EUROPA, Brexit (5). Raggiunto l’accordo, adesso l’incognita è sulla sua ratifica a Londra

Trovata un’alternativa al meccanismo di «back-stop», ma sarà difficile che sabato Westminster lo ratifichi. Le contrarietà e le paure degli Unionisti dell’Ulster. Nel pomeriggio il Consiglio europeo

Dopo una notte di trattative è stato finalmente raggiunto un accordo sull’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, la cosiddetta «Brexit». Si tratta certamente di un passo in vanti, tuttavia non è detto che l’intesa odierna divenga poi effettiva, poiché essa dovrà passare al vaglio del parlamento di Londra e già, nell’immediatezza della diffusione della notizia, pervengono segnali di contrarietà da parte delle forze politiche britanniche.

L’annuncio è stato fatto in tarda mattinata dal premier britannico Boris Johnson e dal presidente uscente della Commissione europea Jean-Claude Juncker.

«Abbiamo un grande nuovo accordo che ci restituirà il controllo del nostro Paese  – ha sottolineato l’inquilino di Downing Street -, ora il parlamento dovrà lasciare che la Brexit sia fatta, Westminster dovrà dare il via libera all’intesa in modo che il parlamento poi possa muoversi per affrontare le atre priorità, quali il costo della vita, il sistema sanitario pubblico, la tutela dell’ambiente e i crimini violenti».

Quindi ci sarebbe un’intesa sulle modalità di uscita di Londra dall’Unione europea, ma tutto dovrà venire ratificato sabato prossimo a Westminster in una riunione straordinaria, poiché la Brexit dovrà entrare in vigore il prossimo 31 ottobre.

Ed ecco qui palesarsi le incognite sul percorso di questa ennesima difficile ratifica. La prima è quella costituita dal partito degli unionisti nordirlandesi, che ha fatto subito sapere di essere contrario anche a questo accordo.

«La nostra posizione non è mutata rispetto a un comunicato diffuso questa mattina dove veniva affermato di non potere ancora sostenere l’intesa proposta dal premier britannico», questo ha dichiarato il loro portavoce da Belfast, una formazione politica che già aveva bocciato gli accordi presentati in precedenza a Westminster dall’allora premier in carica Theresa May.

Le riserve degli Unionisti, il cui sostegno politico risulta fondamentale alla sopravvivenza del governo conservatore presieduto da Johnson, dunque permangono, «la nostra precedente dichiarazione – hanno ribadito in una breve nota diffusa alla stampa – resta valida in risposta alla notizia che un deal è stato raggiunto»

In mattinata la leader del Democratic Unionist Party Arlene Foster e il suo braccio destro Nigel Dodds avevano comunque espresso la disponibilità a continuare a lavorare con l’esecutivo per addivenire a un accordo «ragionevole», confermando questa posizione anche dopo la diffusione della notizia sull’intesa.

I timori degli unionisti di Belfast derivano principalmente dal differente trattamento al quale verrà sottoposto l’Ulster rispetto al resto della Gran Bretagna.

Di fatto, in quest’ultima defatigante trattativa il premier britannico Johnson (messo con le spalle al muro) ha fatto diverse concessioni apparentemente a sorpresa, la principale delle quali riguarda proprio il confine con l’Eire. Infatti, sulla base di questo accordo, formalmente l’Ulster permarrà nell’unione doganale col Regno Unito, tuttavia, di fatto continuerà a rispettare le regole dell’unione doganale europea e a quelle del mercato unico.

Una situazione transitoria ma non necessariamente breve, dato che potrà perpetuarsi anche fino a dieci anni, due anni previsti con certezza e altri al momento soltanto potenziali.

I termini dell’intesa tra Bruxelles e Londra prevedono che il confine venga spostato lungo il tratto di mare che separa le due isole, questo, a differenza del passato, allo scopo di evitare di fissare un confine terrestre rigido tra Eire e Ulster lungo la contea di Armagh. Un confine rigido che porrebbe a rischio la tenuta dei cosiddetti «Accordi del venerdì santo» raggiunti nel 1998.

Una soluzione che non convince però né gli unionisti nordirlandesi né l’ala dura del Partito conservatore, favorevoli questi ultimi a una hard Brexit.

Nella conferenza stampa di stamane il capo negoziatore europeo Barnier ha espresso la convinzione che per l’Irlanda del Nord sia più conveniente rimanere all’interno nell’unione doganale del Regno Unito, dato che essa si configurerebbe appunto nelle forme di una permanenza esclusivamente formale, dato che dal punto di vista pratico l’Ulster continuerà a fare parte dell’unione doganale dell’Unione europea, applicando le regole del mercato unico di Bruxelles.

Per quanto concerne l’Iva (imposta sul valore aggiunto) Londra ha fatto richiesta che l’Ulster permanga allineato al regime attualmente in vigore (quello europeo), tuttavia, allo specifico riguardo i parlamentari Unionisti hanno lamentato una mancanza di chiarezza sulla futura gestione della materia.

Ogni quattro anni i membri del parlamento nordirlandese – nel quale però gli Unionisti non sono in maggioranza – avranno la facoltà di votare, esprimendo così la volontà di continuare ad applicare l’accordo oppure no.

E questo è molto importante, poiché costituisce il timore maggiore degli Unionisti protestanti riguardo a un possibile progressivo allontanamento dell’Ulster da Londra per via politica, segnando al contempo l’avvio del processo di riunificazione delle due Irlande (cattoliche).

A dirsi contrari all’accordo di oggi – ma forse questo era del tutto scontato – sono stati i partiti attualmente all’opposizione, cioè i laburisti di Jeremy Corbyn e i liberal democratici (LibDem) di Jo Swinson.

Annunciando il voto negativo all’intesa del suo partito, l’anziano leader laburista ha affermato che: «L’accordo negoziato dal primo ministro sembra persino peggiore di quello di Theresa May, già rigettato a valanga, in quanto queste proposte rischiano d’innescare una corsa al ribasso su diritti e tutele. Si tratta di un accordo-svendita che non riunifica il Paese e che quindi deve essere respinto».

Se sabato prossimo Westminster dovesse bocciare l’accordo resterebbe una sola opzione praticabile, quella del no deal, con tutte le conseguenze del caso, cioè di un’uscita disordinata del Regno Unito dall’Unione europea.

Tertium non datur dunque , poiché la legge del parlamento britannico approvata il mese scorso che obbligherebbe Downing Street a richiedere a Bruxelles un’ulteriore proroga di tre mesi (fino al 31 gennaio 2020) difficilmente incontrerebbe la disponibilità di un’estenuata Unione europea.

Al riguardo, comunque, sarà decisivo il prossimo Consiglio europeo che avrà luogo nel pomeriggio.

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