ARGENTINA, elezioni presidenziali. I Fernández ai test del governo (e del negoziato con il Fondo monetario internazionale)

Articolo a firma Emanuele Torre, pubblicato il 23 ottobre 2019 su AffarInternazionali.it, organo di stampa dell’Istituto affari internazionali (IAI)

Il dilemma della presidenza argentina è una questione già risolta. Il nuovo inquilino della Casa Rosada sarà Alberto Fernández, leader della coalizione progressista Frente de Todos.

Le primarie argentine dell’11 ottobre scorso hanno dato più risposte di quelle attese, definendo non solo i partiti abilitati a presentarsi alle elezioni presidenziali, ma riconoscendo di fatto come assoluto vincitore e futuro presidente – benché non ancora ufficialmente – Fernández, atteso adesso alla prova delle urne che si apriranno nel Paese domenica 27 ottobre.

Quasi impossibile un capovolgimento della situazione per la coalizione Juntos por el Cambio, guidata dall’attuale presidente Mauricio Macri dopo la sconfitta con un distacco di quindici punti percentuali: 47,65% per la formula Fernández-Fernández (Alberto corre con in ticket con l’ex presidente Cristina Fernández de Kirchner, oggi designata al posto da vice) contro 32,08% di quella Macri-Pichetto.

Risolto un dilemma – o quasi – se ne pongono altri sul futuro dell’Argentina. Alcuni dei quali difficilmente troveranno risposta con i risultati elettorali di domenica prossima.

Quello che le imminenti votazioni potranno decidere a questo punto è l’entità della vittoria del Frente de Todos, questione di importanza cruciale per i futuri passaggi politici ed economici che riguarderanno l’Argentina.

Se Alberto Fernández dovesse raggiungere il 45% delle preferenze – oppure anche il 40% distanziando il secondo candidato di almeno 10 punti – potrebbe essere eletto al primo turno senza necessità di passare al ballottaggio. La forza della maggioranza sulla quale il nuovo presidente potrà contare dipenderà naturalmente anche dai risultati delle votazioni nelle province argentine, ma i sondaggi sembrano penalizzare il gruppo di Juntos por el Cambio, che alle primarie ha perso in ventidue delle ventiquattro giurisdizioni nazionali.

 

Nuovo corso kirchnerista. Da un punto di vista politico sarà interessante capire se Alberto Fernández inizierà effettivamente una nuova stagione del kirchnerismo. Intorno alla sua figura è stato possibile ricostruire l’unità del peronismo, che ha avuto come risultato l’importante vittoria alle primarie.

Lungimirante la mossa di Cristina Fernández de Kirchner nel cedere la candidatura presidenziale ad Alberto Fernández, aprendo la strada ad un’alleanza con il Frente Renovador di Sergio Massa e all’accordo con vari governatori delle province.

Il nuovo papabile presidente ha assicurato che la sua formula di governo sarà pluralista, fondata sulla collaborazione tra le diverse componenti della maggioranza e del movimento e meno votata a convergere sulla figura di un leader carismatico, con chiaro riferimento al passato del kirchnerismo incarnato dalla sua numero due.

E se adesso ci si interroga sulla nuova fase del kirchnerismo, l’altro dilemma riguarda la sopravvivenza del macrismo.

Di fronte a un risultato che confermerebbe quello delle primarie sarebbe legittimo chiedersi se l’esperienza iniziata con Cambiemos possa avere un futuro, se cioè le elezioni del 27 ottobre possano tradursi soltanto in una battaglia persa o proprio nella fine dell’esperienza politica che oggi è al governo dell’Argentina.

Questo naturalmente dipenderà da molti fattori, in particolare dai risultati del nuovo esecutivo in campo economico. Ad oggi infatti la madre di tutte le battaglie in Argentina è quella contro crisi economica, inflazione, disoccupazione crescente e povertà, in un più ampio quadro regionale latino-americano che dall’Ecuador al Cile nelle ultime settimane è stato attraversato da violente proteste contro il carovita.

 

Il prestito del Fondo monetario internazionale. Anche il nuovo governo argentino dovrà infatti fare i conti con il Fondo monetario internazionale (Fmi), secondo gli accordi presi dal governo Macri.

