In pubblico, il premier britannico Boris Johnson non mostra alcuna intenzione di volersi arrendere al voto. Nel suo discorso, davanti al 10 di Downing Street, si mostra ottimista su un accordo con l’Ue perché «nelle ultime tre settimane le probabilità di riuscirci sono aumentate» ed esclude un ritorno alle urne «perché non le vogliono gli elettori». In privato, però, agli uomini del suo governo durante una riunione di gabinetto non programmata ha messo sul tavolo l’ipotesi delle elezioni generali il 14 ottobre, due settimane prima della Brexit, se domani la sua maggioranza dovesse cadere sulla legge voluta dal laburista, Jeremy Corbyn, per scongiurare il no-deal.
Il proposito di Boris Johnson di portare il Regno Unito fuori dall’Ue il 31 ottobre, costi quel che costi, ha spinto parlamentari di diversi schieramenti a unirsi per contrastare lo scenario del no-deal. Invocando lo Standing Order 24 (SO24), che permette di chiedere un dibattito su «un tema specifico e importante che dovrebbe avere considerazione urgente», i laburisti intendono agire domani, alla riapertura del Parlamento dalla pausa estiva: l’obiettivo è una legge che obblighi il premier a chiedere un’estensione dell’Articolo 50 in caso non riesca a trovare un nuovo accordo con Bruxelles. Su questa iniziativa potrebbe convergere una pattuglia di ribelli Tory, nonostante il partito li abbia minacciati di espulsione per quello che verrebbe letto come un voto di sfiducia nei confronti del governo.