HAITI, dossier. Un paese nel caos, alla fame e bloccato dalle proteste

La violenza dilaga, frequenti gli scontri con la polizia e numerosi i morti. I manifestanti chiedono le dimissioni del presidente Moïse. È una situazione nella quale diviene impossibile persino distribuire gli aiuti alimentari essenziali in un paese ridotto allo stremo

Le piazze del Paese caraibico sono in fermento ormai da un anno, attraverso le proteste spesso degenerate in violenza la gente chiede le dimissioni del presidente Jovenel Moïse, accusato di corruzione.

Nelle ultime settimane l’intensificarsi delle sommosse ha reso ancora più difficile l’opera delle organizzazioni umanitarie, che assistono sul piano alimentare oltre due milioni e mezzo di persone.

Blocchi stradali e scontri tra manifestanti e polizia hanno reso critica la praticabilità delle di comunicazione con la confinante Repubblica Dominicana, l’altro Paese che assieme ad Haiti costituisce l’isola di Hispaniola –, quelle attraverso le quali transitano i carici di generi alimentari destinati alla popolazione, mentre molte strade che conducono alla capitale Port-au-Prince sono addirittura interrotte del tutto.

Già prima degli ultimi disordini 571.000 haitiani vivevano a un livello di insufficienza alimentare e si registravano diffusi casi di malnutrizione acuta.

La carenza di carburante ha scatenato i disordini, degenerati poi nell’interruzione delle forniture d’acqua. La popolazione non ha più carburante per i propri generatori elettrici, per le stufe e gli autoveicoli.

Il Programma alimentare mondiale è parzialmente sospeso, mentre negli ospedali si trovano a dover affrontare criticità estreme, con loro anche gli orfanotrofi, le unità di protezione civile e gli altri servizi di emergenza. Alcune strutture sanitarie sono state chiuse a causa della totale insicurezza o per la carenza di carburante e di medicine.

Haiti, uno dei paesi più poveri e disgraziati dell’emisfero occidentale, ha dovuto lottare per risollevarsi dal devastante terremoto del 2010 che uccise più di 100.000 persone provocando due milioni di sfollati. Un disastro aggravato dalla seguente epidemia di colera che provocò altre 10.000 vittime.

Da allora, le inondazioni hanno e le tempeste hanno continuato ad affliggere il Paese caraibico. Nel 2016 l’uragano Matthew distrusse il 90% degli edifici lungo la costa meridionale provocando due miliardi di dollari di danni.

Attualmente la disoccupazione ha raggiunto un tasso superiore al 70%, con un tasso di inflazione del 19% e più della metà degli undici milioni di abitanti che vivono con meno di tre dollari al giorno.

La gente chiede le dimissioni di Moïse da più di un anno, proteste che sono aumentate da quando in maggio è stata pubblicata una relazione dalla quale emergeva che più di due miliardi di dollari erano stati distratti a seguito di un accordo stipulato con Petrocaribe, un’intesa in campo petrolifero che ha mise alcuni paesi caraibici nelle condizioni di acquistare petrolio dal Venezuela con pagamenti differiti.

Il denaro risparmiato era destinato avrebbe dovuto essere impiegato nella realizzazione di infrastrutture e nella copertura finanziaria di programmi di intervento sociale urgenti. Tuttavia, gli interventi in questo senso sono stati molti pochi, e dalle inchieste sono poi venute alla luce le implicazioni del presidente Moïse in un presunta appropriazione indebita.

Ma egli si è finora rifiutato di dimettersi. Il governo di Port-au-Prince afferma di essere impegnato nel tentativo di soluzione della crisi, ma è rimasto sostanzialmente paralizzato per quasi sei mesi. Dal 2018 Haiti non ha né un bilancio e né un governo legittimo.

Il Paese è allo stremo: mancano il cibo e l’acqua, gli ospedali non funzionano e le scuole sono chiuse, questo mentre il locale sistema produttivo, arretrato e in estreme difficoltà, a causa dei prolungati disordini non è in condizioni di operare.

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