Proseguono le operazioni militari delle forze armate turche nel Kurdistan siriano, che, sostenute dalle milizie locali loro alleate aggregate nel National syrian army (già Free syrian army), stanno guadagnando terreno sottraendolo ai curdi dello Ypg e dello Ypi.
Nelle ultime ore sono stati effettuati una serie di raid aerei contro la città di confine di Ras Al Ayn, mentre da terra si combatte a ridosso di Tal Abyad, zona del fronte dove i curdi sono riusciti a respingere una prima incursione nemica.
Se da Ankara il presidente Recep Tayyip Erdoğan continua a ripetere a uso propagandistico le sue dichiarazioni belliciste nelle quali si indica la prossima conquista del territorio siriano a est del fiume Eufrate, i suoi obiettivi potrebbero risultare limitati.
In fondo, già la creazione di una buffer zone lungo l’intera linea di confine siro-turca rappresenterebbe un grosso risultato da dare in pasto all’opinione pubblica interna, in quanto rappresenterebbe quell’agognata fascia di sicurezza in profondità all’interno del cosiddetto cantone curdo di Hasakah-Kobane-Qamishli.
Una tattica attendista dunque, ma diversamente non potrebbe essere, poiché le incognite aperte da questa ennesima escalation scatenata nel teatro di crisi siriano non sono certamente poche.
E non dipendono soltanto dalle possibili reazioni della comunità internazionale o dai mutevoli atteggiamenti dell’amministrazione Usa, per non parlare poi di Russia e Iran.
Infatti, nelle menti degli strateghi militari attualmente al fianco del presidente turco si sono ingenerati dei seri dubbi riguardo alla portata e all’onerosità di un’operazione del genere.
Quanto tempo e quante forze occorreranno per assumere militarmente il controllo di un’area estesa dal confine iracheno alla sponda orientale dell’Eufrate presso Manbij? E a costo di quali perdite?
I militari, professionisti della guerra, a differenza dei politici i conti li sanno fare bene e, soprattutto, tengono in estrema considerazione le esperienze operative maturate nel passato e le analisi effettuate su di esse.
E i turchi ormai combattono in Siria da anni, dunque sono perfettamente consapevoli del fatto che per, dapprima occupare, e successivamente mantenere in sicurezza porzioni molto più piccole di quel vespaio che oggi Erdoğan vorrebbe sottomettere con la forza – che nei suoi piani dichiarati sarebbe praticamente pari a un terzo del totale del territorio della Siria – ci vorrebbero molti più uomini e molto più tempo di quello resosi necessario per le precedenti operazioni.
In quella parte della Siria restano gli americani, 1.500 uomini in una decina di basi, e oltre a loro anche distaccamenti di forze speciali britanniche e francesi.
Per il momento l’inesorabile macchina da guerra turca avanza schiacciando le formazioni curde, che, abbandonate da un tychoon che twitta dalla Casa Bianca, vengono ora inquietate da quelle che potranno essere le decisioni prese a Damasco su input di Mosca e Teheran.
Intanto, mentre nel Rojava si combatte, in Europa qualcuno cerca di prendere dei pur minimi provvedimenti. Come la decisione di bloccare ogni fornitura di materiali d’armamento alla Turchia, presa da alcuni Paesi scandinavi, dalla Germania, dalle Fiandre e da altri.
Le imprese italiane del settore nel 2018 sono state autorizzate dal Ministero degli Esteri a vendere al governo di Ankara sistemi d’arma e munizionamenti per complessivi 360 milioni di euro.
Dalbr Jomma Issa, giovane comandante delle Unità di protezione del popolo curdo (Ypg) e comandante in capo delle Forze democratiche siriane nella battaglia di Raqqa, ha recentemente avuto l’opportunità di lanciare un appello nel corso di una conferenza stampa tenuta presso il Parlamento italiano.
«L’Italia – ha affermato – si faccia portavoce presso la Nato, l’Unione Europa e le Nazioni Unite per trovare una soluzione democratica, pacifica e giuridica alla questione curda nell’ambito di una conferenza di pace internazionale».