Il Fondo monetario internazionale (FmI) ha concesso all’Argentina un prestito di 56.000 milioni di dollari, circa il 78% dei quali già accordato.

Questo mese avrebbe dovuto sborsare in favore del Paese altri 5.400 milioni di dollari, portando così a termine così il pagamento dell’88% del totale del prestito accordato a Buenos Aires in tre anni, ma i rappresentanti dell’organismo internazionale hanno escluso qualsiasi ulteriore elargizione prima dell’insediamento del nuovo governo.

Naturalmente, i successivi versamenti verranno concessi se lo staff tecnico del Fmi dovesse avere delle garanzie sulle condizioni degli accordi presi con il governo Macri.

Il prestito concesso secondo il piano triennale di stand by fa dell’Argentina ad oggi il principale debitore dell’organismo internazionale.

La questione è capire come il nuovo governo farà fronte al pagamento del prestito e dei tassi d’interesse senza propendere per politiche di austerità e maggiore pressione fiscale.

Gli accordi con il Fmi prevedono una devoluzione del prestito che dovrebbe iniziare nel 2021 e terminare nel 2024.

Secondo gli accordi e il piano di pagamenti stabiliti l’Argentina dovrebbe affrontare le più dure tranche di pagamento nel 2022, quando dovrà restituire al Fmi 18.200 milioni di dollari e nel 2023 con 22.600 milioni.

La strada obbligata, come molti avevano previsto, è stata già imboccata da Buenos Aires: ristrutturazione del debito ed una revisione delle scadenze. Ma i negoziati con i creditori internazionali per un’estensione dei tempi per i pagamenti non potranno concludersi se non dopo l’insediamento del nuovo esecutivo. E qui entra in gioco l’importanza del voto del 27 ottobre.

L’entità della vittoria di Alberto Fernández influirebbe in modo decisivo sul margine di negoziabilità degli accordi presi con il Fmi. Una forte maggioranza e un consenso assoluto degli argentini metterebbero il nuovo presidente nelle condizioni di trattare con maggiore sicurezza con il Fmi.

Se da una parte il governo di Buenos Aires non può tornare indietro – i soldi sono infatti già stati incassati e per assicurarsi i pagamenti successivi si dovranno dare delle garanzie -, dall’altra gli interessi e le somme che l’Argentina deve al Fmi rappresentano parte importantissima delle entrate dell’organismo, la cui organizzazione dipende in buona parte dai pagamenti dei debitori.

Come ricorda Noemi Brenta, ricercatrice all’Università di Buenos Aires ed esperta di storia del debito estero argentino, quando tra il 2005 e il 2006 Argentina, Brasile, Corea del Sud ed altri Paesi cancellarono i propri debiti le entrate del Fmi si ridussero di un terzo e l’organismo dovette iniziare un processo di ristrutturazione e riduzione dei costi. La situazione argentina è un rischio per il Fmi e un risvolto negativo non converrebbe a nessuna delle due parti.

 

Una nuova marea rosa all’orizzonte?. Intanto dall’Ecuador arriva un messaggio importante, la mobilitazione popolare ha obbligato il presidente Lenín Moreno a rivedere le misure economiche previste in cambio di un credito del Fmi di 4,2 miliardi.

Anche in Cile, dopo momenti di alta tensione che hanno fatto morti e la dichiarazione dello stato d’emergenza dovuto alle forti proteste scoppiate in previsione di un aumento dei prezzi per i servizi metro nella capitale, il presidente Sebastian Piñera è dovuto tornare sui suoi passi e cedere alla pressione popolare.

L’America Latina è in fermento, i risultati delle elezioni in Argentina, Bolivia e Uruguay daranno un quadro politico regionale più chiaro. La crisi di alcuni dei governi di destra e conservatori è un dato di fatto – si guardi al Perù, alla stessa Argentina e all’Ecuador post-correista -, ma è ancora presto per parlare di un possibile nuovo giro progresista e di una nuova marea rosa nel continente.

 

Emanuele Torre ha studiato Storia contemporanea alla Sapienza, dove si è laureato con una tesi sui desparecidos del regime di Videla nella stampa italiana. Impegnato con il Servizio civile nazionale in Argentina, si occupa di diritti umani e politica internazionale in Sudamerica.

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