Domenica 27 ottobre, l’Argentina, il Paese con più italiani all’estero (circa 900 mila), va al voto: ultima tra le importanti democrazie dell’area a decidere dove andare e soprattutto dove stare, nell’ormai inconsistente geografia politica latino-americana.
Il presidente conservatore Mauricio Macri arriva a fine mandato con un consenso bassissimo: nel 2015, aveva vinto intercettando le speranze di cambiamento e di rinnovamento di una parte del elettorato, dopo quasi quindici anni ininterrotti di kirchnerismo, promettendo lotta alla dilagante corruzione e all’inflazione e il rilancio dell’economia con l’apertura ai mercati internazionali.
Tutto questo non è avvenuto. Il Paese è caduto in una nuova crisi economica. Tutti gli indici economici sono da bancarotta: inflazione oltre il 50%, soprattutto sui beni alimentari e medicinali; produzione industriale calata del 10,6%, con un indice di povertà che ha raggiunto il 30 per cento.
Il Banco Central ha il tasso d’interesse più alto al mondo, quasi l’80% con la moneta in costante svalutazione. Il peso ha perso più del 300% del suo valore nell’era Macri e lo spread di 2.200 punti ricorda gli anni della crisi del 2001-2002.
Gli errori di Macri. L’ex sindaco di Buenos Aires è apparso a tutti poco incisivo: il suo programma di “graduale” austerità ha prodotto risultati deludenti con i cosiddetti ajuste (aggiustamenti), sopportati soprattutto dalle classi medio-basse.
Il tentativo di scaricare, sempre e comunque le colpe sul passato e rinforzare la cosiddetta grieta (crepa), cioè la fortissima divisione tra kirchneristi e antikirchneristi che domina la politica argentina, con il tempo si è rivelato superficiale, poi controproducente.
Per affrontare la svalutazione del peso (la moneta argentina), i programmi di infrastruttura pubblica e di spesa pubblica, il governo ha deciso di ricorrere al Fondo monetario internazionale. Un “programma di salvataggio” stratosferico, di ben cinquanta miliardi di dollari: il più importante della storia del Fondo.
Macri ha assecondato i piani di aggiustamento strutturale proposti dal Fmi, dando sempre la sensazione di gestire la malattia del Paese, mai di curarla e di uscirne vincente.
Su questo punto, il paragone con gli ex presidenti Cristina Fernández de Kirchner e Néstor (il marito e predecessore), che avevano fatto della ristrutturazione del debito una battaglia di riscatto nazionale, è apparso sempre più perdente.
Macri ha riaperto, indiscriminatamente, le importazioni, soprattutto nel settore agricolo, esponendolo a una spietata concorrenza. La perdita di tutela nei settori di qualità come quello agricolo-alimentare ha determinato il calo della produzione e il crollo dell’occupazione.
In politica estera, il governo ha perseguito una strategia che ha definito «pragmatica e de-ideologizzata» al fine di «reinserire il Paese nel mondo dopo l’isolamento kirchnerista»: priorità alle relazioni con Europa e Stati Uniti e con gli organismi finanziari internazionali e al riavvicinamento alla Gran Bretagna. Quest’ultimo mal digerito in un Paese ancora molto sensibile alla questione Malvinas/Falklands.
Pertanto, il macrismo ha essenzialmente significato la scelta di ridimensionare il modello integrazionista Mercosur, abbassando le ambizioni d’integrazione economica e soprattutto politica, di fatto riportando il Paese a una dimensione “menemista” anni Novanta, con scarsa vocazione regionale, abdicando alla tradizionale posizione di riferimento per il subcontinente.
Una strategia diametralmente opposta a quella dei Kirchner, quando l’Argentina si è mossa come leader regionale su posizioni non conflittuali con il Brasile (come l’educazione e le migrazioni), interagendo nelle funzioni di guida e di compensazione strategica nell’area macro-economica.
La presenza di Cristina, carismatica, forte, dalla presenza scenica importante, con una lunghissima carriera politica nel peronismo e, soprattutto, molto “divisiva”: questa è Cristina Fernandez de Kirchner, vedova di Néstor, il presidente del riscatto dopo la terribile crisi e bancarotta del 2001-2002.
