STRATEGIA, informazione. Il ruolo dei media nell’era delle guerre ibride

Alla Camera dei Deputati un seminario su informazione e disinformazione nella lunga transizione uni-multipolare

«La propaganda è un cannibale che si mangia la realtà». Questo è uno dei concetti che l’antiutopista George Orwell espresse alla fine degli anni Quaranta con un occhio a quello che in quel momento era il recente passato, cioè le dittature nazista e fasciste, e l’altro alla Mosca di Stalin.

Egli era in ogni caso consapevole che anche il campo occidentale, il cosiddetto «mondo libero», non era esente da pericoli.

Informazione è potere, una ovvietà si potrebbe eccepire. Infatti conoscere orientamenti, gusti, abitudini, debolezze e virtù delle persone diviene fondamentale ai fini di un loro controllo poliziesco, di una loro profilatura a fini commerciali, di una loro strumentalizzazione.

Informazione è potere anche se si vuole colpire un obiettivo con un sofisticato missile guidato da remoto, infatti, in questo caso si ha il potere di indirizzarlo con precisione sull’obiettivo, magari sfruttando le coordinate del suo telefono cellulare o altri diabolici evoluti sistemi tecnologici applicati alle armi.

Chi controlla i dati e le informazioni è in grado di porre in essere gigantesche operazioni di manipolazione sociale.

Ma come si collocano e si esplicano i processi di disinformazione e di persuasione occulta in una fase come quella attuale, caratterizzata da una capillare informatizzazione e dal rapido progresso tecnologico?

Si potrebbe affermare che la cornice sia sostanzialmente la medesima di sempre, infatti informazione, operazioni psicologiche e disinformazione sono sempre esistite.

Nel tempo sono cambiate le denominazioni e le tecnologie, e con queste ultime il grado di penetrazione e controllo dei singoli individui.

Qualche tempo fa si utilizzava ironicamente il termine «disinformacija», oggi sulla bocca di tutti – a volte in maniera del tutto inappropriata – si parla di «fake news».

Certo, il mondo nel frattempo è andato avanti, molto avanti. Ad esempio è mutato il paradigma di riferimento nell’informazione, poiché dalla tradizionale piramide mediatica imperniata su agenzie stampa, emittenti televisive e pubblicazioni cartacee, si è passati alla rete.

In essa sempre più persone vanno alla ricerca di “informazioni”, convinte di trovarsi in una dimensione di libertà e conoscenza liberatoria. Ma in realtà Internet è soltanto uno stagno per chi non possiede le capacità di cercare a fondo, nel torbido delle sue acque (magari nel deep e nel dark web), e le cosiddette informazioni finiscono spesso per saturare le menti degli inconsapevoli internauti, monitorati financo sessualmente dall’occhio intrusivo del Grande Fratello.

Non accade soltanto nel web, anche giornali e televisione ricorrono alla tecnica del bombardamento di informazioni. Tante informazioni equivalgono a nessuna informazione, in quanto il cervello umano, data la limitata soglia di attenzione, ne percepirà solo una minima parte e in modo parziale.

Cosa resterà? Resteranno i messaggi che il persuasore occulto vuole che colpiscano il “soggetto bersaglio”, cioè la gente. Un po’ come un missile Hellfire a guida laser lanciato da un elicottero da attacco contro un bersaglio puntiforme.

Ed ecco allora l’importanza esiziale di un bravo titolista. Consapevoli del deficit delle dissonanze cognitive gli basterà un bel titolo a effetto sparato nel sommario di un telegiornale o stampato su un quotidiano per imprimere il concetto voluto nel cervello di chi lo sente o lo legge.

Poi all’interno dell’articolo ci si potrà scrivere anche l’esatto contrario, non fa niente: sarà quella frase a effetto a colpire la scarsa attenzione dell’homo 2.0.

 

La rete e il suo controllo. Sempre più persone ricorrono a Internet per informarsi, ai social media e ad altre fonti disponibili attraverso i vari devices elettronici.

Tutti si attivano nei nuovi canali di informazione, e il giornalista dunque – che dovrebbe mediare intellettualmente – di fatto diviene anche lui parte in causa.

Il mainstream (che non è affatto informazione) assume la forma di una clava da brandire nella «guerra di percezione», asset dei grandi poteri nella guerriglia mediatica che rinviene il suo campo di battaglia nel web.

