Dietro alla caduta in disgrazia di Bettino Craxi, deceduto ad Hammamet dopo essere stato condannato da un tribunale della Repubblica italiana per corruzione e finanziamento illecito dei partiti politici, ci fu anche la vendetta americana per la vicenda di Sigonella?
Maurizio Raggio, personaggio che gli fu molto vicino negli anni del successo, ebbe in seguito a dire che il leader socialista, che fu Presidente del Consiglio dei ministri dal 1983 al 1987, «costituiva un personaggio scomodo che era meglio che sparisse dalla scena».
Tuttavia, lo stesso Craxi non credette mai che le sue disavventure politiche e giudiziarie potessero originargli dall’azione diretta di Washington.
I documenti pubblicati dopo la sua scomparsa avvalorerebbero questa sua convinzione, rimarcando che parte degli americani avrebbero poi ammesso l’errore di non concordare con i loro alleati un’azione comune per procedere, invece, unilateralmente cercando di forzare la mano al Governo italiano.
Secondo altri osservatori, contro Craxi agirono forze non estranee agli Usa, ambienti finanziari internazionali e lobby di varia natura che non gradivano il primato della politica in Italia.
Il sequestro della nave. L’obiettivo originario dei terroristi del Fronte popolare della Palestina (Flp) imbarcatisi a Genova sull’Achille Lauro non era il suo sequestro e il dirottamento, poiché nei piani che i loro capi avevano elaborato era previsto che compissero un attentato nel porto israeliano di Ashdod, dove la nave da crociera avrebbe dovuto fare scalo.
Lo stesso Mohammed Abu Abbas, leader del gruppo palestinese, era stato precedentemente monitorato dai servizi segreti militari italiani nel corso di un suo soggiorno in Liguria.
Questi era cresciuto in Siria, dove aveva fondato il Flp mantenendone poi la leadership.
I quattro terroristi palestinesi, tutti appartenenti a una fazione radicale filo-siriana del gruppo, erano riusciti a imbarcarsi servendosi di passaporti falsi, all’epoca dei fatti uno di loro era minorenne.
Tuttavia un imprevisto mutò improvvisamente lo scenario: la notte del 7 ottobre 1985 un membro dell’equipaggio notò le loro armi. Vistisi scoperti, i palestinesi decisero di sequestrare la nave prendendo in ostaggio le persone che si trovavano a bordo.
A questo punto l’Achille Lauro, che era in navigazione al largo delle coste egiziane, venne dirottata. Il riscatto chiesto per la liberazione degli ostaggi fu il rilascio di cinquanta palestinesi detenuti nelle carceri israeliane.
Il calvario dell’Achille Lauro si protrarrà per tre giorni: dall’Egitto alla Siria (dove non venne concesso l’attracco), quindi di nuovo in Egitto, quando finalmente il nucleo del Flp si consegnò alle forze di sicurezza di Mubarak.
Questo grazie alla complessa trattativa che nel frattempo era stata avviata, che però non teneva ancora conto – anche se americani e israeliani con ogni probabilità ne erano già al corrente – del brutale omicidio di Leon Klinghoffer.
Un omicidio del quale il Presidente del Consiglio italiano venne messo al corrente soltanto pochi minuti prima della conferenza stampa nel corso della quale avrebbe annunciato la liberazione dell’Achille Lauro.
Qui iniziò la seconda fase della vicenda, caratterizzata dal duro confronto tra Roma e Washington. Un gravissimo incidente diplomatico che rischiò di degenerare in uno scontro armato.
Il degenerare della situazione. Subito dopo il sequestro da parte dei terroristi palestinesi, l’allarme lanciato dal marconista di bordo dell’Achille Lauro venne ricevuto in Italia, attivando immediatamente i responsabili politici e della sicurezza.
L’esecutivo presieduto da Bettino Craxi in carica nell’ottobre 1985, vedeva alla Farnesina un altro grande amico del mondo arabo, il democristiano Giulio Andreotti, uomo politico di lungo corso in relazioni privilegiate con la Libia di Gheddafi.
