È divampata nuovamente la polemica sui codici identificativi da applicare alle uniformi in dotazione alle forze dell’ordine impiegate in servizi di ordine pubblico nel corso di manifestazioni di piazza o eventi di altro genere.
Una polemica rovente che, come in precedenza, ha assunto toni estremamente aspri, quando in realtà un tema del genere andrebbe affrontato con lucidità e al di fuori da qualsiasi impeto indotto da quella che in Italia si configura come una «campagna elettorale permanente».
Nel corso dei lavori parlamentari sul decreto sicurezza bis, provvedimento fortemente voluto dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, il Partito democratico ha presentato un emendamento al testo a firma dell’onorevole Stefano Ceccanti mediante il quale ha chiesto l’introduzione dell’articolo 7 bis, che, se approvato, prevedrebbe l’introduzione del codice di identificazione per gli operatori delle forze di polizia in servizio di ordine pubblico. Analoga richiesta è arrivata anche dal Movimento 5 Stelle, al governo con la Lega, partito il cui leader è lo stesso ministro che siede al Viminale.
Si tratterebbe di un alfanumerico o qualcosa di equipollente finalizzato all’identificazione di un agente in servizio all’interno della moltitudine di suoi colleghi nel corso di disordini di piazza o attività di contenimento della folla.
La ragione alla base di tale provvedimento è oltremodo evidente, risalire ella malaugurata eventualità di una commissione di abusi da parte degli operanti su altre persone. L’esempio classico è quello dei casi di violenza immotivata su dei dimostranti mediante un eccessivo ricorso alla forza quando esso non è tuttavia giustificato dalle contingenze, magari nelle forme di una reazione sproporzionata a una provocazione.
Un sistema al quale hanno fatto ricorso ormai da anni molte polizie e gendarmerie dei Paesi europei, che hanno ovviamente prestato molta attenzione a evitare la divulgazione pubblica dei nominativi degli agenti in servizio ricollegabile all’identificativo, poiché esso dovrebbe essere finalizzato esclusivamente a una eventuale sanzione nei confronti di coloro i quali si fossero resi responsabili di abusi mentre erano in servizio.
E invece la reazione di parte dei sindacati del comparto sicurezza è stata durissima, giungendo addirittura a parlare di una «guerra dichiarata alle forze dell’ordine», di «criminalizzazione» delle stesse e di «emendamento della vergogna» che andrebbe immediatamente ritirato.
Tra questi il Fsp Polizia di Stato, che per bocca del suo segretario generale Valter Mazzetti ha espresso con durezza tutto il disappunto degli iscritti alla sua organizzazione sindacale.
«È grave – ha affermato il sindacalista – che con tempismo sospetto i due partiti che hanno un conto in sospeso con la Lega di Matteo Salvini si coalizzino per chiedere qualcosa che metterà ulteriormente in pericolo l’incolumità dei poliziotti.
La richiesta è grave di per sé, ma se poi questo argomento – e quindi la salute di chi indossa l’uniforme – fosse davvero oggetto e strumento di scontro politico sarebbe sconcertante. Chi dedica il proprio tempo alle trame di palazzo evidentemente non è mai stato in strada a fronteggiare bastoni e molotov.
Noi non resteremo a guardare mentre si consuma l’ennesimo insulto e attentato a migliaia di poliziotti che subiscono già abbastanza.
Non accetteremo mai che si criminalizzi chi indossa la divisa fregandosene se troppi continuano a finire in un letto d’ospedale o all’obitorio per difendere la Repubblica e le sue leggi, i suoi cittadini e i loro diritti.
I veri criminali sono quelli che vanno in piazza violando le leggi con piena coscienza e volontà, ed è contro questo scempio che si deve intervenire.»
Poi, concludendo il suo intervento, il segretario del Fsp ha esortato i due leader politici Zingaretti e Di Maio ad attivarsi «perché venga ritirato l’emendamento delle vergogna», poiché «se vogliono sostenere davvero la sicurezza e chi la garantisce, pensino piuttosto a dotare tutti gli operatori delle micro telecamere che mostreranno a tutti come stanno davvero le cose quando si fa ordine pubblico. Allora si comprenderà anche perché chiediamo l’introduzione del reato di terrorismo di piazza».
Di seguito è possibile ascoltare l’audio dell’intervista con LUIGI MANCONI su questi argomenti.
A168 – SICUREZZA, ORDINE PUBBLICO E LEGALITÀ: FORZE DI POLIZIA, CODICI DI IDENTIFICAZIONE, mediante i quali contrassegnare gli agenti in servizio nel corso di manifestazioni di piazza. Intervista con LUIGI MANCONI, presidente di “A buon diritto” e già parlamentare della Repubblica che ha ricoperto la carica di Presidente della Commissione Diritti umani del Senato.
Una democrazia come quella italiana ripiomba per l’ennesima volta nella polemica su mantenimento della sicurezza e dell’ordine pubblico: la vexata quaestio relativa ai codici identificativi da applicare alle uniformi degli agenti impegnati in attività di mantenimento dell’ordine pubblico; la richiesta di introduzione del reato di «terrorismo di piazza» e le sue contraddizioni; il reato di «tortura» e le sue concrete applicazioni, il decreto sicurezza bis del Governo Conte, il panorama dei sindacati del comparto sicurezza a trentotto anni dal varo della riforma della Polizia in virtù della Legge 281/1981.