Il web quale luogo centrale del conflitto, ma esso, quanto è davvero indipendente?

Il controllo della rete è sempre più serrato, in essa muovono decine di migliaia di maligni troll prezzolati che sfuggono a ogni controllo, un quadro prospettico non certo esaltante che vede i privati gestire la massima parte dei flussi informativi.

La propaganda è la strategia dell’influenza e attraverso la disinformazione è possibile demolire la figura dell’avversario, sia esso un politico, un’impresa commerciale, un sistema-paese ovvero un grande manager.

Ma la disinformazione è anche il risultato della realtà, di una notizia. Con la fine della geopolitica del caos, parallela al declino dell’impero americano, per i media si è posto il problema  della propria riconfigurazione di fronte ai mutamenti epocali in atto, non ultimo il lento declino dell’impero americano. La parola d’ordine è “ricollocarsi!”.

Ma che succederà quando i big della rete avranno il controllo di tutte le forme di informazione disponibili in Internet e, magari, disporranno anche di una propria moneta elettronica virtuale sul tipo di Lybra?

Seppure sia piuttosto inquietante rimane comunque una bella domanda, alla quale si è cercato di fornire una risposta nel corso del seminario sul ruolo dei mass media nell’era delle guerre ibride, “informazione e disinformazione nella lunga transizione uni-multipolare”, questo il suo titolo.

Guerre ibride – o, per dirla con gli anglosassoni, hybrid warfare -, un termine divenuto di uso comune nonostante la sua definizione permanga per certi aspetti ancora incerta.

Un qualche cosa di non completamente nuovo, sicuramente aggiornato, ma risalente nel passato, seppure recente, dato che sue componenti sono la guerriglia, la guerra asimmetrica, le attività di disinformazione, di guerra psicologica (Psyops) e le operazioni cosiddette «coperte».

Nulla di nuovo si sarebbe indotti a ritenere, tuttavia non è proprio così. Basterà riflettere a quello che sta accadendo a poche centinaia di chilometri dalle coste italiane, in Turchia, dove si utilizza strumentalmente il potenziale destabilizzatorio rappresentato dalla massa di rifugiati siriani (che Ankara minaccia di attualizzare trasformandola in un biblico flusso migratorio verso l’Europa), arma decisiva nelle relazioni internazionali in questi ultimi giorni.

Gli strateghi della Nato definiscono la guerra ibrida come un conflitto violento che coinvolge simultaneamente stati e attori non statuali, combattuta mediante l’impiego di strumenti bellici sia convenzionali che non convenzionali il cui impiego non risulta limitato a un campo di battaglia e a un determinato spazio fisico.

Il passaggio dalle tecnologie 4G a quelle 5G imprimerà un cambiamento radicale alla società, che inciderà sulla democrazia e il pluralismo così come è stato conosciuto finora.

 

Censura e autocensura. E inoltre la censura e l’autocensura, altre forme di negazione dell’informazione.

Nel corso del seminario alla Camera è stato trattato anche questo argomento, lo si è fatto attraverso interessanti esempi che hanno rievocato squallidi episodi frutto della coercizione del potere.

Il golpe cileno del 1973 viene spesso ricordato come il «golpe della ITT», a quei tempi potentissima multinazionale delle telecomunicazioni statunitense. La nazionalizzazione dell’industria del rame decisa dal governo socialista presieduto dal Salvator Allende fu alla base dell’intervento di Washington che portò alla deposizione manu militari del governo e alle sanguinose repressioni che la seguirono.

È luogo comune – non soltanto negli ambienti della destra reazionaria – affermare che Allende abbia tirato troppo la corda, esagerando nelle sue politiche di stampo marxista, che, sempre secondo i detrattori, avrebbero condotto il Cile al disastro economico provocando così l’intervento dei militari del generale Augusto Pinochet.

In realtà l’operazione “Condor” venne preceduta da una intensa ed efficace campagna statunitense di attacchi al Cile sia sul piano economico (per provocarne la crisi) sia su quello della disinformazione, accreditando, mediante la manipolazione delle informazioni, l’immagine fallimentare dell’esecutivo in carica a Santiago, che contribuì a spianare la strada ai carabineros.

Altro esempio ricordato dai relatori durante il seminario è quello relativo alla Somalia, che vide gli italiani protagonisti in negativo più di una volta.