Alla Difesa, invece, c’era il repubblicano Giovanni Spadolini, convintamente atlantista e su posizioni rigidamente filo-israeliane.
Andreotti chiamò il Cairo per ottenere la piena collaborazione delle autorità egiziane, quindi si mise in contatto con il leader dell’Olp Yasser Arafat.
Quest’ultimo, attraverso un comunicato stampa espresse la totale estraneità dal dirottamento della propria organizzazione: «Noi non c’entriamo niente – dichiarò -, ma vogliamo aiutare l’Italia in questa difficile crisi».
Andreotti in seguito avrebbe affermato che furono gli stessi americani a suggerire al Governo italiano di rivolgersi al capo palestinese, aspetto per nulla contradditorio se si pensa che da sempre Washington (e Langley) avevano mantenuto canali di contatto e collaborazione con alcune fazioni della guerriglia palestinese.
Craxi e Andreotti presero accordi sia con il presidente egiziano Hosni Mubarak che con il leader dell’Olp.
Quest’ultimo, al corrente dei retroscena della vicenda, incaricò della delicata mediazione lo stesso capo del Flp Abu Abbas – in realtà organizzatore della fallita azione terroristica – e un altro alto dirigente dell’Olp, Hani el-Hassan.
All’epoca dei fatti, Arafat e i suoi avevano trovato rifugio nella Tunisia di Habib Bourghiba, costretti ad abbandonare il Libano dapprima schiacciati dall’avanzata dell’esercito israeliano su Beirut, poi a Tripoli, sotto i colpi fratricidi dei palestinesi alleati della Siria di Hafez al-Assad.
La Tunisia era (e rimane) un paese amico dell’Italia, un legame cementatosi in particolare durante il governo Craxi.
In un periodo durante il quale, mediante la propria azione politica nello scenario mediterraneo e mediorientale, l’Italia si era andata ritagliando uno spazio di manovra relativamente ampio, confacente a una potenza regionale.
I terroristi minacciarono di fare esplodere la nave qualora non fossero stati fatti sbarcare in Siria, richiesta alla quale si opposero fermamente gli americani, un diniego che li mise alle strette Essi avrebbero ucciso un ostaggio ogni tre minuti se non fossero state accettate le loro richieste.
Per dimostrare la loro determinazione eliminarono una prima persona, selezionata sulla base della sua cittadinanza: Leon Klinghoffer, cittadino statunitense di religione ebraica costretto a deambulare per mezzo di una sedia a rotelle a causa della sua malattia.
I terroristi lo condussero sul ponte della nave e lo uccisero con due colpi di pistola, poi gettarono il suo cadavere in mare.
Un brutale assassinio che il comandante dell’Achille Lauro Gerardo De Rosa, interpellato via radio, dovette però negare in quanto costretto dalla minaccia delle armi. Una falsa dichiarazione alla quale in seguito i protagonisti politici della vicenda poterono appellarsi al fine di giustificare il loro operato.
L’intervento egiziano. Abu Abbas, che dell’assassinio di Klinghoffer era invece perfettamente al corrente, convinse i membri del commando a fare rotta verso l’Egitto, paese dal quale, a condizione che avessero deposto le armi, attraverso un salvacondotto e sotto la sorveglianza degli agenti dei servizi segreti di Mubarak, sarebbero stati fatti uscire dal Paese.
Washington si oppose nuovamente. Al contrario del Governo italiano, che invece perseguì questa soluzione, ponendo la condizione – a Roma si era ancora all’oscuro dell’omicidio di Klinghoffer – che a bordo non si fossero verificati atti di violenza.
Tuttavia, sapendo dell’assassinio di un cittadino statunitense, gli americani organizzarono immediatamente un blitz delle forze speciali con l’obiettivo di catturare i terroristi sull’Achille Lauro.
Craxi però, comunicò alla Casa Bianca che sulla base del diritto internazionale quella nave andava considerata a tutti gli effetti territorio nazionale italiano e quindi, al massimo, i reparti speciali americani ed eventualmente quelli di altri paesi alleati, si sarebbero potuti soltanto aggregare in sostegno all’azione italiana.
