CRIMINALITÀ, ‘ndrangheta. Crotonese, colpiti clan locali: 35 arresti e sequestri di beni

L’operazione «mala pianta» è stata portata a termine dalla Guardia di Finanza, che ha operato su disposizione della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro avvalendosi del supporto dello Scico. Smantellato il potente «locale» di ‘ndrangheta di San Leonardo di Cutro. Il lavoro degli inquirenti in un ambiente reso ancor più difficile dalle probabili infiltrazioni di “talpe”

Nel corso della notte, oltre duecentocinquanta militari della Guardia di Finanza di Crotone e di altri reparti di stanza in Calabria, col concorso dello Scico (Servizio Centrale di Investigazione sulla criminalità organizzata), hanno arrestato trentacinque persone, destinatarie di provvedimenti emessi dalla Procura della Repubblica di Catanzaro.

Le accuse formulate a loro carico sono associazione di stampo mafioso,  traffico  di  stupefacenti,  estorsione,  usura,  porto  e  detenzione  illegale  di armi e  intestazione  fittizia  di  beni. Su tutti questi reati pesa l’aggravante derivante dalle  modalità  mafiose.

Attraverso i provvedimenti emanati dalla Direzione distrettuale antimafia diretta dal Procuratore capo Nicola Gratteri è stato possibile smantellare  la  potente  «locale»  di  ‘ndrangheta  di  San Leonardo di Cutro, in provincia di Crotone.

Le indagini hanno portato alla luce l’esistenza di una consorteria ‘ndranghetista facente capo alle famiglie Mannolo, Trapasso e Zoffreo, con  ramificazioni non soltanto  in  Calabria ma  anche in Puglia, Lombardia,  Veneto,  Emilia  Romagna e all’estero.

Gli interessi criminali accertati vertevano nel campo degli stupefacenti – nel quale gli inquirenti ritengono vi fosse un dominio incontrastato dei traffici nelle province di Crotone e Catanzaro – e l’usura a danno di diversi imprenditori anche nell’Italia settentrionale.

la locale di San  Leonardo  di  Cutro avrebbe esercitato per anni la sua influenza sulla gestione dei villaggi turistici nel territorio sottoposto al suo controllo, attraverso una costante quanto pesantissima vessazione posta in essere con  l’imposizione  di  proventi  estorsivi,  di  assunzioni  di  lavoratori, nonché di fornitura di beni e servizi, annullando di fatto il libero mercato e la concorrenza.

I notevoli proventi derivanti dalle attività illecite venivano successivamente riciclati anche attraverso il ricorso a investimenti nei settori della ristorazione, dell’edilizia e della distribuzione di carburanti.

La cosca san leonardese avrebbe agito in rapporti di dipendenza funzionale con la cosca Grande Aracri, egemone sulla provincia. Ulteriori indagini condotte nel corso degli ultimi anni hanno inoltre consentito l’acquisizione di significativi elementi indicativi della crescita del potere e dell’influenza criminale  delle famiglie di San Leonardo di Cutro.

Elementi che troverebbero piena conferma nell’Operazione «Malapianta», coronamento di difficilissime indagini condotte dalla Guardia di  Finanza  di  Crotone  a  partire  dal  2017. La locale sanleonardese viene ritenuto un’organizzazione estremamente coesa, strutturalmente complessa e altamente organizzata.

Lo confermerebbe la mole di dati riferiti dai collaboratori di giustizia che ha confermato  l’esistenza  di  un  locale  di  ‘ndrangheta  a  San  Leonardo  di Cutro  a  partire  almeno  dagli  anni  Settanta,  con appartenenza  al  «Crimine» crotonese/catanzarese,  pertanto, nella filiera delle relazioni gerarchiche interne alla ‘ndrangheta,  riconosciuta  da parte  del superiore  livello rappresentato dal Crimine di Polsi.

La  ‘ndrangheta  san  leonardese nel  corso  dei  decenni ha ovviamente diversificato  le sue attività criminali, passando dal contrabbando di sigarette al narcotraffico, all’usura e alle estorsioni.

Mediante un capillare controllo del territorio le cosche si assicuravano riguardo alla presenza o meno di soggetti “sospetti” o di uomini delle forze dell’ordine, delle quali gli ‘ndranghetisti erano addirittura in grado di ottenere informazioni sulle imminenti operazioni da queste ultime programmate, informazioni ricevute attraverso una «rete di fonti e connivenze» definita dagli inquirenti «oscura».

Si ritiene, infatti, che le organizzazioni criminali possano avere dei referenti, delle capacità di penetrazione, anche all’interno di ambienti istituzionali, seppure al momento non sia in grado di specificare quali e a quale livello.

Sulla base delle risultanze delle indagini l’approvvigionamento degli stupefacenti avveniva presso le cosche del Vibonese, di Catanzaro e di Reggio Calabria. La ramificazione delle piazze di spaccio (hashish, cocaina ed eroina), invece, copriva principalmente le zone di Crotone, Isola di Capo Rizzuto, Botricello parte del catanzarese e del cosentino.

In particolare su Crotone la  base operativa dello spaccio (si tratta della principale “piazza” della città) era situata nel quartiere di via Acquabona, un “fortino”  praticato dalla malavita affiliata alle ‘ndrine, un ambiente caratterizzato da un reticolato di abitazioni, per lo più  abusive,  connesse  l’una all’altra da una fitta  trama di  vialetti  transitabili esclusivamente, l’ideale quindi per le «vedette» dello spaccio.

 

Locale. Nella terminologia in uso alla criminalità organizzata calabrese la «locale» è l’organismo a livello territoriale sul quale si articola la ‘ndrangheta, con competenza su uno o più centri abitati della stessa zona. Nella tradizione criminale la «locale principale» – al quale le varie consorterie dovrebbero chiedere l’autorizzazione per esercitare il controllo su un determinato territorio – ha sede nel paese di San Luca, dove presso una sua contrada si trova il santuario di Polsi, luogo di riunione degli affiliati alle cosche.

Crimine. Col termine «crimine» viene indicata la funzione ricoperta dall’affiliato al quale viene fatto carico della responsabilità delle azioni criminali della locale di ‘ndrangheta.

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