MEDIO ORIENTE, Israele. Politica, crisi governo Netanyahu ed elezioni anticipate

Nella storia dello Stato ebraico non si era mai verificato che venissero indette due consultazioni elettorali per il rinnovo della Knesset nello stesso anno. Il leader del Likud verrebbe dato come favorito nei sondaggi alle prossime elezioni indette per il 17 settembre, ma potrebbe trovarsi costretto a ricevere il sostegno da un’estemporanea aggregazione di partitini estremisti minori

Meno di due mesi fa il Likud era stato premiato nelle urne e Benjamin Netanyahu aveva vinto il suo duello con lo sfidante Binyamin (Benny) Gantz, assicurandosi 35 seggi al parlamento israeliano.

Era stato proprio Netanyahu ad aprire la crisi politica nel Paese portandolo alle urne e poi vincendole, con il suo partito che otteneva cinque seggi in più rispetto a prima.

Nella successiva trattativa politica con gli altri partiti, necessaria alla formazione di destra per arrivare ad avere una maggioranza utile alla formazione del governo (almeno 61 parlamentari sui complessivi 120), Netanyahu non è però riuscito a mettere insieme una coalizione solida, nonostante fosse andato vicino all’aggregazione di 65 deputati.

Nelle alchimie del dopo-voto aveva quindi quasi assaporato il successo del suo quinto mandato da premier, ma lo scontro col suo alleato e già ministro della difesa nel precedente gabinetto di centro-destra, il leader di Yisrael Beytenu Avigdor Liebermann, che ha sostenuto i governi del Likud a guida Netanyahu fin dal 1996.

Yisrael Beytenu (Israele la nostra casa) è una formazione politica di orientamento laico che raccoglie numerosi consensi tra gli ebrei russi immigrati a partire dalla fine degli anni Ottanta. Lo stesso Liebermann, che in gioventù ha lavorato come buttafuori nei locali, è nato nella Moldavia quando questa era una repubblica sovietica, parla correntemente la lingua russa ed è stato uno degli artefici della recente liaison tra lo stesso premier israeliano e il presidente della Federazione russa Vladimir Putin.

Liebermann «ha ucciso il bambino nella culla», ha spaccato la coalizione di governo mentre questa era ancora allo stato potenziale, approfittando di una fase di difficoltà sul piano giudiziario del premier in pectore forse per prenderne il posto come leader di centro-destra in Israele.

Tradizionalmente, le coalizioni governative nello Stato ebraico sono estremamente variegate, nel senso che vi fanno necessariamente parte formazioni politiche di varia natura, sia sociale che religiosa, quando non etnica come nel caso di Yisrael Beytenu. È una conseguenza del sistema elettorale, che pone ai partiti in lizza una soglia di sbarramento molto bassa per l’accesso alla Knesset, il 3,25% dei consensi.

Ufficialmente, a provocare la crisi sarebbe stata la vessata questione dell’esenzione dal servizio militare obbligatorio degli studenti ebrei ortodossi, tuttavia è innegabile che osservando la vicenda in controluce si intraveda la filigrana della dura competizione per la leadership politica nazionale.

Lieberman ha posto come condizione dirimente la fine di questo privilegio, che in precedenza era invece stato sempre mantenuto dal Likud, bisognoso del sostegno politico dei piccoli partiti religiosi per la formazione dei suoi governi. Dal canto loro questi ultimi non avrebbero mai appoggiato alcun esecutivo se questo non avesse fornito la garanzia del mantenimento di tale dispensa.

Il passo indietro di Yisrael Beytenu ha dunque privato Netanyahu dei cinque seggi alla Knesset a lui indispensabili al varo del suo nuovo governo e la Knesset ha votato il proprio autoscioglimento, un’ulteriore anomalia che si aggiunge a quella di due consultazioni ravvicinate in un lasso di tempo così breve, fatto che in Israele non era mai accaduto.

“Bibi” è stato granitico nel portare il Paese a nuove elezioni, anche perché la fine della legislatura ha impedito al presidente della repubblica Reuven Rivlin di conferire eventuali incarichi esplorativi ad altri esponenti politici, magari al quel Benny Gantz che era stato il suo sfidante e outsider nel corso dell’ultima campagna elettorale.