Il salvacondotto venne concesso e i terroristi, convinti da Abu Abbas ed el-Hassan, si arresero.
Prelevati da un rimorchiatore furono condotti a terra e successivamente imbarcati su un Boeing 737 dell’Egypt Air che li avrebbe dovuti sbarcare a Tunisi insieme ad Abu Abbas, el-Hassan, al diplomatico egiziano Zeid Imad Hamed e alla “scorta” fornita dai mukhabarat del Cairo.
L’Achille Lauro attraccò a Port Said, però né i passeggeri né l’equipaggio furono autorizzati a scendere a terra.
Il velivolo egiziano decollò in serata, ma su pressioni americane gli venne negata la possibilità di atterrare in Tunisia, Libano e Grecia. Quando fu in volo nello spazio aereo maltese venne intercettato da quattro F-14 Tomcat decollati dalla portaerei Saratoga.
L’ordine di Reagan era di farlo atterrare in una base statunitense. Il Boeing, che ormai aveva quasi esaurito il carburante, autorizzato dal Governo italiano prese terra scortato dai caccia Usa sulla pista dell’aeroporto militare di Sigonella, in Sicilia.
Le disposizioni di Craxi furono di proteggere il velivolo e mantenere sotto custodia italiana i passeggeri.
Il comandante della base, colonnello Ercolano Annichiarico, ebbe l’accortezza di spostare nel settore italiano dell’aeroporto – un altro settore di esso ospitava infatti una Naval Air Station dell’US Navy – sottraendolo così alla competenza americana.
Nel frattempo, privi di autorizzazione, a luci spente e silenzio radio, agli F-14 della Saratoga si unirono due C-141 Starlifter, aerei da trasporto strategico con a bordo cinquanta elementi della Delta Force, comandata in prima persona dal generale Carl W. Stiner.
Sigonella. Una volta sbarcati gli uomini della Delta circondarono immediatamente l’anello di sicurezza approntato dal personale della Vam (Vigilanza aeronautica militare), cioè da militari in servizio di leva affiancati da una ventina di carabinieri.
Da uno degli Starlifter scese anche Stiner, che accompagnato da un operatore radio si rivolse al comandante italiano affermando di trovarsi in diretto contatto telefonico con lo studio ovale della Casa Bianca e intimandogli per ordine del presidente Reagan la consegna dell’aereo dell’Egypt Air.
L’ammiraglio Fulvio Martini (criptonimo: Ulisse), capo del Sismi (il servizio segreto militare), giunto nel frattempo a Sigonella, in continuo contatto con Roma, prese in mano la situazione stoppando con decisione la special force americana, che premeva per irrompere nell’aereo e catturare i palestinesi.
Martini fece disporre delle autocisterne e una ruspa sulla pista allo scopo di bloccare i C-141. La tensione crebbe. I militari italiani e quelli statunitensi giunsero a puntarsi contro le armi, rischiando lo scontro a fuoco.
Da Washington Reagan chiamò Craxi pretendendo la consegna dei terroristi, ma ottenne nuovamente un rifiuto.
Era evidente che l’intelligence Usa stava intercettando tutti i telefoni dei vertici dello Stato italiano, in primo luogo quelli di Palazzo Chigi, quindi, per comunicare in sicurezza col capo dei servizi segreti militari a Sigonella, il Presidente del Consiglio dovette ricorrere a un escamotage: fece scendere nella sottostante Piazza Colonna il suo capo della segreteria, Gennaro Acquaviva, che si servì ripetutamente del telefono a gettoni all’interno del Caffè Berardo.
In una situazione sempre più caotica irruppe sulla scena anche un altro ambiguo personaggio, quel Michael Ledeen noto per essere un consulente del presidente degli Usa e un collaboratore sia del Sismi che della Cia, persona in rapporti anche col maestro venerabile della P2 Licio Gelli.
Ledeen non era nuovo alle manovre di palazzo in Italia, poiché fu al fianco del ministro dell’Interno Francesco Cossiga nel corso dei cinquantacinque giorni del sequestro di Aldo Moro.