Con Néstor prima e Cristina dopo, l’Argentina è stata protagonista della stagione progressista e integrazionista dell’America Latina, soprattutto nella prima decade del nuovo secolo. Solidissimo è stato il rapporto e l’intesa strategica con il presidente brasiliano Lula da Silva.
Argentina e Brasile, messa da parte la storica rivalità ispano-lusitana, hanno identificato (anche fisicamente nel G20) l’idea stessa di centralità dell’area come player mondiale nel concerto delle relazioni internazionali.
Parte importante della sua strategia elettorale è stata la capacità di sovradimensionare l’elemento politico su quello personale, compromesso da una serie di scandali e vicende poco chiare del suo lungo mandato: con molto acume, Cristina ha scelto di candidarsi come vice-presidente, consapevole delle fortissime divisioni e polarizzazioni che genera la sua presenza.
Il candidato presidente Alberto Fernández (non ci sono rapporti di famiglia) è stato il suo capo di gabinetto, ma è anche molto critico su alcune sue politiche. Considerato un ‘conciliatore’, Alberto ha una naturale tendenza a cercare accordi: in questo, è molto diverso da Cristina, notissima per il suo tratto conflittuale.
Chi si è sorpreso dell’esito delle primarie dell’11 agosto, con la vittoria dell’opposizione peronista, soprattutto per le sue dimensioni, sicuramente ha sottovalutato la frustrazione che attraversa la maggior parte della società argentina. Alla coalizione peronista ”Frente de todos” è andato il 48,86% contro il 33, 27% della coppia Macri–Miguel Ángel Pichetto di “Juntos por el cambio”.
Divario che permetterebbe la conquista della Casa Rosada, senza bisogno di ballottaggio.
Forte di un consenso e di un senso di appartenenza militante, la macchina elettorale di Cristina Fernández è stata perfetta; si è mossa casa per casa spiegando come votare e le ragioni del voto, mentre Macri, copiando la strategia di Jair Messias Bolsonaro in Brasile o mal consigliato, si è affidato a una violenta campagna, soprattutto sui social network, con catene di messaggi WhatsApp e servendosi di numerosi gruppi di sostegno Online.
I convitati di pietra Bolsonaro e Lula. Un’Argentina di nuovo kirchnerista, aprirebbe nuovi scenari geopolitici.
A soffrirne di più – in un capovolgimento di equilibri di forza – potrebbe essere proprio Bolsonaro, con un’economia praticamente al palo (Pil al +0,9%) e la sbornia post-elezioni evaporata con l’approvazione di una radicale riforma previdenziale e di una serie di riforme strutturali che includono la privatizzazione di aziende strategiche come Petrobras.
Una divisione ideologica così forte tra i due Grandi del Cono Sur avrebbe come possibile conseguenza il blocco dei meccanismi di negoziato del Mercosur l’incertezza assoluta sul futuro del trattato di libero scambio Mercosur–Unione europea.
Al tradizionale asse Argentina-Brasile, potrebbe sostituirsi un’inedita (ma verosimile) intesa tra l’Argentina e il Messico di Lopez Obrador.
In più, assolutamente da non sottovalutare, la figura carismatica dell’ex presidente brasiliano Lula da Silva; il vero convitato di pietra degli equilibri geo-strategici regionali.
La liberazione di Lula, condannato per corruzione e detenuto, è stata chiesta da molte personalità, tra intellettuali e politici, in Europa come in America latina, e non da ultima, proprio da Cristina Fernandez de Kirchner, convinta che l’inchiesta del giudice Moro (attuale ministro della Giustizia del governo Bolsonaro), che di fatto ha impedito a Lula di ricandidarsi pur essendo il candidato con maggiori consensi, fosse “pretestuosa”.
Se la notte del 27 ottobre a Buenos Aires si sentirà cantare “estamos volviendo” (stiamo tornando), è molto probabile che tra i primi messaggi di congratulazioni non ci sarà quello dell’ex capitano dell’esercito brasiliano oggi presidente.
Carmine de Vito è analista di politica, sicurezza e geopolitica sudamericana. (Twitter: @CarminedeVito13 | FB: Carmine De Vito)
Leiza Brumat, research fellow, Istituto Universitario Europeo. Analista in relazioni internazionali, specialista in integrazioni regionali e politiche migratorie nel Sud America