MEDIO ORIENTE, conflitto israelo-palestinese. Al via in Bahrein il «piano di pace» Kushner, ma sono scarse le aspettative riposte in esso

Assenti le delegazioni ufficiali israeliana e palestinese, al Peace to Prosperity Plan partecipano nomi noti, tuttavia nessuno è al livello superiore di ministro. L’Anp boicotta i lavori, mentre i Paesi arabi sono scettici. La proposta è quella di «affogare» il conflitto mediorientale in un mare di denaro. Ma non è ancora stata presentata una chiara proposta politica

Nonostante l’appello della Palestina al boicottaggio Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Giordania e Marocco partecipano alla conferenza economica voluta dagli Usa in Bahrain. Infatti, numerosi inviti al boicottaggio del summit sono giunti ai Paesi arabi e islamici da personalità e funzionari palestinesi.

In particolare, la scorsa settimana il portavoce dell’Amministrazione nazionale palestinese (Anp) Ibrahim Melhem aveva affermato che sarebbe stata rifiutata qualsiasi proposta che non contempli la creazione di uno stato palestinese con capitale Gerusalemme (al Quds).

Dai Territori l’avvertimento è stato chiaro: il vertice di Manama va rifiutato, dunque, qualsiasi palestinese che vi partecipasse verrebbe considerato un «collaborazionista» degli americani e di Israele.

In Bahrain si discute dell’ultimo piano per la soluzione della questione israelo-palestinese, quello che avrebbero in animo di varare Jred Kushner (genero del presidente degli Usa e personalità molto vicina al premier uscente israeliano Benjamin Netanyahu) e Steven Mnuchin (Segretario al Tesoro Usa).

Il Peace to Prosperity Plan, concepito allo scopo di incoraggiare consistenti investimenti esteri in Palestina in modo da “affogare” il conflitto in una montagna di denaro, sarà in discussione oggi e domani nella capitale bahreinita.

Esso altro non è se non una visione economica del problema attraverso le lenti del gruppo attualmente al potere a Washington, parte di un eventuale più ampio piano di pace del quale, tuttavia, non è ancora chiaro quale sia la soluzione di natura politica proposta, poiché nelle sette pagine del documento reso pubblico di essa non vi è traccia.

Un aspetto dirimente quest’ultimo, che ha indotto i palestinesi a respingerlo e a boicottarlo e i Paesi arabi a nutrire un malcelato scetticismo nei suoi riguardi.

E infatti è stato tiepido il sostegno concesso all’iniziativa dai tradizionali partner di Washington nella regione, mentre categorici sono stati i diretti interessati: «Promesse astratte – così si è espressa l’Anp – attraverso le quali Kushner vorrebbe corrompere i palestinesi al fine di fargli accettare l’occupazione israeliana». Insomma, l’iniziativa del genero di Trump è partita male.

Assenti le delegazioni ufficiali dell’Anp e dello Stato ebraico, mentre, al contrario, numerosi i soggetti economici partecipanti, provenienti da diversi paesi anche non mediorientali e in parte privi di precedenti esperienze nella regione.

L’unico palestinese partecipante, Ashraf Jabari, è un uomo d’affari della Cisgiordania visto con profondo sospetto dai suoi connazionali poiché collabora con i coloni ebrei di Hebron.

Tra di essi Christine Madeleine Odette Lagarde (direttrice generale del Fondo monetario internazionale), Tony Blair (ex premier laburista britannico) e Giovanni Vincenzo Infantino (presidente della Federazione internazionale gioco calcio).

Ma anche esponenti di spicco del business mondiale quali Stephen Schwarzman (Ceo di Blackstone Group) e Dina Powell (senior manager di Goldman Sachs), entrambi in precedenza facenti parte dell’amministrazione Trump. Schwarzman, in particolare, prese parte ai colloqui tra israeliani e palestinesi che avviò, ma senza successo, Jared Kushner.

Sarà lui – almeno stando alla scaletta del programma -, che nella serata di oggi discuterà con il businessman emiratino Mohamed Alabbar del «ruolo che il settore privato potrà svolgere nel quadro dell’avvio di una nuova era di prosperità».

Nella giornata di domani (mercoledì 26 giugno) un primo panel vedrà confrontarsi Christine Lagarde (che ha incontrato Netanyahu lo scorso anno), Mohamed al-Sheikh (ministro saudita per gli affari economici e lo sviluppo) e Tony Elumelu (uomo d’affari nigeriano).

Un successivo panel sarà invece dedicato sulle possibili modalità mediante le quali creare condizioni favorevoli a una “rinascita economica” in Cisgiordania e Gaza, che vedrà gli interventi di imprenditori provenienti da Usa, Bahrein, Turchia e Regno Unito.

Nei dettagli Peace to Prosperity contemplerebbe 179 progetti infrastrutturali e commerciali, con oltre la metà dei 50 miliardi di dollari di investimenti previsti che affluirebbero nel periodo di dieci anni all’interno dei Territori palestinesi (Cisgiordania e Striscia di Gaza), mentre della cifra rimanente beneficerebbero Egitto, Giordania e Libano.

Ma le ambiziose proposte economiche contenute nelle altre cinquanta pagine del documento del “piano di pace” vengono comunque subordinate all’accettazione di un percorso politico che – si afferma – verrà reso noto nel prossimo autunno.

La conferenza di Manama si concluderà con un confronto tra Blair, sostenitore della soluzione dei “due stati”, e Kushner, che invece non ha mai approvato una eventuale costituzione di uno stato palestinese.

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