Ma la Nato in questa vicenda ha dimostrato soltanto il suo immobilismo, indice – o forse sarebbe meglio parlare di una «certificazione» – della sua profonda crisi; l’Unione europea solitamente non parla con una voce propria e, comunque, trema al pensiero di una ritorsione da parte di quella Turchia che in tutti questi anni ha illuso mantenendola fuori dal club cristiano di Bruxelles; l’Onu chissà.
Erdoğan è vecchio e malato, quindi ancor più pericoloso. Sarà difficile che il suo progetto neo-ottomano, coltivato per tanti anni, possa andargli in porto. Per il momento gli basterà tappare i buchi sul fronte interno: distrarre l’opinione pubblica turca con una grande e risolutiva (?) guerra patriottica, limitare le sconfitte alle elezioni e spostare masse di fastidiosi profughi siriani dai maggiori centri urbani turchi alle aree strappate agli odiati curdi, fratelli di quel Pkk ancora attivo anche nell’Anatolia sudorientale.
Degli sviluppi della situazione in Siria e Turchia insidertrend.it ha parlato con due esperti della materia, Francesco Vignarca, esponente della Rete italiana per il disarmo, ed Ennio Remondino, giornalista per anni corrispondente dai Balcani della Radiotelevisione italiana e residente a Istanbul, attualmente analista del sito di informazione remocontro.it; i due contributi audio sono fruibili di seguito ↓
A192 – SIRIA, ATTACCO TURCO AI CURDI: LE ARMI DI ANKARA. Un paese della Nato invade militarmente un altro pese devastato da anni di guerra civile e lo fa usando forse anche armi vendutegli da imprese italiane. Il punto della situazione – seppur provvisorio – sul conflitto in atto nella Siria nordorientale.
Con FRANCESCO VIGNARCA, esponente della Rete italiana per il disarmo, insidertrend.it ha affrontato il tema del conflitto in atto nella Siria alla luce degli ultimi sviluppi provocati dall’invasione militare turca.
Per combattere la guerra senza quartiere contro i curdi dello Ypg e del Ypi – sostanziale emanazione del Pkk di Abdullah Öcalan -, evento bellico parallelo a quello in atto nel confinante Iraq i generali di Erdoğan (cioè gli ufficiali scampati alle ultime purghe seguite in Turchia all’ultimo tentato golpe) stanno utilizzando anche armi e munizionamenti prodotti in Italia?
I pacifisti e gli antimilitaristi chiedono maggiore chiarezza su un business che soltanto negli ultimi quattro anni per le imprese del settore ha generato un fatturato complessivo di 890 milioni di euro.
A193 – SIRIA, ATTACCO TURCO AI CURDI: LE STRATEGIE DI ANKARA. Erdoğan, alle strette sul piano interno, dirotta le attenzioni e le istanze del popolo turco su un grande guerra patriottica. Obiettivi e limiti della politica neo-ottomana del «sultano» di Ankara.
Con ENNIO REMONDINO, giornalista per anni corrispondente dai Balcani della Radiotelevisione italiana e residente a Istanbul, attualmente analista del sito di informazione remocontro.it, insidertrend.it ha affrontato il tema del conflitto siriano sui piani politico, economico, strategico e della comunicazione.
La parabola umana e politica di Recep Tayyip Erdoğan, dalla sua ascesa come musulmano conservatore “moderato”, all’apice del potere e, quindi, alla fase calante. Incassata una serie di sconfitte elettorali, il leader dell’Akp – presidente della repubblica e artefice del progetto neo-ottomano 2.0 – ha condotto la Turchia a un conflitto del quale non si prevedono gli esiti.
Infatti, il dispositivo militare di Ankara è senza dubbio poderoso, tuttavia le incognite che aleggiano sulla questione siriana potrebbero mutare il quadro della situazione.
Di certo c’è la certificazione della debolezza della Nato, capace di sbalordire e provocare con il suo schieramento a ridosso della frontiera russa e di intervenire in tutto il globo terracqueo con i suoi sofisticati strumenti bellici hi-tech, ma non in grado di fermare un proprio membro, seppure potente, dall’invadere con la propria macchina da guerra un altro paese.
Quanto e come sopravviverà politicamente il “sultano” attualmente assiso ad Ankara? È pensabile una sua sostituzione con elementi moderati anche provenienti dal suo stesso partito? Reggerà la sua Turchia a un’ennesima accentuazione della crisi economica?