Scavalcando l’ambasciatore statunitense a Roma Maxwell Milton Raab, si mise in contatto diretto col Presidente del Consiglio italiano.
Gli americani pretendevano la testa di Abu Abbas, ritenendolo non a torto la mente dell’azione terroristica dell’Achille Lauro.
A sua volta, temendo la reazione di Washington, quest’ultimo voleva a tutti costi ripartire alla volta di un paese amico, sostenuto in questo dal Governo del Cairo, che non avrebbe fatto salpare la nave italiana all’’ancora a Port Said finché la situazione non si fosse risolta col rilascio dei due esponenti di spicco palestinesi.
Si innescò quindi un’ulteriore convulsa trattativa che vide protagoniste le autorità egiziane, l’ambasciatore Badini, l’ammiraglio Martini e l’incaricato d’affari dell’Olp presso lo Stato italiano al-Aflak al-Hussein.
In quei frangenti le scelte furono il più delle volte frutto di processi decisionali estremamente rapidi, sviluppati sulla base di un quadro informativo del tutto sommario causa il continuo susseguirsi delle fasi critiche. Un ritmo estenuante che lasciò al livello politico margini temporali molto ridotti.
Craxi decise di spostare il velivolo con a bordo palestinesi ed egiziani all’aeroporto romano di Ciampino.
Durante questo ennesimo trasferimento si rischiò nuovamente lo scontro armato, stavolta tra i caccia F-104S italiani di scorta il velivolo dell’Egypt Air e gli F-14 Tomcat della US Navy, che, assolutamente privi di autorizzazione, nello spazio aereo nazionale italiano tentarono nuovamente di dirottare il Boeing senza tuttavia riuscirvi.
Testimonianze dirette riportano che l’ammiraglio Martini, in contatto radio con il generale Stiner, avrebbe intimato a quest’ultimo di recedere dall’intenzione altrimenti lo avrebbe fatto abbattere dalla caccia italiana. Gli F-14 a questo punto si allontanarono.
La fuga dei terroristi. Una volta che il Boeing 737 atterrò sulla pista di Ciampino la questione divenne interamente italiana, con l’ulteriore “complicazione” rappresentata dalla ovvia pretesa della magistratura di sottoporre a interrogatori sia Abu Abbas che i quattro terroristi palestinesi.
Le rocambolesche vicende che contrassegnarono le ultime ore di permanenza del capo del Flp in Italia – fatte di travestimenti e depistaggi propri di uno spy movie – consentirono l’occultamento dell’ingombrante personaggio.
Abu Abbas, braccato per tutta Roma da magistrati e servizi segreti esteri, trascorse la notte dove nessuno avrebbe mai pensato di cercarlo: in quell’aereo dell’Egypt Air da dove in realtà non era mai sceso.
Quello stesso aereo che il giorno seguente decollò per un breve volo fino a Fiumicino, dove si affiancò a un altro velivolo passeggeri, stavolta della Jat, le linee aeree jugoslave.
Il trasbordo dei due esponenti palestinesi venne effettuato in segretezza e, una volta imbarcati, l’aereo decollò rapidamente alla volta di Belgrado.
Craxi lasciò allontanare i mediatori e trattenne i terroristi, forte del fatto che in quel momento la magistratura italiana non era in possesso di elementi tali da consentire l’arresto di Abu Abbas ed el-Hassan.
Washington aveva nel frattempo inoltrato al Governo italiano una formale richiesta di arresto e di estradizione dei terroristi, tuttavia, l’allora ministro di Grazia e Giustizia, il democristiano Mino Martinazzoli, valutò insufficienti gli elementi posti alla base di essa.
I fatti dell’Achille Lauro e di Sigonella lasciarono un lungo strascico, nel Paese divampò una dura polemica sulla gestione politica della vicenda. I ministri del Partito repubblicano italiano si dimisero dai loro incarichi, mentre Craxi annullò in segno di protesta la sua prevista visita ufficiale negli Stati Uniti d’America.
Sarà lo stesso Ronald Reagan alcuni giorni dopo a scrivergli chiedendogli di non rinunciare al viaggio.
