Il processo che avrebbe condotto l’Occidente al massacro della classe media e all’esplodere dei risentimenti covati negli ultimi decenni risale a qualche tempo prima del 1989, esso si colloca nel periodo del premierato di Margaret Thatcher nel Regno Unito e della presidenza di Ronald Reagan negli Usa.
In nuovo ordine neoliberale si afferma infatti a partire dalla fine degli anni Settanta, quando inizia la demolizione della socialdemocrazia. I sistemi informati a quest’ultima subiscono forti scosse da un liberismo rampante che non esita – anche nella propria autorappresentazione – nel potare ogni rivestimento democratico da sé.
Come sempre il messaggio è estremamente semplice e conciso: ci vuole uno stato meno presente e attivo nell’economia e nella società, niente cittadinanza attiva ma blande forme di assistenzialismo. In sostanza, saranno soltanto le poche risorse pubbliche rimaste disponibili a essere distribuite agli “ultimi”.
Principio informatore e mito diviene quello che se dalla tavola imbandita dove mangeranno i ricchi sempre più ricchi cadranno in terra delle briciole, beh, di esse potranno nutrirsi i poveri.
Il combinato composto di tutto questo sarà appunto lo stato minimo con dei suoi residui assistenziali, una condizione che impedirà alla politica (invero quasi sempre allineata al paradigma dominante) il varo di politiche sociali innovative e di ampio respiro.
È il trionfo della globalizzazione, con la sua “narrativa” che regge, però, fino a un certo punto. I primi segnali di scricchiolio della costruzione si registrano all’inizio del nuovo millennio, quando esplodono alcune bolle finanziarie.
Il liberalismo è dunque in difficoltà, almeno quel liberalismo conosciuto negli ultimi tre decenni. Gli inquietanti segnali premonitori che si manifestano non sono altro che il preludio alla grande crisi del capitalismo globale che si verificherà nel 2008, con devastanti effetti sulle economie globalizzate dell’intero pianeta.
È in questa fase che riemergono forme di populismo, esse si associano all’idea sovranista che si alimenta dalle delusioni e dai drammi dell’impoverimento e del crollo dei livelli di qualità della vita.
Nel quadro di una verticale del potere che va accentuandosi (da sistemi democratici sovrani a “democrazie controllate”) il populismo esplica sé stesso, instaurando, dove ne rinviene le condizioni ottimali per farlo, rapporti diretti (dunque non più mediati) tra l’indefettibile figura carismatica del leader e le masse.
Parallelamente viene attuata la strategia che prevede l’accantonamento delle grandi tematiche del conflitto sociale – una sostanziale “distrazione di massa” – e la contestuale attribuzione delle responsabilità del disastro alle élite finanziarie globaliste (che in effetti qualche responsabilità ce l’hanno).
Il messaggio non può che fare presa su popolazioni che al loro interno hanno visto impoverirsi e assottigliarsi le classi medie, laddove il divario tra i ricchi e i sempre più numerosi poveri va ampliandosi. Ma non basta, a questo si aggiungono le paure ingenerate nella gente da un altro enorme problema irrisolto e mal gestito (che forse sarebbe meglio definire «evento epocale», dunque non più problema), l’immigrazione incontrollata.
Diviene facile la presa sulle opinioni pubbliche delle argomentazioni degli esponenti di movimenti e partiti sovranisti e anti-sistema. I messaggi sono semplici e indicano soluzioni radicali e immediate ai problemi.
Il sovranismo attecchisce nel corso di una fase di destrutturazione politica già iniziata prima di lui, ma entra egualmente in gioco e ne prende parte. Si assiste dunque alla forte spinta per la decomposizione dei corpi sociali, alla liquefazione dei corpi intermedi e delle soggettività politiche.
La rivolta antipolitica – che, va ricordato, nei termini del confronto democrati ha piena legittimità – tende a sostituire le vecchie categorie della destra e della sinistra con una tecnocrazia del popolo, evidenziando però una propria natura conservatrice rispetto ai rapporti sociali ed economici esistenti.
Cosa succede però? Che il potere economico, le élite nemiche, si libera della mediazione politica preesistente, col risultato che scompare l’intermediazione statale e quindi tutto si gioca sui mercati internazionali.
In quest’ottica le classi dirigenti, la politica cosiddetta, manifestano evidenti limiti: non favoriscono la competitività a livello globale, non garantiscono la progettualità globale e neppure la stabilità. È la crisi del modello democratico. Non è dunque casuale che figure come Trump, Xi Jinping e Putin siano divenute paradigmatiche.
Ma attenzione, poiché una volta abbattute le preesistenti classi dirigenti per le élite i sovranisti possono divenire un’arma a doppio taglio, in grado cioè di metterne a repentaglio gli interessi. È possibile che si crei un mostro.
Se la rivolta sovranista ha virato verso destra, in un impeto di reazione di massa, è stato perché non era disponibile un’offerta politica sufficientemente innovativa. E qui siamo alle responsabilità di una sinistra che ha aderito incondizionatamente a una visione tecnocratica dell’integrazione europea guidata attraverso l’ottica liberista, rivenduta alle opinioni pubbliche come un liberalismo temperato di solidarismo, una “globalizzazione buona”.
È stato l’assorbimento nel “partito delle compatibilità europee”, della stabilità dei mercati, delle élite, ma si è visto che non ha portato lontano e il danno ormai è fatto.
Invece, episodi di rivolta popolare come quella espressa dai consensi elettorali attribuiti a formazioni (anti) politiche come il Movimento cinque stelle non andrebbero assolutamente sottovalutati, essi hanno infatti alimentato dal basso il fenomeno populista e quindi ne vanno colti anche gli elementi di verità. L’assunto alla base di un tale atteggiamento è quello che non esiste nulla di autentico del quale una forza democratica e progressista non possa appropriarsi.
Nell’ultimo saggio del professor Michele Prospero, “La ribellione Conservatrice” edito per i tipi di Edup, presentato ieri a Roma alla Upter, populismi e sovranismi vengono analizzati nel dettaglio nelle loro versioni storiche e geografiche.
Di seguito, su insidertrend.it, è fruibile la registrazione integrale del dibattito che ha avuto luogo ieri.
A147 – POLITICA, CRISI DELLA DEMOCRAZIA: POPULISMO E SOVRANISMO, presentato a Roma il saggio “La ribellione conservatrice, il populismo italiano tra movimento e regime”, di Michele Prospero.
Università Popolare di Roma (Upter), 4 giugno 2019, interventi di: MICHELE PROSPERO (docente di Filosofia politica presso l’Università La Sapienza di Roma), BRUNO GRAVAGNUOLO (giornalista e saggista), MASSIMO D’ALEMA (già parlamentare della Repubblica e Presidente del Consiglio dei ministri), PAOLO FRANCHI (giornalista)