EMIGRAZIONE, italiani all’estero. Oltre cinque milioni i cittadini che hanno lasciato il Paese, ma “solo” meno della metà è partita dal Meridione

Presentato ieri a Roma il Rapporto italiani nel mondo della Fondazione Migrantes, i dati sono inquietanti: l’8,8% della popolazione italiana ha preferito o è stata costretta a emigrare. Intanto in Sicilia monta la protesta pacifica del «Movimento delle valige»

Alla presenza di S.E. Stefano Russo, Segretario generale della Conferenza episcopale italiana, è stato presentato ieri a Roma il “Rapporto italiani nel mondo”, elaborato dalla Fondazione Migrantes, l’organismo pastorale si occupa della mobilità umana nel mondo.

Uno studio accurato giunto alla sua XIV edizione che, nell’auspicio dei suoi promotori, potrà «aiutare al rispetto della diversità e di chi, italiano o cittadino del mondo, si trova a vivere in un Paese diverso da quello in cui è nato».

Alla sua elaborazione hanno collaborato sessantotto ricercatori ed esperti sia italiani che di altri Paesi del mondo.

Da esso emerge come ormai i cittadini italiani residenti fuori dalla Penisola superino i cinque milioni.

Al 1 gennaio del 2019 erano infatti 5.288.281, cioè addirittura l’8,8% della popolazione italiana. Un dato ufficiale – esso è riferito alle iscrizioni all’Aire, l’ Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero –  con non può non inquietare e deve necessariamente fare riflettere i decisori politici ed economici di questo Paese.

La maggior parte degli emigrati risulta originaria del Meridione, si tratta del 48,9%, di cui il 32,0% ha abbandonato le regioni del Sud e il 16,9% le Isole.

La rimanente metà per un 35,5% ha lasciato il Nord (il 18,0% dal Nord-Ovest e il 17,5% dal Nord-Est), il 15,6% le regioni dell’Italia centrale.

Oltre 2,8 milioni (54,3%) si sono trasferiti in altri Paesi europei, mentre più di 2,1 milioni (40,2%) hanno preferito l’America.

Le comunità di italiani emigrati più consistenti si trovano in Argentina (quasi 843.000 persone), in Germania (poco più di 764.000), in Svizzera (623.000), in Brasile (447.000), in Francia (422.000), nel Regno Unito (327.000) e negli Usa (272.000).

Dal mese di gennaio a quello di dicembre, lo scorso anno sono risultati residenti registrati fuori dei confini nazionali per causa espatrio 128.583 cittadini italiani.

Sulla base dei risultati dello studio della Fondazione Migrantes l’attuale mobilità italiana continua a interessare prevalentemente i giovani.

Nella fascia di età compresa tra i 18 e i 34 anni sono il 40,6%, mentre i cosiddetti «giovani adulti», cioè quelli aventi un’età tra i 35 e i 49 anni, sono il 24,3 per cento.

195 le destinazioni in tutti i continenti. Il Regno Unito, nonostante le incertezze indotte dalla tormentata Brexit, con oltre 20.000 iscrizioni risulta essere la principale meta prescelta (+11,1% rispetto all’anno precedente).

Al secondo posto, con 18.385 nuovi italiani immigrati, si pone la Germania, seguita dalla Francia (con 14.016 italiani immigrati), il Brasile (11.663), la Svizzera (10.265), e la Spagna (7.529).

Le partenze nel 2018 hanno riguardato 107 province italiane: 22.803 persone hanno lasciato la Lombardia, regione dalla quale emigrano più italiani. La seconda in ordine di emigrazioni è il Veneto, con 13.329 persone, seguita dalla Sicilia (12.127), dal Lazio (10.171) e dal Piemonte (9.702).

Ma come vengono percepiti oggi gli emigrati italiani nei Paesi di accoglienza? Sono ancora quegli uomini «brutti, sporchi e cattivi» di qualche decennio fa?

Quello della percezione dell’immigrato italiano all’estero è stato il tema centrale dell’analisi svolta dall’organismo pastorale della, è stato appunto “Quando brutti, sporchi e cattivi erano gli italiani: dai pregiudizi all’amore per il made in Italy” il titolo del tema conduttore approfondito durante la presentazione del Rapporto, un focus sugli stereotipi e i pregiudizi che hanno accompagnato il migrante italiano nel tempo in ogni luogo.

«Interrogarsi con onestà e riflettere con rigore sulla percezione e la conseguente creazione di stereotipi e pregiudizi che hanno accompagnato il migrante italiano serve non solo a fare memoria di sé, ma diviene motivo di migliore comprensione di chi siamo oggi e di chi vogliamo essere – ha affermato monsignor Russo, che ha inoltre aggiunto che – sorprende, amareggia e incupisce leggere dei tanti episodi di denigrazione ai quali gli italiani sono stati sottoposti in passato come migranti, ma amareggia ancora di più trovare episodi e appellativi oggi, rendersi conto che ancora, a volte, persistono questi atteggiamenti di discriminazione».

«Obiettivo del Rapporto italiani nel mondo – così si legge nel testo di oltre cinquanta pagine del documento – è quello di risvegliare il ricordo di un passato ingiusto non per avere una rivalsa sui migranti di oggi che abitano strutturalmente i nostri territori o arrivano sulle nostre coste, ma per ravvivare la responsabilità di essere sempre dalla parte giusta come uomini e donne innanzitutto, nel rispetto di quel diritto alla vita (e, aggiungiamo, a una vita felice) che è intrinsecamente, profondamente, indubbiamente laico».

Dati aspri ma inequivocabili che riconducono alla realtà di un fenomeno triste e inquietante. Proprio ieri da una parrocchia periferica di Palermo è partita la protesta della gente, scesa in piazza per dire «no» all’emigrazione forzata dei giovani che sono senza lavoro recando simbolicamente al seguito una valigia. quello del capoluogo siciliano è stato definito appunto il «Movimento delle valige», e a guidarlo c’era un sacerdote, padre Antonio Garau, assieme agli arcivescovi di Palermo e Monreale Corrado Lorefice e Michele Pennisi.

L’emigrazione sta portando allo spopolamento di interi quartieri delle città italiane e dei piccoli centri.

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