Il vice ministro dell’agricoltura cinese Qu Dongyu è il nuovo Segretario Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Food and Agriculture Organization of the United Nations, FAO). È stato eletto nel corso della 41ª Conferenza Generale dell’organizzazione con 108 voti favorevoli su 191 e prende il posto del brasiliano Jose Graziano da Silva che concluderà il secondo mandato di durata quadriennale nel prossimo mese di agosto.
Il primo direttore della Fao proveniente da un paese comunista è un biologo di formazione.
La candidata francese «di sistema» Catherine Geslain-Lanèelle, sostenuta dall’Unione europea, ha ottenuto 71 voti (se eletta sarebbe stata la prima donna alla guida dell’agenzia dell’ONU per l’alimentazione e l’agricoltura), mentre il georgiano Davit Kirvalize ha raccolto 12 voti. Una delegazione si è astenuta.
Avevamo avuto modo di conoscerli personalmente a Roma questi due candidati, il 12 aprile scorso in occasione della loro presentazione ufficiale organizzata da Chatam House.
Lei è apparsa algida, classica maschera francese dagli occhi di ghiaccio, dura nelle repliche agli interventi degli altri, se fosse stata in politica sarebbe risultata per nulla telegenica.
Se la donna si è mostrata sempre scura in volto, come a voler rimarcare la propria serietà e intransigenza, il candidato georgiano invece fece di tutto per rendere un’immagine accattivante. Era come se recitasse la parte dell’affabile e sorridente uomo che ha consapevolezza di sé e di ciò che controlla.
Agricoltore genetico è apparso come un comunicatore che eccedeva però nel tentativo di rendersi “antropomorfo”. Di corporatura massiccia, si è presentato in giacca blu e camicia, ma senza indossare la cravatta. Il suo era il ruolo del contadino divenuto dirigente, e lo ha ribadito spesso nei suoi interventi, non mancando di sottolineare la sua gioventù rurale nell’era (che ha definito deprecabile) della Georgia sovietica.
Egli parlava sempre in prima persona citando frequentemente le sue esperienze, molto teatrale nella mimica e nei movimenti di braccia e mani. A volte diveniva improvvisamente serio in volto: il tono della sua voce grave. Poi però con una battuta spiritosa spezzava l’incantesimo e dunque riprendeva a svolgere le proprie considerazioni seriamente.
Più o meno, entrambi i programmi si assomigliavano, come fossero stati fotocopiati. Quelli della Geslain-Lanèelle in qualche modo “leaderisti” (a tratti ricordava lontanamente Margaret Thatcher), lui “partecipativo” ed elegante mentre seguiva il proprio rapido processo espositivo.
Quel giorno si presentarono soltanto loro due, perché l’indiano Ramesh Chand, accademico e mentore dei vertici governativi e politici di New Delhi, preferì declinare l’invito, mentre il cinese probabilmente aveva già la nomina in tasca. Infatti, la Cina non dichiara la guerra se non per vincere.
Qu Dongyu è un biologo di formazione che ha lavorato nei settori agricolo e alimentare, nello sviluppo di tecnologie digitali per l’agricoltura e le aree rurali, dove ha per altro introdotto il microcredito, tuttavia è anche uno dei massimi funzionari del settore nel suo Paese.
Dunque, si è di fronte a una chiara espressione dell’interesse cinese all’assunzione della leadership nel settore agroalimentare mondiale – oltreché a un ruolo internazionale sempre più preminente – mediante la propria attiva presenza in seno all’ONU.
L’elezione di Qu Dongyu alla carica di Segretario Generale della FAO evidenzia anche la misura dei mutamenti degli equilibri internazionali in atto nei settori dell’agricoltura e dell’alimentazione.
Pechino aspira a posizioni di maggiore responsabilità nell’ambito delle Nazioni Unite e, allo scopo, nei mesi scorsi ha intensificato i propri sforzi diplomatici e finanziari per assicurarsi il sostegno degli stati africani.
Una prima vittoria l’ha conseguita in marzo con il ritiro del candidato camerunense Medi Mongui che – secondo fonti diplomatiche – avrebbe rinunciato alla competizione in cambio del pagamento da parte cinese di un debito di circa 70 milioni di dollari precedentemente contratto dal governo di Yaoundé.
