Il leader di Islamic State, il sedicente «califfato», santuario e anima del terrorismo jihadista internazionale, si è tolto la vita assieme ai suoi figli facendosi esplodere con una bamba mentre si trovava sotto attacco da parte delle forze speciali statunitensi.
La dinamica. Nella notte di ieri otto elicotteri americani e due velivoli a pilotaggio remoto armati (UCAV) avrebbero colpito la zona dove, ormai da tempo braccato, aveva trovato rifugio al-Baghdadi con parte della sua famiglia.
Lo scontro con i suoi residui seguaci, durata circa un’ora e mezza, ha avuto luogo presso la città siriana di Idlib, cioè in quella zona della Siria nordoccidentale nella quale da mesi si sono andati ammassando parte degli sbandati delle organizzazioni combattenti e terroristiche jihadiste sopravvissute alla disfatta militare di Islamic State.
Un’operazione non facile, poiché dopo un iniziale scambio di fuoco gli elicotteri avrebbero nuovamente sorvolato l’area dell’obiettivo colpendo ancora dall’aria gli elementi ostili raccoltisi a difesa del loro capo.
Soltanto a questo punto, dopo averne fiaccato le resistenze, gli aeromobili avrebbero fatto sbarcare i due differenti nuclei di forze, cinquanta-settanta militari appartenenti alle forze speciali della Delta Force e quelle delle forze per operazioni speciali, probabilmente tratti da unità Ranger dell’US Army e investiti del compito di “cinturare” l’area di operazioni.
L’azione sul campo ha avuto una durata complessiva di quattro ore e il suo bilancio è di numerosi jihadisti della scorta di al-Baghdadi eliminati, mentre nessuna perdita è stata invece registrata tra gli americani, sono inoltre rimaste uccise negli scontri a fuoco almeno altre sette persone, mentre altre sono state ferite.
Il successo dell’operazione è il frutto del meticoloso lavoro di intelligence e monitoraggio, resa possibile grazie all’indispensabile collaborazione con alcuni attori locali attivi in quel teatro, come le Forze democratiche siriane.
In precedenza Washington aveva posto una taglia di 25.000 dollari sul capo di al-Baghdadi, somma da corrispondere a chiunque avesse fornito all’Amministrazione Usa informazioni utili all’individuazione del leader jihadista, considerato un High Value Target (obiettivo di elevato valore).
La somma inizialmente stanziata nel 2011 dal Dipartimento di Stato ammontava a 10 milioni di dollari, ma in seguito (nel 2016) la somma è stata aumentata a 25 milioni allo scopo di incentivare maggiormente i potenziali defezionisti o informatori.
Oltre ottanta persone hanno collaborato con gli americani fornendo informazioni, per una spesa a carico del contribuente americano pari a 125 milioni di dollari.
Commentando il successo mediante i suoi tradizionali tweet, il presidente statunitense Donald Trump ha avuto parole di ringraziamento per il sostegno ricevuto da Russia, Turchia, Siria, Iraq e per i curdi siriani, attori imprescindibili del conflitto nella regione.
«La Russia ci ha trattato benissimo – ha twittato l’inquilino della Casa Bianca -, l’Iraq è stato eccellente. Abbiamo avuto una grande collaborazione e la Turchia era al corrente del fatto che saremmo intervenuti».
Secondo la Fox – emittente televisiva satellitare conservatrice molto vicina a Trump – test biometrici avrebbero confermato con certezza che il cadavere sia quello di al-Baghdadi.
Se questa notizia fosse ufficialmente confermata si diraderebbero gli ultimi dubbi alimentati nel recente passato attraverso la lunga serie di false notizie riguardo alla morte del leader dell’Isis, voci che ne avevano reso la figura leggendaria.
Chi era il «califfo». Abu Bakr al-Baghdadi (Ibrāhīm ʿAwed Ibrāhīm ʿAlī al-Badrī al-Sāmarrāʾī o, semplicemente, Ibrāhīm al-Badrī) era nato nel 1971 da una famiglia sunnita nella città irachena di Samarra, quindi in una zona a predominanza sciita di quel Paese arabo.
Cresciuto a Baghdad, dove visse fino al 2004 con le sue due mogli e sei figli. Nel 2003, durante l’invasione anglo-americana dell’Iraq, l’allora trentaduenne Awed costituì un gruppuscolo armato che in seguito si unì alle formazioni jihadiste che combatterono le forze della coalizione internazionale dopo la deposizione di Saddam.
