Il fabbisogno energetico in Italia: questo sconosciuto. Quanto poco si parli di energia e fabbisogno energetico ma soprattutto di quanto l’energia sia importante per tutto il sistema economico nazionale, dalla produzione industriale all’uso casalingo e quotidiano, ormai è cosa acclarata.
Diventa preoccupante constatare che questo fondamentale argomento è però trattato in maniera “nebbiosa” anche dai governi che si succedono nel nostro Paese.
Spaventa in verità l’assenza di una politica a lungo termine che delinei in maniera chiara un’azione che, pur ricevendo aggiustamenti dall’avvicendarsi al Governo di ideologie con approcci diversi in tale materia, abbia una direzione chiara.
Sulla strada che porti ad un pianeta green probabilmente dovremmo procedere limitando la forte dipendenza da fonti energetiche di altri Paesi che in buona o cattiva fede condizionano l’economia italiana.
Condivisibile la scelta delle fonti rinnovabili come eolico e solare, fondamentale la messa a sistema delle economie circolari nel trattamento rifiuti ma assolutamente prematuro pensare di limitare l’uso delle fonti fossili. A questo riguardo è, ancora una volta, interessante quanto sviluppato da SRM nel recente rapporto annuale “EneMed – Med & Italian Energy Report” sul settore dell’energia in Italia e nel Mediterraneo.
In particolare si legge che «il nostro Paese mostra un’elevata dipendenza dalle importazioni (circa il 76.5% nel 2017), particolarmente accentuata per alcune commodity come il gas naturale e il petrolio (oltre il 90%). Nell’import di queste commodity, un ruolo rilevante è giocato proprio dai paesi che si affacciano sul Mediterraneo (in particolare, l’Algeria fornisce il 27% e la Libia il 6.7% di gas naturale)».
E da questa ultima postilla si intuisce la complessità del tema che ci vede dipendenti anche per il gas naturale da fonti estere pur avendo giacimenti in casa.
Con tali premesse abbiamo incontrato il presidente della Federpetroli Italia, Michele Marsiglia, e cercando di dipanare qualche dubbio gli abbiamo rivolto alcune domande.
Presidente, quale è lo scenario della produzione e dell’approvvigionamento energetico oggi in Italia?
«Proprio qualche giorno fa il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte durante la fiducia alla Camera dei Deputati ha inserito nel proprio discorso sulle linee programmatiche del Governo, la parola trivelle.
Il nostro Paese oggi verte su alcune problematiche che fanno della produzione petrolifera italiana una storia infinita. Per quel che riguarda la produzione di idrocarburi, oltre alle piattaforme (offshore) e ai diversi pozzi dislocati a terra (onshore), esistenti già da diversi anni, viviamo una situazione di altalenante incertezza politica su quello che l’Italia petrolifera è e quello che dovrebbe essere.
In Italia, nel sottosuolo, sia a terra che in mare ci sono considerevoli riserve di olio e di gas da sfruttare e che potrebbero favorire in poco tempo la riduzione della bolletta energetica delle famiglie italiane, nonché di un grande risparmio energetico per l’industria in generale.
Nonostante tutto, la situazione legislativa in merito a petrolio e gas in Italia è sempre ferma. Viviamo l’assenza di una strategia energetica nazionale ben definita e chiara e la competenza in materia di tecnici nelle sedi competenti è piuttosto elementare.
C’è anche un fattore non di poco conto, in questi ultimi 25-30 anni ci sono state aziende che hanno voluto sfruttare i propri permessi per la ricerca di olio e gas con ‘arroganza’, vuol dire senza il coinvolgimento delle pubbliche amministrazioni locali ed in primis, senza il coinvolgimento dei cittadini, questo ha creato un grande gap per le attività produttive di tutti.
Tutto questo, favorisce e porta automaticamente a un bisogno di approvvigionamento estero di olio e gas.
