CULTURA, xente veneta. Padova, Carlo Mazzacurati, ritratto del regista prematuramente scomparso cinque anni fa

Marina Zangirolami parla di suo marito, col quale ha vissuto e ha lavorato per una vita. L’uomo e l’opera, la sensibilità e l’ironia, i luoghi e gli attori: un doveroso tributo al regista che ha saputo rappresentare le difficoltà degli «ultimi» in quel Nordest che fu la «locomotiva economica del Paese». Intanto, alla Casa del Cinema di Roma il 3 settembre si concluderà la rassegna retrospettiva a lui dedicata

Chi è stato davvero Carlo Mazzacurati, l’autore e regista che ha saputo rappresentare sullo schermo disagi e drammi degli «ultimi», cioè di quegli emarginati di lungo corso o divenuti tali dopo essere precipitati giù nella miseria da una condizione di benessere, seppure soltanto piccolo borghese?

Da dove scaturivano le sue capacità di dipingere dei quadri a tratti estremamente drammatici, fatti di piccole tragedie quotidiane e umiliazioni, che non escludeva però l’ironia e l’umorismo?

Chi era l’uomo che da dietro la macchina da presa – a dire il vero spesso ma non sempre – nei suoi film è riuscito a fornire almeno una possibilità di riscatto ai suoi sfortunati personaggi?

E i luoghi dove si svolgono le sue storie? Quel «Veneto bianco» che conobbe il vero benessere soltanto pochi decenni or sono, ma che da allora è divenuto un gigante economico e produttivo?

dai tratti a volte un po’ bigotti e conformisti, ma attraversato anche da furbastri e criminali.

Nella riflessione su Mazzacurati è da lì che si deve partire, a quella terra affascinante, ma dai tratti a volte un po’ bigotti e conformisti, spesso caratterizzata anche da furbastri e gente priva di scrupoli.

Quella terra ancora non del tutto affrancatasi da quella cultura contadina che l’ha permeata profondamente per secoli, ma che tuttavia oggi non esiste più.

Un Veneto, si badi bene, che nella cinematografia di Mazzacurati non è stato tutto il Veneto, bensì, almeno principalmente, solo alcune sue parti: Padova, la bassa col delta del fiume Po, la laguna e i Colli euganei.

Al regista e autore la Casa del Cinema di Roma ha tributato un omaggio, una rassegna retrospettiva comprendente molti dei suoi film: Notte italiana (sua opera prima), Il prete bello, Un’altra vita, L’estate di Davide, La lingua del Santo, L’amore ritrovato, La giusta distanza e, da ultimo La sedia della felicità, che verrà proiettato sullo schermo di Villa Borghese martedì 3 settembre.

Mazzacurati non ha realizzato esclusivamente film, infatti, a lui vanno ascritti anche alcuni documentari di pregio, opere che ne testimoniano ed esaltano l’impegno sociale.

A illustrarne la figura è sua moglie, quella Marina Zangirolami, patavina come lui, che Carlo Mazzacurati conobbe tanti anni fa nella Città del Santo.

La città dipinta a tinte fosche da Ferdinando Camon nel suo romanzo “Occidente”, nel quale vengono narrate le parallele vicende di due capi dell’estremismo politico locale e nazionale di allora, uno leninista e l’altro neonazista, uomini in grado di avviare perverse e mortifere dinamiche all’interno di quel laboratorio perfetto che fu la Padova a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta.

Seppure resa cupa dalle azioni di alcuni suoi abitanti, fu tuttavia una città che riuscì a offrire anche delle opportunità a chi si trovò nelle condizioni di poterle cogliere.

Enzo Monteleone, che come Mazzacurati divenne in seguito regista,  al riguardo testimonia di quella città di portici e nebbia dove si radicò la loro amicizia:

«In principio era una saletta fumosa, un centinaio di posti, sedili di legno. Era il Cinema1, a Padova, accanto al liceo Tito Livio e alla facoltà di Scienza Politiche, quella di Toni Negri.