Forti pressioni sarebbero state poi esercitate anche nei confronti di alcuni paesi sudamericani come Brasile e Uruguay, stavolta è il quotidiano francese “Le Monde” – che riporta anche lui proprie fonti diplomatiche rimaste anonime – a riferire che questi Stati avrebbero ricevuto la minaccia da Pechino di un eventuale bando delle loro esportazioni agricole verso la Cina se questi non avessero votato Qu.
Voci, ma sia la Cina Popolare che il Brasile fanno entrambi parte del raggruppamento cosiddetto dei «G77», paesi che hanno appunto sostenuto la candidatura di Qu. Secondo alcuni analisti della materia si tratterebbe di una scelta che non andrebbe nel senso della continuità, poiché la diretta presa in carico delle politiche agricole delle Nazioni Unite segnerebbe un punto di svolta in grado di incidere sulle future dinamiche internazionali.
Quella attraversata oggi è una fase caratterizzata da una forte polarizzazione tra i due maggiori player globali. Usa e Cina si trovano su fronti opposti nel pieno di una guerra commerciale e in questo difficile contesto la FAO si vede in qualche modo costretta ad adeguarsi ai complessi equilibri delle politiche internazionali.
Però, ciò non ha impedito al suo Segretario Generale di annunciare la svolta dell’organizzazione nella direzione di una nuova strategia mondiale per l’alimentazione.
È avvenuto lo scorso anno, l’ultimo del secondo mandato quadriennale di Jose Graziano da Silva, quando in un suo discorso ufficiale il egli ha contemplato il definitivo abbandono della cosiddetta «rivoluzione verde», cioè di quell’agricoltura delle grandi concentrazioni industriali e produttiviste che, almeno nei disegni dei teorici degli anni Settanta, avrebbe dovuto condurre alla risoluzione dei conflitti provocati dalla contesa per le risorse alimentari e ridurre se non addirittura debellare la piaga della fame nel mondo.
Non andò così e ora la FAO si indirizza verso l’agroecologia. Ma le attuali concentrazioni industriali hanno ormai raggiunto dimensioni gigantesche ed enorme è il loro potere, anche rispetto agli stati sovrani, che «sovrani» in realtà non sono del tutto, dato che le loro politiche agricole e alimentari vengono di fatto condizionate dall’azione delle corporations del settore.
Oggi queste ultime sono in grado di operare in regime di oligopolio quando non di monopolio, come nel caso delle multinazionali che controllano il mercato delle sementi. Una decina di corporation gestisce il 70% cibo mondiale.
Tornando alla Cina, va ricordato che il governo di Pechino nell’ultimo periodo ha dovuto fare fronte alle proprie necessità di cereali e soia ricorrendo ai mercati esteri, fatto che ha riconfermato lo storico problema della soddisfazione dei bisogni alimentari della sua popolazione in cima alle priorità inscritte nella propria agenda.
La Cina Popolare è una potenza economica che ovviamente persegue un proprio disegno egemonico mondiale. Per realizzarlo esercita influenze sui paesi suoi partner mediante una conversione della propria forza economica in potere politico.
Attualmente, nel quadro del confronto globale con gli Usa il peso politico di Pechino a livello mondiale non corrisponde a quello politico, di conseguenza è costretta a cercare sponde nei Paesi che di volta in volta divengono suoi alleati.
Ed ecco quindi spiegata l’importanza strategica dei Paesi in via di sviluppo, soprattutto di quelli più affamati. Si pensi all’Africa, dove gli Stati del continente rappresentano un terzo di quelli presenti all’ONU.
Una volta entrati nella sfera di influenza cinese faranno la differenza, riequilibrando le posizioni di forza all’interno dei consessi internazionali. Forse questa votazione per l’elezione alla carica di Segretario Generale della FAO ne è stata un esempio.
Qu Dongyu, il cui insediamento è previsto per il 1º agosto prossimo, resterà in carica fino al 2023.
Su questi argomenti di seguito è possibile ascoltare l’intervista registrata oggi con Carlo Triarico (A163).