Un Paese non vive di sola produzione energetica interna, è sempre stato strategico avere una porta attraverso cui fluisce anche una fornitura estera; e questo, oltre a favorire partnership strategiche con stati produttori, soddisfa, non solo nel nostro Paese, il bisogno di prodotti con diverse caratteristiche tecniche, sempre perché con la produzione interna non si riesce a soddisfare il fabbisogno nazionale.
Ma per l’Italia è diverso, la nostra politica di approvvigionamento nella maggior parte dei casi è così vaga tanto che in Italia ancora non sappiamo ‘cosa fare da grandi’, considerando che anche la politica industriale in merito alla realizzazione di infrastrutture strategiche come gasdotti e rigassificatori, è sempre altalenante e poco decisa, basta guardare l’argomento Tap (Trans Adriatic Pipeline) in Puglia».
Globalmente l’energia è recepita come un asset strategico dai Governi che sviluppano programmi e strategie a lungo termine, secondo Lei quale futuro dobbiamo aspettarci in Italia?
«In genere è questo il valore aggiunto dell’energia, asset strategici per fabbisogno interno ed esterno di un Paese, ma in Italia gli ultimi Governi sono stati focalizzati su altro.
L’Italia è un Paese ignorante sulla parola petrolio, ed è normale che sia così. Il nostro settore è un ramo industriale che la collettività conosce poco. È normale, non siamo in Libia o nella Penisola arabica. Da anni con FederPetroli Italia svolgiamo un lavoro di mediazione per le aziende, di dialogo e di confronto, tutto questo con delle forti relazioni politiche ed industriali che sono oggi il nostro tesoro: con questo voglio dire che se si lavora nel rispetto delle parti, si riesce a lavorare anche bene, ma ignorando il territorio tutti gli investimenti diventano zero.
Oggi tante aziende italiane ed estere hanno deciso di abbandonare l’Oil & Gas nel nostro Paese. Io sono di altro avviso, saremo anche un Paese con tanta burocrazia, ma in Italia bisogna sapere quale ‘linguaggio’ usare, forse ad alcuni mancava qualche nota dialettica…..
Come ho ribadito qualche giorno fa a seguito del discorso del Presidente del Consiglio Conte, bisogna ben interpretare le linee politiche e gli attori preposti alle politiche energetiche nazionali. Siamo ottimisti che il Governo, almeno in questi primi giorni, sembra più tranquillo di qualche mese fa, almeno all’apparenza, confidiamo nella possibilità di dialogo e di ascolto anche perché è nostro compito e dovere spiegare cosa facciamo».
L’Eni è un grande player dell’estrazione nel Mediterraneo e nei Paesi della sponda africana, storicamente legata ai giacimenti libici ed oggi anche egiziani, un’area politicamente per niente stabile: quale è la sua opinione sulla situazione attuale? Su che cosa, secondo lei, dovrebbe lavorare il Governo italiano?
«Tutti mi prendete in giro quando dico “guai a chi mi tocca la mia Eni!”, ma non riesco a fare a meno di dirlo, è più forte di me.
La mia esperienza e carriera petrolifera nasce con Eni, o meglio, con Agip Petroli. Oggi Eni è una delle compagnie petrolifere top a livello internazionale, siamo primi nella scoperta di giacimenti in tutto il mondo, e quando parlo di mondo arrivo anche a parlare del mio amato Medio Oriente.
Da anni sono advisor e gestisco operazioni strategiche di aziende che lavorano anche negli appalti di contratto sui pozzi petroliferi libici di Eni, in partnership con l’azienda energetica di stato libica Noc (National Oil Corporation).
Conosco bene la situazione di quei territori, gli impianti, le strutture collegate ed in particolar modo il clima che si vive in Libia, come anche nel resto del Middle East. Però tutti devono sapere che la Libia ha ancora risorse immense di petrolio e gas da sfruttare con grandi potenziali di guadagno, visto che i costi di produzione sono diversi, considerando la facilità di estrazione della risorsa mineraria, specialmente in zone desertiche.