Adesso si apre quindi una lotta senza quartiere e senza esclusione di colpi tra i due contendenti alla leadership, poiché le prossime elezioni anticipate sono state indette per il prossimo 17 settembre. Netanyahu ha scelto di cavalcare la tigre e per farlo dovrà distruggere politicamente Lieberman impedendogli così di superare col suo partito la soglia di sbarramento alla Knesset.

Netanyahu ha bisogno di una maggioranza affidabile e malleabile, poiché nelle condizioni nelle quali si trova (su di lui pendono dei procedimenti penali per uso illecito di fondi pubblici e di concussione) ha la necessità di fare approvare al più presto dal parlamento la controversa legge che introdurrà l’immunità penale del premier in carica.

In ottobre dovrebbero avere luogo le prime escussioni di Netanyahu da parte della figura apicale del potere giudiziario dello Stato ebraico, fase che potrebbe portare a un rinvio a giudizio del leader del Likud. Qualora le accuse rivolte dovessero trasformarsi in una imputazione, questi sarebbe costretto a rassegnare le dimissioni da primo ministro e a sottoporsi al giudizio in tribunale.

Se in settembre Netanyahu vincerà le elezioni e sarà in grado di formare un esecutivo senza l’apporto dell’ex alleato Lieberman, probabilmente, attraverso una trattativa politica con i partiti minori che formeranno la sua coalizione, riuscirà a varare l’agognata legge sull’immunità.

Questo passo, tuttavia, non sarebbe privo di conseguenze per la democrazia israeliana, poiché rappresenterebbe un precedente sulla strada dell’involuzione del sistema basato sulla tripartizione dei poteri dello stato.

Il focus è dunque concentrato sulle prossime elezioni politiche del 17 settembre, alle quali Netanyahu al momento viene dato come favorito.

Infatti, da un sondaggio commissionato dal quotidiano “Maariv” emergerebbe che il il Likud, potrebbe aggiudicarsi 37 seggi alla Knesset, quindi due in più rispetto ai 35 ottenuti alle elezioni generali tenutesi nell’aprile scorso e, se il ministro della giustizia Ayelet Shaked dovesse unirsi al partito di Netanyahu, (un accordo che sembra si stia già preparando e che probabilmente si concretizzerà), questo potrebbe ottenere anche 41 seggi.

Un successo che verrebbe reso possibile dal sostegno fornito al Likud dal partito centrista Kulanu, guidato dal ministro delle finanze uscente Moshe Kahlon, che all’inizio della settimana ha accettato di unirsi a Netanyahu. Alle precedenti elezioni politiche Kulanu aveva conseguito quattro seggi alla Knesset.

Al contempo, gli stessi sondaggi darebbero l’opposizione in lieve calo, con il blocco Blue and White (Kahol Lavan) attestato a 33 seggi, due in meno  rispetto ai 35 che aveva ottenuto in aprile, mentre Yisrael Beitenu li aumenterebbe da cinque a nove. La probabile causa di questa conferma risiederebbe nell’orientamento della base elettorale del partito di Lieberman, composta da russofoni, ebrei laici, molti dei quali di recente immigrazione, che vorrebbero ridurre il potere esercitato dai partiti ultra-ortodossi in parlamento, lo Shas e United Torah Judaism (UTJ).

Cifre, queste, che sono state sostanzialmente confermate anche da un altro sondaggio, stavolta del canale televisivo Channel 13.

Tutti fanno già i conti, ma non è detto che i pronostici vengano poi rispettati alla lettera. Anche senza i nove seggi di Lieberman, una coalizione guidata da Netanyahu otterrebbe 63 seggi. Una maggioranza certamente precaria, che tuttavia eviterebbe il ripetersi di uno stallo come quello che ha bloccato la politica israeliana nelle ultime sei settimane di stallo.

Però, se qualcuno dei partiti minori non dovesse raggiungere la soglia di sbarramento, “Bibi” si verrebbe a trovare nuovamente in difficoltà. Di questi tempi uno dei fantasmi che lo perseguitano è New Right, il partito di Naftali Bennett che non c’è riuscito.

Ma sono comunque molti i partitini minori come il New Right – i “duri e puri” di Zehut e Otzma Yehudit, erede ideologico del fuorilegge Kach, creatura del rabbino Meir Kahane -, che potrebbero unirsi e fare così fronte comune e poi contribuire al sostegno del Likud.

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