ISRAELE, disordini di piazza. Continuano le manifestazioni per l’uccisione di Solomon Tekah: le contraddizioni di una democrazia del Medio Oriente

Ad alcuni giorni dalla morte del giovane ebreo di origini etiope, ucciso dal fuoco di un poliziotto fuori servizio, in Israele emerge con evidenza la piaga della mancata completa integrazione di alcuni gruppi nella società. L’appello della famiglia della vittima affinché cessino le violenze di piazza

Da lunedì scorso si sono scatenate in tutto il Paese le proteste contro le discriminazioni razziali e la brutalità con la quale a volte agisce la polizia dello Stato ebraico. Ad accendere la miccia di un forte disagio che, prima o poi, in ogni caso sarebbe esploso, è stata la violenta morte del diciannovenne Solomon Tekah, ucciso la notte del 30 giugno dai colpi esplosi da un poliziotto che in quel momento era fuori servizio.

Non si tratta del primo increscioso episodio che ha come inquietante sfondo i fenomeni del razzismo e dell’intolleranza, e purtroppo non sarà neanche l’ultimo, visto quello che è successo due giorni dopo a Yitzahak Zalka, militare in servizio presso la Brigata Kfir delle Forze di difesa israeliane, apostrofato in maniera inaccettabile da un sottufficiale suo superiore.

Nei giorni immediatamente seguenti l’uccisione di Tekah centinaia di persone sono scese in piazza e hanno inscenato dure manifestazioni di protesta per ciò che era accaduto, scontrandosi poi con la polizia.

Gli incidenti hanno conosciuto un incremento dopo la cerimonia funebre del giovane ucciso, quando non pochi manifestanti hanno nuovamente bloccato le strade incendiando autoveicoli e mezzi delle forze dell’ordine, ferendo più di cento poliziotti.

136 le persone arrestate dalla polizia, un bilancio dei disordini certamente elevato, ma soprattutto un campanello d’allarme che suonando ha messo sull’avviso tutti riguardo i disagi sofferti dalla variegata società israeliana.

Questo, per altro, in una fase molto particolare della storia dello Stato ebraico, dove per la prima volta dal 1948 la popolazione viene chiamata alle urne due volte nello stesso anno per eleggere il premier.

Cosa sta succedendo in Israele? Siamo di fronte alla fine del mito della multietnicità ebraica fattasi comunità e Stato oppure sotto c’è dell’altro?

Attualmente sono circa 140.000 gli ebrei di origine etiopica che vivono in Israele, cittadini a tutti gli effetti dello Stato ebraico, tuttavia si tratta di una consistente parte della popolazione che negli anni si è integrata a fatica nella società, subendo discriminazioni e abusi.

Gli ebrei di origine etiopica (falascià o «Beta Israel») hanno incontrato notevoli difficoltà nell’integrazione sociale fin dal loro arrivo nello Stato ebraico. La causa principale ne è stata l’adeguamento a un ambiente  totalmente diverso da quello africano di loro provenienza, poiché sono passati da una società tribale tradizionale a una estremamente moderna e tecnologizzata oltreché profondamente omogeneizzata. Tuttavia, malgrado i numerosi casi di alienazione e di degrado, le nuove generazioni (i sabra, nati e cresciuti in Israele) tendono a essere assimilate con maggiore facilità dalla società israeliana, un processo di omologazione e integrazione favorito dall’importante ruolo svolto da due istituzioni del Paese, la scuola e le forze armate, dove il servizio è obbligatorio per quasi tutti i cittadini dello Stato ebraico.

E infatti, lo stesso Solomon Tekah aveva più volte manifestato l’intenzione di arruolarsi nella polizia al momento in cui avrebbe dovuto svolgere il suo periodo di servizio militare obbligatorio.

Il primo ministro uscente Benjamin Netanyahu, mercoledì ha invitato i leader della comunità etiope a esercitare la loro influenza al fine di far cessare le proteste violente.

Netanyahu si è espresso al riguardo nell’imminenza dell’inizio della riunione del comitato interministeriale istituito proprio allo scopo di promuovere l’integrazione degli immigrati etiopi nella società israeliana.

Anche i parenti della vittima ha rivolto un appello ai manifestanti affinché non compiano più violenze.

«Abbiamo perso un figlio e chiediamo al pubblico di non protestare fino alla fine della shiva – hanno dichiarato i familiari di Solomon – e di agire con moderazione e pazienza», aggiungendo poi che «Alla fine della shiva (il periodo del lutto per gli ebrei) presenteremo proteste legittime in modo organizzato e in coordinamento con le parti interessate».

Essi hanno infine invitato tutti i giovani e i loro genitori ad astenersi da provocazioni e inutili violenze poiché «la rabbia espressa nei giorni scorsi è stata accumulata in anni di continua negligenza, razzismo e a causa dell’eccessiva sorveglianza e delle uccisioni inutili dei nostri bambini».

Parole che esprimono con durezza il sentimento di questa comunità, portato anche della frustrazione per il secondo caso di uccisione di un giovane etiope per mano della polizia negli ultimi sei mesi.

Solomon Tekah, 19 anni, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco da un poliziotto fuori servizio durante un alterco nel quartiere di Kiryat Haim ad Haifa. Un testimone oculare della sparatoria avrebbe riferito che, contrariamente alle affermazioni rese in seguito da quest’ultimo, egli non sembrava trovarsi in uno stato di effettivo pericolo quando ha aperto il fuoco.

Il responsabile della morte di Solomon Tekah si era infatti giustificato affermando di aver sparato perché trovatosi in una situazione di minaccia imminente alla sua vita, ma che non intendeva colpire la vittima poiché aveva aperto il fuoco soltanto a scopo intimidatorio.

«Questo tragico evento non ha nulla a che fare con il colore della pelle del ragazzo morto», ha affermato poi l’avvocato difensore del poliziotto, che nel frattempo per il suo cliente ha ottenuto il rilascio e la detenzione domiciliare con la famiglia, ma sotto sorveglianza, poiché si vogliono prevenire ritorsioni violente nei suoi confronti.

I primi rapporti diffusi dal Dipartimento investigativo interno – branca competente nei casi in cui sia interessato personale delle forze dell’ordine – sembrerebbero confermare quest’ultima versione, infatti, le risultanze delle perizie confermerebbero la dinamica descritta dall’accusato, e cioè che la traiettoria seguita dal proiettile solo casualmente avrebbe attinto la regione toracica della vittima provocandone la recisione dell’arteria aorta, poiché sarebbe rimbalzato verso l’alto dopo aver colpito il terreno.

Fragili equilibri, quelli dell’attuale società israeliana, e ne sarebbero perfettamente consapevoli anche i vertici di Tsahal.

Riconoscendo il fatto che molti di coloro i quali erano scesi in piazza per protestare potevano essere delle reclute di Tsahal della stessa età del giovane ucciso, il capo del Comando meridionale delle Forze di difesa israeliane, generale Herzi Halevi, ha diffuso una circolare tra gli ufficiali al comando delle unità da lui dipendenti, esortandoli a radunare i militari di origine etiope per esprimere loro solidarietà, ponendo tuttavia come punto fermo che «la protesta, legittima e comprensibile, non deve però degenerare in atti di violenza».

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