Catturato dai soldati americani un anno dopo, venne astretto in un centro di detenzione nei sobborghi meridionali della capitale irachena.
Una volta ottenuta la libertà si accostò agli jihadisti di al-Qaida allora attivi in Iraq, in particolare col ramo dell’organizzazione facente riferimento ad Ayman al-Zawahiri, pervenendo a un’alleanza con essa nel 2010.
Un sodalizio che però finirà presto, quando divenuto leader degli jihadisti Awad inizierà a metterà in discussione l’autorità del medico egiziano che era stato il braccio destro di Usama bin Laden (quest’ultimo eliminato nel 2011 dagli americani in Pakistan).
Assunto il nome di Abu Bakr al-Bagdadi, con l’inasprirsi del conflitto siriano, che nel 2013 costrinse gran parte delle truppe governative di Bashar al-Assad al ritiro dal nord e dall’est del Paese, i suoi uomini poterono risalire lungo il fiume Eufrate e conquistare la città siriana di Raqqa senza colpo ferire, proclamandola loro capitale.
Lo stesso sarebbe accaduto poi con Mosul, per importanza la seconda città dell’Iraq, che cadde nelle mani degli jihadisti nel giugno del 2014.
A questo punto al-Baghdadi, che aveva ormai reciso i precedenti legami con al-Qaida, attuò la sua intelligente azione proselitistica globale nel quadro di un jihad che avrebbe visto la partecipazione e il coinvolgimento di migliaia tra foreign figters, fiancheggiatori e terroristi.
Col sermone pronunciato alla moschea di Mosul annunciò la nascita dello Stato islamico (Islamic State), il sedicente «califfato», proiezione nelle forme statuali di un’organizzazione guerrigliera e terroristica.
Tuttavia mal gliene coglierà, poiché accettando lo scontro armato sul piano militare in campo aperto andò incontro, seppur lentamente e con molte incertezze, alla disfatta, malgrado in Siria e Iraq si combattessero delle proxi war che vedevano la partecipazione e il sostegno di potenti mandatari.
Fu a partire dall’inverno del 2014 che iniziarono a venire diffuse le false notizie sulla sua morte, quando il governo di Baghdad affermò che il leader jihadista era rimasto ferito in un raid aereo presso la località di ad Al Qaim, nella provincia occidentale di Anbar.
Nell’aprile 2015 l’annuncio fu invece dei media iraniani e iracheni, lancio ripreso successivamente da alcuni siti web panarabi. Stavolta la notizia fu che «califfo» era morto in un ospedale israeliano sulle alture del Golan dopo essere rimasto ferito in un raid aereo.
Sempre nel 2015 fu nuovamente il governo di Baghdad a diffondere la fake news relativa a un grave ferimento provocato da un raid dell’aviazione irachena nell’ovest del Paese, ma il giorno seguente dalle fonti mediche locali risultò che il capo di Islamic State non risultava né tra i feriti né tra i morti di quell’operazione militare.
L’11 giugno 2016 la televisione di stato siriana diffuse la notizia che il giorno precedente al-Baghdadi era stato eliminato nel corso di un attacco sferrato nell’area di Raqqa.
Quindi, in maggio, le voci della sua presunta morte a causa di un raid russo sulla medesima città siriana, che tuttavia Mosca non fu in grado di poter confermare.
Da questo momento sul «califfo» cala apparentemente il sipario, ma soltanto fino al settembre del 2017, quando venne diffuso una nuova testimonianza, un audio registrato nel quale al-Baghdadi incitava i propri seguaci a proseguire la “guerra santa”.
Nel marzo del 2019 i mukhabarat iracheni sostennero che il leader dell’Isis fosse nascosto nel deserto lungo il confine tra Siria e Iraq.
Il mese successivo, per la prima volta in cinque anni, al-Baghdadi fece la sua comparsa in un video della durata di diciotto minuti, nel quale fece riferimento alla «guerra ai crociati» e a temi di attualità, come la battaglia in corso di tra le milizie curde e jihadisti jihadisti a Baghuz, allora roccaforte di Islamic State in Siria, che era stata combattuta alla fine del mese di marzo.
Lo scorso settembre fece pervenire il suo ultimo segnale, un’altra registrazione audio, un sermone dal titolo “Agite!”, attraverso il quale esortò i jihadisti a raddoppiare gli sforzi nel campo della predicazione e dell’azione sui diversi piani mediatico, militare e della sicurezza.
Ieri sulla sua esistenza è stata posta la parola fine.