, che ha avuto luogo il 7 maggio scorso presso la Residenza di Ripetta a Roma, evento organizzato dall’Istituto Affari Internazionali (IAI), da Algebris Policy & Research Forum e da Ɛuropea; interventi di: VITO BORRELLI (Capo FF., Rappresentanza in Italia della Commissione europea), SILVIA MERLER (keynote, responsabile di ricerca di Algebris Policy & Research Forum), NATHALIE TOCCI (direttrice dello IAI), LILIA CAVALLARI (docente di Economia internazionale presso l’Università Roma 3), MARCO PIANTINI (coordinatore di Ɛuropea).
A133A – SOCIETÀ, COMUNICAZIONE: I PERSUASORI OCCULTI DELLA POLITICA MODERNA (1), campagne elettorali nell’epoca della Fast Politics. Introduzione di PATRICIA LIBERATORE (coordinatrice di progetto della Konrad Adenauer Stiftung); interventi di: MARCO CACCIOTTO (professore a contratto, docente di comunicazione pubblica e politica presso l’Universitá di Torino e autore del volume “Il nuovo marketing politico” edito da Il Mulino), ALBERTO CASTELVECCHI (professore aggiunto di public speaking e comunicazione efficace presso la LUISS Guido Carli di Roma), PHILIPP KARDINAHL (referente scientifico, esperto di comunicazione politica della Konrad Adenauer Stiftung di Berlino), ANDREA CAMAIORA (moderatore, CEO e founder di The Skill).
A133B – SOCIETÀ, COMUNICAZIONE: I PERSUASORI OCCULTI DELLA POLITICA MODERNA (1), campagne elettorali nell’epoca della Fast Politics. Introduzione di PATRICIA LIBERATORE (coordinatrice di progetto della Konrad Adenauer Stiftung); interventi di: MARCO CACCIOTTO (professore a contratto, docente di comunicazione pubblica e politica presso l’Universitá di Torino e autore del volume “Il nuovo marketing politico” edito da Il Mulino), ALBERTO CASTELVECCHI (professore aggiunto di public speaking e comunicazione efficace presso la LUISS Guido Carli di Roma), PHILIPP KARDINAHL (referente scientifico, esperto di comunicazione politica della Konrad Adenauer Stiftung di Berlino), ANDREA CAMAIORA (moderatore, CEO e founder di The Skill).
A147 – POLITICA, CRISI DELLA DEMOCRAZIA: POPULISMO E SOVRANISMO, presentato a Roma il saggio “La ribellione conservatrice, il populismo italiano tra movimento e regime”, di Michele Prospero. Università Popolare di Roma (Upter), 4 giugno 2019, interventi di: MICHELE PROSPERO (docente di Filosofia politica presso l’Università La Sapienza di Roma), BRUNO GRAVAGNUOLO (giornalista e saggista), MASSIMO D’ALEMA (già parlamentare della Repubblica e Presidente del Consiglio dei ministri), PAOLO FRANCHI (giornalista).
A177 – SOCIETÀ, COMUNICAZIONE: I PERSUASORI OCCULTI DELLA POLITICA MODERNA (2). La «bestia del Capitano»: come capta oggi il consenso Matteo Salvini. Le considerazioni svolte dal professor ALBERTO CASTELVECCHI, docente alla LUISS Business School, riguardo al fenomeno della comunicazione nell’era di Internet, delle opportunità e dei pericoli insiti in essa e dell’uso che ne fanno i politici. Conta di più la comunicazione, cioè il modo di apparire e fissare un’immagine di sé negli altri, oppure la sostanza, la realtà delle cose. Fino a che punto la politica è in grado di bypassare la residuale capacità analitica del «pigro uomo medio»? Adulazione e terrore, disinformazione e imprinting: bastano pochi concetti ripetuti continuamente e si crea un’opinione, si indirizza il consenso, si incrementa il fatturato. Dei messaggi lanciati dai politici nel Terzo millennio, insidertrend.it ne ha parlato con il professor Alberto Castelvecchi, docente presso la LUISS Business School
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