Il premier kosovaro Ramush Haradinaj ha rassegnato oggi le sue dimissioni dalla carica ricoperta. La decisione è stata assunta a seguito dell’ennesima convocazione da parte del Tribunale speciale per i crimini commessi nella ex Jugoslavia in quanto «sospettato» dell’implicazione di crimini di guerra che sarebbero stati commessi nel corso della sua militanza nel gruppo indipendentista di etnia albanese Uçk (Ushtria Çlirimntare e Kosovës, Esercito di Liberazione del Cossovo) nel corso della guerriglia degli anni Novanta contro l’Armata federale jugoslava e la polizia (Milicija) serba.
Haradinaj verrà sottoposto a interrogatorio dai magistrati della corte internazionale che indagano su omicidi ed eccidi perpetrati durante gli anni del confronto armato.
Ramush Haradinaj e l’Uçk. Nato nel 1968 nel villaggio di Glođane, presso Dečani, nell’allora Provincia autonoma serba di Cossovo e Metodia (Kosovo i Metohija), nella Jugoslava del Maresciallo Tito, Haradinaj in gioventù compì studi di astronomia e, dopo aver prestato servizio militare di leva nell’Armata federale jugoslava (JNA, Jugoslavenska Narodna Armija) si trasferì, come molti altri cossovari di etnia albanese, in Svizzera.
Fu lì che aderì al movimento indipendentista, il Movimento Nazionale del Kosovo. Tornato nei Balcani, prese parte all’organizzazione dei campi di addestramento paramilitare dell’Uçk oltre il confine jugoslavo, nei distretti albanesi di Kukës, Tropojë e Morina, dove, nel 1997, durante un attraversamento clandestino della frontiera in uno scontro a fuoco con le forze di sicurezza jugo-serbe perse la vita suo fratello Luan.
In seguito Ramush divenne uno dei leader locali dell’Uçk (nell’area operava la 138ª Brigata dell’Uçk), comandante della Zona di Operazioni Dukagjin e capo indiscusso della sua formazione armata, le “Aquile nere”.
Un ruolo di primissimo piano in una zona della Metodia che rivestiva (e avrebbe rivestito in seguito per altre ragione) un’importanza strategica.
La parte occidentale del Cossovo confina infatti con l’Albania ed è anche la porta di accesso al Montenegro, dunque fondamentale come “corridoio” per i ribelli che si rifornivano di armi nei paesi confinanti, un luogo che per forza di cose divenne teatro degli scontri più violenti con la polizia serba e i militari federali.
Alla fine del maggio 1998, supportati da unità di artiglieria dell’esercito jugoslavo i reparti della polizia serba – Milicija, i cui membri venivano chiamati «plavije» (blu) per il colore della loro uniforme da combattimento – sferrarono una schiacciante offensiva nella regione, in particolare contro le città di Dakovica (Giakovë), Dečani (Deçan) e Peć (Pejë).
Venne attuata una sistematica bonifica di tutti i villaggi della zona nel tentativo di cacciare i guerriglieri di etnia albanese costringendoli a rifugiarsi in una ristretta porzione di territorio.
Numerosi villaggi vennero attaccati e distrutti in quanto considerati centri di comando delle cellule della guerriglia indipendentista. Quest’ultima si poneva l’obiettivo di collegare la città occidentale di Dečani con quella più settentrionale di Drenica, roccaforte dell’Uçk, al fine di costituire un corridoio che congiungesse le zone allora sotto il controllo albanese.
L’Uçk subì però una dura sconfitta e, a seguito di essa, migliaia di profughi si riversarono nella vicina Albania, dove, nel distretto di Tropojë, le autorità di Tirana allestirono dei centri di accoglienza.
L’invasione della Jugoslavia da parte delle truppe Nato e il loro successivo controllo del Cossovo impose all’Uçk un fisiologica trasformazione in «corpo di protezione» (TMK, Trupat e Mbrojtjes së Kosovës o Kosovo Protection Force), il cui comando venne affidato ad Agim Ceku, del quale Haradinaj divenne il vice.
La Valle di Dukagjn. Tuttavia, la Valle di Dukagjn (area di insediamento del clan Haradinaj), situata in prossimità delle frontiere con l’Albania e il Montenegro, rimase un territorio di fondamentale importanza anche dopo la fine del conflitto.
Su di esso insistono per altro due storici monasteri ortodossi, con tutte le problematiche relative alla sicurezza dei religiosi serbi e dei luoghi di culto che questo comporta.
Il monastero di Peć è collegato all’imbocco della Valle della Rugova, che attraverso un passo di montagna conduce in territorio montenegrino, mentre il complesso religioso di Dečani si situa presso l’accesso alla vallata del fiume Dečanska Bistrica, lungo la direttrice stradale che collega il Cossovo ad Albania e al Montenegro.
Si tratta di assi di collegamento strategici utilizzati spesso anche dalla criminalità organizzata, un passaggio che consente alle consorterie malavitose di effettuare i loro traffici illegali bypassando il vicino Sangiaccato ed evitando così di pagare un doppio pedaggio versando un “pizzo” anche alle mafie che controllano quest’ultimo territorio.