Lì si passavano le serate a vedere e rivedere i film come dei clandestini, come membri di una setta di carbonari che nella oscurità fumosa osavano riunirsi per vedere film di Tarkovskij o musical di Busby Berkley, Gunga Din o Provaci ancora Sam, tutto Antonioni e tutto Bergman, Pietrangeli e Dziga Vertov mentre nei cinema “ufficiali” trionfavano Celentano, Pozzetto e l’ispettore Monnezza, Johnny Dorelli e Gloria Guida. Era la nostra resistenza.

Erano gli anni Settanta. Lì ho conosciuto Carlo, nelle discussioni fuori dal cinema che duravano ore camminando nelle piazze vuote della città, sotto i portici che odoravano di nebbia.

Si parlava tanto, di tutto, ma soprattutto di film e di libri. Per anni ci siamo ubriacati di cinema, ci siamo divertiti ad organizzare serate e retrospettive: commedia all’italiana, Blake Edwards, tutto Altman, tutto Jacques Tourner, film noir, Michalkov e i nuovi tedeschi.

Alla fine arrivò il momento di mettersi alla prova. Così iniziò l’avventura di Vagabondi un piccolo film autoprodotto, in sedici millimetri.

In questa storia ci sono già tutti i punti di riferimento del cinema di Carlo: piccoli uomini disperati che tentano di dare una svolta alla loro vita, Padova e i paesaggi della provincia, la bassa, il delta del Po, i filari di pioppi, le mucche, la Toscana… Inaspettatamente vinse la prima edizione del Festival Filmaker di Milano nel 1980.

Il premio consisteva nella distribuzione in sala da parte della Gaumont Italia, che però poco dopo fallì. E così il film non fu mai visto.

Dovevamo buttarci nella mischia: Roma ci aspettava!»

Nel corso della lunga intervista rilasciata a insidertrend.it Marina Zangirolami affronta tutti gli aspetti della vicenda umana e professionale di suo marito. Da come si sviluppava un’idea e nasceva un film, alla sceneggiatura, l’organizzazione del set e la troupe, per giungere fino agli attori e ai figuranti che vi recitavano.

Ella, soprattutto rivela quali furono i sentimenti di quella persona timida e sensibile, che seppe rappresentare fedelmente attraverso la pellicola gli uomini e le loro emozioni, le speranze e i destini, senza scadere mai nella maniera o nella tragicità, semmai nell’ironia e in qualche punta di marcato umorismo.

 

 

di seguito è possibile ascoltare l’audio integrale dell’intervista con Marina Zangirolami sulla figura del regista e autore veneto Carlo Mazzacurati à

 

A184 – CULTURA, CINEMA: CARLO MAZZACURATI, ritratto del regista prematuramente scomparso cinque anni fa. Di lui a insidertrend.it parla MARINA ZANGIROLAMI, sua moglie e collaboratrice.

Chi è stato per davvero Carlo Mazzacurati, autore e regista che ha saputo rappresentare sullo schermo i disagi e i drammi degli «ultimi», cioè di quegli emarginati di lungo corso o divenuti tali dopo essere precipitati giù nella miseria da una condizione di benessere, seppure soltanto piccolo borghese?

Da dove scaturivano le sue capacità di dipingere un quadro a tratti estremamente fosco, fatto di piccole tragedie quotidiane e umiliazioni, attraverso però l’uso dell’ironia e dell’umorismo.

Un uomo che da dietro la macchina da presa, spesso ma non sempre, nei suoi film è riuscito a fornire almeno una possibilità di riscatto ai suoi sfortunati personaggi? E i luoghi dove si svolgono le sue storie?

È quel «Veneto bianco» che ha conosciuto il benessere soltanto pochi decenni or sono e che da allora è divenuto un gigante economico e produttivo, dai tratti a volte un po’ bigotti e conformisti, ma attraversato anche da furbastri e criminali.

Una terra affascinante, affrancatasi non del tutto da quella cultura contadina che non esiste più, che tuttavia la ha permeata profondamente nei secoli.

Marina Zangirolami ha vissuto e ha lavorato con lui per una vita, fin dall’opera prima, “Notte italiana”, un film del 1987.

L’uomo e l’opera, la sensibilità e l’ironia, i luoghi e gli attori: insidetrend.it tributa un doveroso omaggio al regista che ha avuto la capacità di rappresentare le difficoltà degli «ultimi» in quel Nordest che fu la locomotiva economica del Paese.

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