MEDIO ORIENTE, Libano. Hīzbūllāh festeggia l’anniversario del ritiro israeliano dal sud del Paese

Il 25 maggio del 2000 Tsahal si ritirò dal Paese dei cedri dopo un’occupazione militare durata ventidue anni. La situazione era divenuta insostenibile e le perdite eccessive, mentre la milizia collaborazionista dell’Armée du Sud si stava sfaldando. Il Partito di Dio consolidò così il suo controllo sul Libano meridionale, giungendo a diretto contatto con la recinzione di confine con lo Stato ebraico, la “Linea blu” presidiata dall’Onu

Le bandiere nazionali e quelle gialloverdi di Hīzbūllāh sventolano nelle piazze e nelle strade di Beirut, il 25 maggio si è celebra il diciannovesimo anniversario del ritiro militare israeliano dal Libano.

Il presidente della Repubblica, generale Michel Aoun, ha dichiarato pubblicamente che «il 25 maggio è il giorno della resistenza e della liberazione, questo giorno è la prova che la determinazione del popolo finirà per prevalere sulle difficoltà, l’ingiustizia e l’occupazione».

Nella primavera del 2000 Tsahal era ancora nel sud del Paese, tuttavia si trovava sotto pressione a causa della continuativa azione delle milizie sciite del Partito di Dio, l’organizzazione politico-militare libanese strettamente legata a Siria e Iran.

Dopo ventidue anni di occupazione i soldati con la stella di Davide se ne andarono, costretti dalla tenacia e dalla metodica pianificazione e conduzione delle operazioni sia di guerriglia che psicologiche, oltreché ai non pochi limiti evidenziati dallo strumento difensivo israeliano, così diverso da quella forza che aveva combattuto vittoriosamente le guerre del 1967 e del 1973.

Si trattò della prima seria sconfitta delle forze armate più potenti e moderne del Medio Oriente, un evento dai molteplici effetti, non ultimo quello dell’accrescimento del potere e dell’influenza dello stesso Hīzbūllāh.

Nel corso del lungo periodo di occupazione le forze armate dello Stato ebraico videro cadere quasi 900 dei loro soldati.

 

Israele, presenza militare in Libano. Tsahal era presente in Libano fin dal 1978, quando il 14 marzo invase il paese confinante attestandosi dalla linea di frontiera a quella naturale tracciata dal fiume Litani allo scopo di costituire una fascia di sicurezza che ponesse Israele al sicuro dalle infiltrazioni dei commando palestinesi e dai tiri di artiglieria e dal lancio di razzi dell’Olp.

Gli effetti dell’esodo forzato degli uomini di Yasser Arafat dalla Giordania e il loro trasferimento nel Libano, dove negli anni seguenti al “settembre nero” del 1970 avrebbero consolidato le loro posizioni, mutò la situazione alla frontiera israelo-libanese, fino ad allora per Tel Aviv relativamente meno preoccupante degli altri.

La radicale alterazione dello scenario in essere fu provocata da una strage terroristica compiuta da un commando palestinese infiltratosi nel territorio dello Stato ebraico, il cosiddetto «massacro della strada costiera Tel Aviv-Haifa», perpetrato l’11 marzo 1978, nel quale perirono trentasette civili israeliani.

In precedenza nessuna incursione dal Libano aveva mai provocato un numero così elevato di vittime, colpendo al contempo il cuore del Paese.

La rappresaglia contro i palestinesi in Libano si concretizzò nell’Operazione Litani, concepita per colpire duramente i guerriglieri dell’Olp presenti oltre la frontiera settentrionale di Israele.

In precedenza, sconfinamenti nei distretti meridionali del Paese dei cedri da parte di unità militari dirette dal Comando Nord di Tsahal si erano verificati, ma erano state di breve durata e molto spesso mirate su obiettivi specifici.

Addirittura accadde che, nella prima metà degli anni Settanta (dunque prima che divampasse la lunga e cruenta guerra civile libanese), gli israeliani tentassero di sfruttare le divisioni tra le fazioni nel paese confinante per istituire una sorta di protettorato ricorrendo all’alleanza con la popolazione sciita del sud.

In quella fase storica gli sciiti libanesi erano in rapporti antagonistici con i palestinesi, quindi potenzialmente utili nel contrasto di questi ultimi nel tentativo di limitarne le incursioni.

Era la cosiddetta politica del «recinto buono», che tuttavia Tel Aviv non seppe o non riuscì a porre concretamente in pratica e che dunque sfumò.

L’Operazione Litani fu un sostanziale insuccesso che valse forse soltanto a placare la rabbia dell’opinione pubblica israeliana montata dopo la strage sulla strada costiera. Il grosso delle forze palestinesi si erano ritirate a nord del fiume Litani, con l’unico risultato dell’arrivo di un nuovo contingente di caschi blu, l’Unifil, che prese posizione dopo il ritiro israeliano avvenuto il 31 giugno.

