ZONE GRIGIE, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Rimane aperta l’inchiesta sul duplice omicidio compiuto in Somalia

A venticinque anni dall’assassinio in Somalia restano ancora ignoti esecutori e mandanti. Il giudice Fanelli ha disposto l’esecuzione di nuove indagini sul caso poiché l’eliminazione fisica dei due giornalisti permane una «vicenda segnata da tanti lati oscuri e, financo, da errori giudiziari»

Il caso Alpi-Hrovatin non si chiude.  Infatti, il Giudice per le indagini preliminari di Roma Andrea Fanelli ha rigettato la richiesta di archiviazione dell’inchiesta che era stata presentata dalla Procura della Repubblica.

La giornalista Ilaria Alpi e l’operatore Miran Hrovatin, entrambi inviati della Rai, vennero assassinati in circostanze mai del tutto chiarite nel corso di un agguato tesogli a Mogadiscio, in Somalia il 20 marzo del 1994.

Contro l’archiviazione si erano espressi i familiari della giornalista, la Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi), il sindacato dei giornalisti dell’azienda radiotelevisiva di Stato (Usigrai) e l’Ordine dei giornalisti.

Il gip ha disposto l’esecuzione di nuove indagini sul caso di duplice omicidio, motivando la sua decisione con un provvedimento di circa venti pagine nel quale si afferma che l’eliminazione fisica dei due giornalisti permane una «vicenda segnata da tanti lati oscuri e, financo, da errori giudiziari».

Egli ha aggiunto che in questo specifico quadro «l’approfondimento, condotto senza riserve, degli ulteriori temi di indagine appare essenziale al fine di cercare di dare una risposta alla domanda di giustizia attesa ormai da venticinque anni dai familiari delle persone offese e da tutti i cittadini interessati a conoscere la verità».

Infine ha sottolineato che: «L’attività di indagine deve essere completa, esauriente e approfondita, tanto più in relazione a vicende come questa, assai complesse costellate di episodi quantomeno singolari se non addirittura dolosi, che hanno reso assai più arduo l’accertamento della verità dei fatti».

Un chiara indicazione rivolta alla Procura della Repubblica della capitale, alla quale sono stati concessi ulteriori 180 giorni di indagini nel tentativo di pervenire alla verità, facendo finalmente chiarezza su numerosi aspetti ancora oscuri.

Fanelli ha altresì disposto l’audizione del direttore dell’Agenzia informazioni e sicurezza interna (Aisi) al fine di verificare la «persistenza del segreto» sull’identità dell’informatore di cui si fa riferimento in una nota del Sisde (Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica) risalente al 1997.

In essa  «emergerebbe il coinvolgimento nel duplice omicidio nonché in traffici di armi dell’imprenditore Giancarlo Marocchino».

Al tempo in cui avvennero i fatti Marocchino si trovava in Somalia, dove conduceva un’impresa attiva nel settore della logistica. Nel Paese del Corno d’Africa dopo la caduta del dittatore Siad Barre era divampata una devastante guerra civile dai tragici risvolti umanitari che aveva provocato l’intervento dell’Onu.

Della missione militare multinazionale di pace inviata in Somalia a garanzia della distribuzione alla popolazione degli aiuti forniti dalla comunità internazionale faceva parte anche un corposo contingente italiano.

Il gip ha inoltre richiesto la Procura della Repubblica della effettuazione di accertamenti in relazione al ritardo col quale da Firenze è stata trasmessa (soltanto nell’aprile del 2018) la trascrizione di due intercettazioni telefoniche delle conversazioni intercorrenti tra due cittadini somali che vennero registrate il 21 e il 23 febbraio 2012, nelle quali – riferendosi a quanto a suo tempo avvenuto a Mogadiscio – essi affermarono che «Ilaria (Alpi) era stata uccisa dagli italiani».

Un colpevole vuoto della durata di cinque anni che non ha consentito di valutare dei nuovi elementi d’indagine ricavati dalle trascrizioni.

Infine il giudice Fanelli ha disposto l’acquisizione degli atti relativi al fascicolo di indagine sulla morte del giornalista Mauro Rostagno, ex leader di Lotta Continua, assassinato dalla mafia il 26 settembre 1988 a Lenzi di Valderice, nel Trapanese.

È proprio su quest’ultimo caso che gip ha richiesto ai pubblici ministeri romani di verificare l’eventuale esistenza di punti di contatto tra i due casi di omicidio, possibili spunti sui quali  basare una nuova attività istruttoria che prenda in esame l’ipotesi del movente relativo al traffico di armi.

 

 

Riguardo al caso Alpi-Hrovatin insidertrend.it è in grado di riproporre un’intervista relativa alla connessa vicenda dell’assassinio del maresciallo del Sismi Vincenzo Li Causi, militare assegnato al Centro Gladio Scorpione di Trapani che venne ucciso, anch’egli in circostanze misteriose, in Somalia poche settimane dopo i due inviati della Rai ↓

 

A081 – INTELLIGENCE, SERVIZI SEGRETI ITALIANI: SISMI, SOMALIA, LA MISTERIOSA MORTE DEL MARESCIALLO LI CAUSI. Intervista con Massimiliano Giannantoni, giornalista di Sky TG24, autore del libro inchiesta “Skorpio, Vincenzo Li Causi: morte di un agente segreto”, edito per i tipi di Round Robin a venticinque anni dall’accaduto. Il maresciallo Li Causi, agente di punta del Sismi e informatore “confidenziale” della giornalista Ilaria Alpi, era stato a capo del misterioso centro Scorpione di Trapani, una delle emanazioni siciliane dell’organizzazione paramilitare stay behind della Nato nota come “Gladio”.

Un uomo di notevoli capacità che nel suo passato di agente segreto era stato impiegato dai suoi superiori in alcune delicatissime operazioni, come quella effettuata nel Perù del presidente Alan Garcia per volere di Bettino Craxi, allora capo del governo, dove erano state fornite armi e addestramento alle forze di sicurezza di Lima ed era stata recuperata parte del “tesoro” sparito del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. Ma non solo. Li Causi aveva partecipato anche alle attività volte alla liberazione del generale americano James Lee Dozier, sequestrato nel 1981 dai terroristi delle Brigate rosse. Li Causi, dunque, sapeva molte cose del passato della prima Repubblica, forse troppe. L’ipotesi esplorata nel libro da Giannantoni – e suffragata da testimonianze dirette dei fatti e da una vasta mole di documenti – vedrebbe il sottufficiale del Sismi in una situazione molto difficile, dalla quale non vi sarebbe stata via di uscita. Egli avrebbe dovuto testimoniare ancora davanti ai magistrati di varie procure sulla Gladio, i traffici di armi clandestini e altre oscure vicende. In una fase epocale della storia italiana caratterizzata dalla fine di un’epoca e dalle trasformazioni da esse indotte (inclusi gli scontri intestini agli apparati più o meno occulti dello Stato), un depositario di così importanti segreti era divenuto estremamente scomodo. Li Causi lo aveva capito e allora – sempre secondo l’ipotesi che fa da filo conduttore del libro – avrebbe preso le sue contromisure, iniziando a fornire informazioni alla giornalista Ilaria Alpi relative a vicende “sporche” verificatesi in Somalia che vedevano implicati strani personaggi e settori dei servizi segreti italiani. In questo modo inviò ben precisi segnali ai suoi referenti a Roma, ma la sua condanna a morte era già stata scritta: verrà assassinato a Balad, in Somalia, in circostanze assolutamente poco chiare il 12 novembre 1993.

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