Come quando venne fatta passare sotto silenzio la strage nascosta perpetrata nel 1989 a Mogadiscio dai “berretti rossi” del dittatore Siad Barre, quando nella zona dell’Hotel di proprietà della moglie di Ali Mahdi 4.000 persone vennero trucidate e i loro cadaveri fatti sparire.

O quando, sempre in Somalia, la missione militare italiana di pace sotto le insegne dell’Onu alla quale parteciparono contingenti leva, trasformatasi in breve da operazione di peace-keeping in operazione di peace-enforcing, venne praticamente oscurata dalle televisioni italiane, pubbliche e private.

Per non parlare poi del caso degli omicidi della giornalista della Rai Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin, l’operatore che l’accompagnava, assassinati mentre indagavano su un traffico di armi e rifiuti tossici provenienti dall’Italia.

Anche qui un grossa ipocrisia: per la stampa di cosa fu possibile parlare e di cosa invece no?

Il traffico di armi è sicuramente un tema tabù, tuttavia – a rischio e pericolo del giornalista che decide di affrontare questo scottante argomento – qualcosa passa; più difficile, invece, far passare qualcosa nel caso di traffici di rifiuti tossici e scorie nucleari, magari sversati in mare al largo delle coste somale, e questo per la semplice ragione che, se le guerre sono sempre esistite (e quindi sono state combattute con le armi), i rifiuti tossici rappresentano qualcosa di altamente inquinante che rischia di mettere in discussione l’attuale modello di sviluppo.

Infine l’Iraq di Saddam, quando alla vigilia del primo attacco militare americano (quello di Bush padre) al giornalista della Rai Bruno Vespa «impedirono dall’alto» di invitare alla trasmissione televisiva Porta a porta il primo ministro iracheno (cristiano caldeo) Tarek Aziz.

Lo ha raccontato un prete francese in contato con l’ambasciata irachena a Roma che a quel tempo appariva sui teleschermi italiani, e che era fortemente contrario alla guerra che di lì a poco sarebbe stata scatenata in Medio Oriente.

Si trattava di padre Jean-Marie Benjamin, testimone di altre operazioni  psicologiche e di disinformazione effettuate in quei mesi caldi.

 

Di seguito è possibile ascoltare l’audio integrale del seminario “Il ruolo dei mass media al tempo delle guerre ibride: informazione e disinformazione nella lunga transizione uni-multipolare”, inclusivo di queste e altre testimonianze, oltreché delle analisi degli esperti del settore e degli operatori dell’informazione convenuti

 

 

A198A – INFORMAZIONE, MEDIA: disinformazione al tempo delle guerre ibride. Il ruolo dei mass media al tempo delle guerre ibride: informazione e disinformazione nella lunga transizione uni-multipolare, seminario che ha avuto luogo il 22 ottobre 2019 presso la Sala Tatarella del Palazzo di Gruppi parlamentari della Camera dei Deputati.

Inteventi di: TIBERIO GRAZIANI (presidente di Vision & Global Trends), moderatore: introduzione; PINO CABRAS (capogruppo M5s nella Commissione parlamentare Affari esteri), GIULIETTO CHIESA (giornalista, saggista, Pandora TV), GIORGIO BIANCHI (fotoreporter, documentarista, saggista), padre JEAN-MARIE BENJAMIN (sacerdote cattolico, compositore, regista, già funzionario Unicef), FRANCO OLIVA (saggista).

                                            

A198B – INFORMAZIONE, MEDIA: disinformazione al tempo delle guerre ibride. Il ruolo dei mass media al tempo delle guerre ibride: informazione e disinformazione nella lunga transizione uni-multipolare, seminario che ha avuto luogo il 22 ottobre 2019 presso la Sala Tatarella del Palazzo di Gruppi parlamentari della Camera dei Deputati.

Inteventi di: THIERRY MEYSSAN (saggista, presidente fondatore di Rèseau Voltaire), LUCIANO CERASA (giornalista, autore di “Balle planetarie”), GIORGIO BIANCHI (fotoreporter, documentarista, saggista), FRANCO OLIVA (saggista), padre JEAN-MARIE BENJAMIN (sacerdote cattolico, compositore, regista, già funzionario Unicef), LUCIANO CERASA (giornalista, autore di “Balle planetarie”), PINO CABRAS (capogruppo M5s nella Commissione parlamentare Affari esteri); modera TIBERIO GRAZIANI (presidente di Vision & Global Trends).

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