Le sentenze giudiziarie. Il 1 luglio 1986 il Tribunale di Genova condannò all’ergastolo Abu Abbas e due dei quattro componenti il commando terroristico palestinese che aveva sequestrato l’Achille Lauro.
L’esecutore materiale dell’omicidio di Leon Klinghoffer venne condannato alla pena di trenta anni di reclusione, mentre il terrorista che all’epoca dei fatti era minorenne si vide comminare diciassette anni di pena. Le condanne vennero confermate in appello meno di un anno dopo.
Sedici anni dopo, il 15 aprile del 2003, Abu Abbas fu arrestato a Baghdad dai militari statunitensi che avevano invaso l’Iraq. In quel paese aveva vissuto sotto la protezione di Saddam. Egli morì meno di un anno dopo in un carcere americano alla periferia della capitale irachena, ufficialmente per un attacco cardiaco.
L’autonomia e il primato della politica. Si afferma che a Sigonella Craxi non disse «no» a Reagan, ma gli dimostrò che si poteva essere alleati degli Usa «senza per questo divenire loro servi».
Una linea di pensiero che qualcuno ha posto nel solco di quell’asse europeo cosiddetto «terzoforzista», cioè di quell’ipotesi esplorata alcuni anni prima da paesi di rango immediatamente inferiore a quello delle due superpotenze.
Un asse europeo guidato dalla Francia di Mitterrand che avrebbe intaccato, erodendoli, gli equilibri di Yalta.
Una potenziale aggregazione di orientamento tendenzialmente socialista in grado di confrontarsi su diversi piani sia col capitalismo che col comunismo sovietico che, in diversa misura, avrebbe visto la cooperazione della Svezia di Olof Palme, di altri Paesi scandinavi, della Repubblica federale tedesca e dell’Austria (allora entrambe guidate da governi socialdemocratici), forse da un Israele laburista e da Paesi non allineati come la Jugoslavia di Tito.
Oggi si conosce l’epilogo della storia: la battaglia per il mantenimento del primato ha visto i poteri finanziari sconfiggere la politica. Col risultato che oggi in tutto il mondo si assiste a una devastazione dei sistemi democratici, all’allargamento del bacino della povertà e alla contestuale concentrazione della ricchezza globale nelle mani di una ridotta parte dell’umanità.
A186 – TERRORISMO, SEQUESTRO DELL’ACHILLE LAURO: 34 anni fa il dirottamento della nave da crociera, l’assassinio di Klinghoffer e lo scontro tra Italia e Usa a Sigonella. A insidertrend.it STEFANIA CRAXI parla di quando suo padre, allora Presidente del Consiglio dei ministri, si oppose all’amministrazione americana guidata da Ronald Reagan. Le dinamiche e i protagonisti; l’oscuro cotè che agì per condizionare gli eventi, a cominciare da Michael Ledeen, l’amerikano consigliere dei servizi segreti statunitensi in rapporti col gran maestro della P2 Licio Gelli e noto per avere affiancato il ministro dell’Interno Francesco Cossiga nel corso dei cinquantacinque giorni del sequestro di Aldo Moro.
Nell’intervista vengono inoltre affrontati i controversi aspetti della fine della Prima Repubblica, inclusa la vicenda personale occorsa al segretario del Partito socialista italiano Craxi.
In quella manciata di anni un Paese sovrano in precedenza avviato verso una relativa autonomia in politica estera, con un proprio progetto di pace nel Mediterraneo e nei Balcani, vide buona parte della propria classe politica scomparire dalla scena falcidiata dalle inchieste giudiziarie.
Quindi la svendita delle imprese di stato, nel solco dei miti delle liberalizzazioni e della concorrenza, anche aziende solide, tuttavia, cedute ai privati spesso a “prezzi di saldo”. Crollato il Muro di Berlino, un Italia in transizione attraversava la fase del turbocapitalismo finanziario, nel quadro di una globalizzazione fino a quel momento anestetizzata dal confronto col blocco comunista. Una globalizzazione alla quale, a torto, la propaganda delle lobby attribuì poteri salvifici per l’intera umanità.