A distanza di alcuni giorni dai quattro sequestri di armi e sostanze stupefacenti effettuati dai militari del Comando provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Calabria sia nel capoluogo che nella vicina Villa San Giovanni, gli uomini delle Fiamme gialle, in particolare quelli in forza alla Compagnia territoriale reggina, hanno individuato e sequestrato ulteriori quantitativi di armi e droga.
Nel corso di un’attività di controllo economico-finanziario del territorio si è proceduto d’iniziativa all’arresto in flagranza di reato di un cittadino italiano di Reggio (G.D., classe 1988) che, all’interno di un’autorimessa nella sua disponibilità in qualità di locatario, deteneva oltre due chili e mezzo di esplosivo, più di un chilogrammo di cocaina, quattordici tra mitragliatrici, pistole e fucili e oltre cinquecento cartucce.
Il soggetto arrestato in flagranza di reato, risultato poi in possesso di precedenti penali per possesso di stupefacenti e in legami famigliari con cosche di ‘ndrangheta, su disposizione del Pubblico ministero della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria è stato successivamente tradotto in carcere.
L’operazione, denominata convenzionalmente «bunker», rientra in un piano straordinario di maggiore respiro finalizzato al controllo del territorio reggino, che si è esplicato mediante penetranti attività di monitoraggio di aree e snodi stradali, ferroviari e marittimi ritenuti maggiormente a rischio, nonché delle attività commerciali che insistono sul territorio provinciale, oggetto, in via preventiva, di specifiche analisi e selezione.
Supportati da unità cinofile del Corpo, a seguito di intense attività di appostamento e osservazione i finanzieri hanno concentrato le attenzioni in particolare su un edificio residenziale situato nel quartiere semicentrale di Cittadella, ritenuto dagli inquirenti ad alta densità criminale, anche nelle forme del sodalizio organizzato.
Una volta ricostruite le singole posizioni proprietarie e le disponibilità di fatto relative ai numerosi locali oggetto dell’investigazione, hanno proceduto alle successive ispezioni e perquisizioni, effettuate in tutte le autorimesse nonché nelle varie pertinenze delle abitazioni del complesso condominiale.
In una delle rimesse del palazzo, formalmente di proprietà di un soggetto risultato essere del tutto estraneo alla vicenda, ma nella materiale disponibilità dell’arrestato, occultate sotto materiali di vario genere ammucchiati al di sotto di un soppalco difficilmente accessibile, sono stati rinvenuti svariati imballaggi di confezionamento per sostanze stupefacenti, molti dei quali riportanti evidenti residui di cocaina, oltre a un panetto della medesima droga integro e ancora imballato.
Ma non solo, infatti, appoggiate sul pianale di legno al di sopra del soppalco erano depositati più di due chili e mezzo di esplosivo (gelatina-dinamite a base di nitroglicerina con relativa miccia e relativo detonatore), un panetto di cocaina del peso di oltre un chilogrammo – che riportava impresso un simbolo massonico -, due pistole mitragliatrici (una calibro 9 mm parabellum e l’altra 9X21), sei fucili da caccia, un fucile a canne mozze, quattro pistole semiautomatiche in calibro 7,65 mm, un pistola a tamburo in calibro .38 Special, due strozzatori per fucile da caccia e quasi seicento cartucce di vario calibro e tipologia.
La gelatina-dinamite, esplosivo a elevato potenziale e particolarmente sensibile, immediatamente dopo la campionatura è stato distrutto, in quanto col tempo, decomponendosi, era divenuto altamente instabile.
Un arsenale dall’elevato potenziale offensivo. La maggior parte delle armi rinvenute è risultata rubata e con numero di matricola abraso, una circostanza che ha indotto gli inquirenti a ritenere sia la sistematicità d’azione dei detentori dei materiali rinvenuti, sia l’elevato livello di pericolosità e minaccia dei loro possibili intenti criminali, poiché natura e quantità delle armi e dell’esplosivo rinvenuti farebbero appunto presumere che si fosse trattato di parte della capacità di potenza di fuoco di un sodalizio criminale organizzato locale.
Le indagini della magistratura sono in corso e allo stato attuale non vi sono certezze che le armi e l’esplosivo fossero di qualche ‘ndrina del reggino, tuttavia i materiali in questione – in particolare la gelatina-dinamite e le mitragliette in calibro 9 mm parabellum – farebbero pensare a un livello criminale superiore in grado di esprimere una non indifferente capacità militari.
Seppure la quantità del materiale d’armamento sequestrato non sia delle dimensioni classiche di un armeria di una cosca ‘ndranghetista di media-alta caratura, ciò però non vuole necessariamente dire che esso sia parte di una disponibilità “polverizzata” dall’organizzazione criminale in diversi covi-deposito sparsi sul territorio da essa controllato, una misura di sicurezza tesa a evitare un danno eccessivo in caso di sequestro da parte delle Forze dell’Ordine.
In particolare, a suffragio di questa ipotesi ci sarebbe la presenza tra le armi di mitragliette in calibro da guerra ed esplosivo, aspetto che non ne avrebbe escluso l’impiego in azioni criminali aventi dinamica e obiettivi complessi, più di una “normale” esecuzione di mafia.
Infine due parole sul misterioso simbolo massonico impresso sulla confezione di cocaina. I legami tra cosche della ‘ndrangheta e logge massoniche, in modo particolare quelle locali, non rappresentano certo una novità, poiché sono emersi in numerosi procedimenti giudiziari.
Si pensi al proliferare delle logge più o meno connesse ai locali di ‘ndrangheta testimoniato in vari processi e inchieste.
Infatti, nel complicato sottobosco affaristico-politico-criminale si sono spesso incrociate organizzazioni segrete di diversa natura, basti pensare all’indagine denominata «sistemi criminali» poi archiviata, oppure a quella avviata dal Procuratore di Palmi Agostino Cordova sul Grande Oriente d’Italia, per non parlare poi dell’appendice calabrese del processo «‘ndrangheta stragista», nato come appendice del noto «processo trattativa» di Palermo.
Logge massoniche locali infiltrate o direttamente create dalla criminalità organizzata per fare affari, come quella che agì al porto di Gioia Tauro, o direttamente coinvolte nelle pagine eversive più oscure della storia della Repubblica.
Nel caso della cocaina rinvenuta nel garage della Cittadella, una lettura plausibile dell’apposizione di quel particolare simbolo (compasso e squadra) sul pacchetto di droga potrebbe essere quella del “marchio di riconoscimento”, necessario alla distinzione di un panetto dall’altro, o a causa della diversa qualità dello stupefacente contenuto (più o meno puro), oppure in ragione della sua diversa destinazione sia per il prezzo della merce sul mercato clandestino, che per l’eventuale destinatario “di riguardo”.