Dalla Rugova e dalla Bistrica è possibile raggiungere direttamente l’Andreijvica Plav montenegrina (popolata in maggioranza dall’etnia albanese) e da lì proiettarsi verso l’Europa occidentale.
La politica. Nell’aprile del 2000 Haradinaj cessò di militare nelle formazioni armate ed entrò in politica, fondando assieme a Mahmut Bakalli (ex leader comunista locale) l’Alleanza per il futuro del Cossovo (AAK), assumendone poi la guida in qualità di presidente.
«As djaihtas as majtas: drejt! Voto drejt, voto AAK», né a destra né a sinistra: centro! Voto centro, voto AAK. Questo fu lo slogan elettorale dell’Alleanza per il futuro del Cossovo, la formazione politica di Ramush Haradinaj che campeggiò sui manifesti affissi ovunque e che accompagnò il successo elettorale dell’ex comandante dell’Uçk.
L’AAK, partito politico che nacque come filiazione diretta dell’Uçk, permise al clan Haradinaj di assumere il controllo del settore energetico, della giustizia e di parte del processo di privatizzazione dei beni pubblici.
Nella loro zona gli Haradinaj sono molto potenti, malgrado le decimazioni subite nella sanguinosa faida che in passato li ha opposti al clan rivale dei Musaj, sodalizio organizzato di minori dimensioni che esercitava un relativo controllo del territorio nell’area tra Dečani e Peć.
Alleati col clan Muskolaj (il capo era un leader dell’Uçk nella zona di Dečani), nella Valle di Dukagjn, gli Haradinaj potevano fare affidamento su un potenziale bacino di veterani in grado di esprimere consensi sul piano elettorale e anche su quello della eventuale mobilitazione.
L’AAK giunse a controllare politicamente tutte le municipalità della Valle di Dukagjn, ma anche quelle di Istok e Klina.
Le accuse e il processo. Anche il capo guerrigliero albanese rimase coinvolto nelle inchieste del Tribunale internazionale sui crimini di guerra nella ex Jugoslavia, poiché a suo carico vennero formulati una serie di gravissimi capi di imputazione per azioni compiute dal marzo al settembre del 1998.
Nello specifico, i titoli dei reati (crimini di guerra e crimini contro l’umanità) furono persecuzione, omicidi, saccheggi, distruzione immotivata di città e villaggi, trasferimenti forzati di persone oltre ad altre azioni ritenute inumane.
Secondo l’accusa le vittime furono soprattutto serbi e rom, ma non mancarono comunque anche gli albanesi.
Ad Haradinaj vennero contestate l’assassinio di sessanta civili, dei quali quaranta vennero ritrovati mutilati nel lago di Radonjić, nei pressi del suo comando; lo stupro di una sposa rom perpetrato dapprima da lui stesso e in seguito dai suoi uomini, la tortura e l’assassinio degli invitati al banchetto nuziale; l’assassinio di sei adolescenti in un bar nella città di Peć; del sequestro di persona di quattro suoi oppositori.
Consegnatosi al tribunale dell’Aia, Haradinaj rimase detenuto per due mesi, poi gli venne concessa la libertà provvisoria fino alla data del processo.
Nel febbraio 2007 all’Aia riprese il dibattimento processuale, che si concluse il 3 aprile dell’anno seguente con la piena assoluzione dell’imputato. Si trattò in ogni caso di un processo caratterizzato dal timore nutrito dai parte dei testimoni (molti deposero sotto protezione) quando non addirittura dalla loro misteriosa scomparsa.
L’accusa, coordinata dal procuratore svizzero Carla Del Ponte denunciò a più riprese la difficoltà di rinvenire testimoni disposti a deporre in aula.
Dopo il grado di appello, l’ICTY giunse alla decisione di far ripetere parzialmente il processo contro l’imputato poiché – a suo avviso – il processo precedente era stato viziato dall’intimidazione dei testimoni.
Il 19 giugno 2010 venne allora spiccato un mandato di cattura nei confronti di Haradinaj, che fu poi arrestato e trasferito in carcere in Olanda.
Nel novembre 2012 Haradinaj venne assolto per la seconda volta, ma la sentenza stabilì l’insufficienza di prove a carico dell’imputato e non la non commessione dei crimini a lui attribuiti dall’accusa. Una sentenza che riconosceva la commissione dei crimini ma l’indisponibilità di prove giudiziali in grado di portare alla condanna dell’imputato.
Nel 2015 venne istituita una nuova corte di giustizia internazionale per giudicare i crimini di guerra commessi dai guerriglieri di etnia albanese ai danni della popolazione serba e rom nonché contro gli albanesi loro oppositori politici.
In tale nuovo contesto viene riesaminata la posizione di Ramush Haradinaj, nel frattempo divenuto primo ministro del Cossovo. Il comandante delle Aquile nere siederà dunque sul banco degli accusati del Tribunale dell’Aia.
In gennaio erano stati interrogati altri due ex elementi di vertice dell’Uçk, Rrumen Mustafa (soprannominato «Sami») e Sami Lushtaku, che potrebbero venire incriminati.
Ora verrà interrogato Ramush Haradinaj, ma non è escluso che nel prossimo futuro i magistrati convochino all’Aia anche il presidente cossovaro Hashim Thaçi e il presidente del parlamento di Pristina Kadri Veseli.