Libia oggi vuol dire ancora destabilizzazione, vuol dire forze interne rivali che ostacolano un processo politico di elezioni per paura che ritorni qualche membro della famiglia Gheddafi al potere.
Negli ultimi anni il mio dialogo è giornaliero con Tripoli e con le forze diplomatiche che ci assistono, un dialogo continuo anche con i Ministeri competenti italiani ed Europei, ma c’è ancora tanta confusione e le aziende internazionali sono disorientate nell’apertura a nuove gare ed appalti.
Eni oggi è presente in Libia con grandi progetti da realizzare e tanti già in produzione (vuol dire che erogano grezzo e gas) da diversi decenni, però risente come tutti di alcune attività belliche che costringono a richiamare il personale e per ragioni di sicurezza alla non operatività dell’area e degli impianti.
Diverso il discorso dell’Egitto, paese dove con la scoperta di un grande giacimento petrolifero Offshore chiamato Zohr, l’Italia si sta facendo valere ed ovviamente anche le aziende italiane dell’Oil & Gas da noi rappresentate.
Il Medio Oriente è sempre stata una regione delicata e particolare ma anche ricca di risorse energetiche e che ancora riveste per l’indotto internazionale un grosso business e, considerando i dati nelle nostre mani, lo sarà ancora per anni ed anni.
La cosa importante è saper mettere i piedi, mi perdoni la metafora, nel posto giusto. Siamo ospiti in un’altra terra e dobbiamo anche rispettare gli usi, i costumi e le mentalità, il più delle volte diverse da quelle super occidentalizzate. La politica italiana deve, in tutto questo, fornirci interlocutori validi e competenti in Politica Estera, se si continua solo a parlare di questioni interne per prendere qualche voto, dovremmo far forza sulle nostre spalle ancora per un po’!»
Le quote di mercato soddisfatte dalle energie alternative sono ancora minime anche se in crescita e la dipendenza dal petrolio è ancora altissima. Cosa succede sulle rotte del greggio? Quale è la situazione iraniana e la posizione dei Paesi Arabi?
«Sicuramente viviamo in un contesto dove ormai la parola “sostenibilità” deve essere in cima alle operazioni energetiche e non solo.
Quando si dice che ‘i petrolieri sono contrari’ non è vero anzi, da anni, lì dove è possibile e dove il rapporto costi/benefici esiste, impieghiamo l’energia alternativa, in diversi tipi di strutture.
È vero anche che il fabbisogno soddisfatto dall’idrocarburo non è minimamente paragonabile alla produzione energetica derivante da energie alternative e, con l’aumento dei consumi di oggi, le due curve del grafico andranno sempre più in direzioni opposte.
Anche il Medio Oriente in questo settore e specialmente la Penisola arabica sta investendo enormemente, lo dimostra quella che in Arabia Saudita è la nuova politica della famiglia bin Salman.
Ma nonostante i nuovi investimenti, il focus centrale è il greggio, specialmente quello iraniano, pulito, prezioso e di facile lavorazione per tante raffinerie nel mondo.
Un’Iran ago della bilancia nell’Opec, un Iran tanto odiato e penalizzato ma che fa gola a tutti. Parliamo ovviamente di una Repubblica islamica dove nel sottosuolo vi è uno dei greggi più preziosi del pianeta, dove esiste un rapporto di forze non distante, ma di vicinanza con i Paesi arabi ortodossi che negli ultimi anni stanno sfidando a suon di quote di mercato e di produzione petrolifera giornaliera la grande Repubblica islamica degli ayatollah.
Se veramente l’Opec continuerà a perdere la leadership di organizzazione e baricentro dei paesi produttori di greggio, assisteremo ad un grande stravolgimento delle rotte petrolifere internazionali con diversificazioni geopolitiche di approvvigionamento che faranno del Medio Oriente un hub economico internazionale petrolifero a cui neanche i mercati finanziari saranno preparati».