Il successivo consolidamento della struttura militare dell’Olp nel Libano meridionale mise la guerriglia palestinese (divenuta nel frattempo una forza militare semi-regolare) nelle condizioni di intensificare gli attacchi contro gli insediamenti israeliani dell’alta Galilea. Le conseguenti, puntuali rappresaglie delle forze armate dello Stato ebraico contro l’intera popolazione del sud del Libano, zona prevalentemente sciita, costrinse all’esodo i profughi, che trovarono rifugio nei sobborghi meridionali della capitale Beirut.

Il graduale spostamento del baricentro delle attività operative dell’Olp da Amman (Giordania) e dal fiume Giordano su Beirut e il Libano meridionale contribuì alla destabilizzazione del Paese dei cedri, coinvolgendo i guerriglieri palestinesi nei combattimenti della guerra civile al fianco delle sinistre libanesi e delle milizie musulmane.

Nel maggio-luglio 1981 i pesanti bombardamenti e i raid israeliani sulle posizioni dell’Olp nel Libano meridionale non eliminarono la minaccia rappresentata dai guerriglieri di Arafat, che invece si consolidarono a ridosso del confine con lo Stato ebraico.

 

Operazione Pace in Galilea. Nell’agosto 1981 Ariel Sharon divenne ministro della difesa, al vertice dello strumento militare dello Stato ebraico vi fu quindi un triumvirato di impronta marcatamente nazionalistica (secondo governo del Likud: premier Menachem Begin, ministro della difesa Sharon e capo di stato maggiore Rafi Eitan).

L’obiettivo israeliano viene fissato nell’eliminazione della minaccia costituita dall’Olp mediante l’assestamento di un colpo decisivo.

In parallelo, però, viene perseguito anche un altro obiettivo strategico: l’annessione dei territori palestinesi occupati, West Bank e Striscia di Gaza, cioè la “Grande Israele” agognata da Sharon.

Lo Stato ebraico scivola velocemente verso l’intervento milita.re diretto in Libano. Sarà la cosiddetta Operazione “Pace in Galilea” dell’estate 1982.

Dopo il ritiro dei combattenti dell’Olp dal Libano (21 agosto) e l’elezione del cristiano-falangista Bashir Gemayel alla presidenza della Repubblica libanese, col quale gli israeliani erano alleati ma nel quale tuttavia non nutrivano eccessiva fiducia, nel tentativo di proteggere i propri confini settentrionali Tel Aviv si affidò sempre più alla milizia di Sa’ad Haddad, al quale consentì di spostare la sua Armée du Sud fino alla linea del fiume Awali.

Sulla base dell’accordo siglato il 17 maggio 1983 il Libano (presidente Amin Gemayel) pose termine allo stato di belligeranza con Israele, a un certo gradi di normalizzazione delle relazioni reciproche e al controllo congiunto tra Armée libaneise e Tsahal della zona meridionale al confine con lo Stato ebraico.

 

Guerriglia sciita nel Libano meridionale. È in questa fase che le milizie sciite libanesi saldano la loro alleanza con la Siria di Assad costretta ai margini nel Libano a causa della sconfitta militare subita, e avviano una campagna di attacchi mirati contro obiettivi israeliani e occidentali che si protrarrà fino ai primi mesi del 1984. Quasi contemporaneamente, i gruppi sciiti legati all’Iran iniziano a sequestrare cittadini statunitensi presenti in Libano.

Inizialmente gli sciiti dei distretti meridionali (guidati dal loro principale movimento di riferimento, Amal) si erano impegnati contro gli israeliani senza eccessivi entusiasmi, approvandone in un primo momento addirittura l’invasione militare del proprio paese, in quanto funzionale all’eliminazione delle strutture locali dell’Olp.

I battaglioni della resistenza libanese Amal (in arabo speranza) erano stati costituiti nel 1975 come milizia del Movimento dei diseredati (Harakat al-Mahrumin) , un’organizzazione nata l’anno prima per volontà dell’imam Musa Sadr, autorevole esponente della comunità religiosa sciita libanese che aveva ricevuto un’istruzione teologica in Iran e che scomparve misteriosamente in Libia nel 1978.

Scopo del Movimento dei diseredati era l’organizzazione e la mobilitazione della comunità sciita in Libano, componente sociale più povera e tradizionalmente ai margini della vita sociale del paese.

Molto prima dell’Operazione Pace in Galilea, l’intelligence israeliana venne a conoscenza del sostegno fornito agli sciiti libanesi dallo scià di Persia allo scopo di mantenerli lontani dalle posizioni dell’ayatollah Ruollah Khomeini, negli anni Settanta esule in Francia, una manovra a cui però pose fine la rivoluzione del 1979 che in Iran portò all’istituzione della Repubblica islamica.

Amal divenne una formazione permeata da elementi radicali filo-iraniani che, ben presto, saldatisi al movimento della Chiamata islamica (al-Daw’wa al-Islamiyya), all’Associazione degli studenti musulmani e a quella degli Ulama, avrebbe dato vita a una fazione dissidente divenuta poi il nucleo originario di Hīzbūllāh.

È in questa fase che il rancore della popolazione sciita nei confronti dell’occupante israeliano si trasformò in resistenza attiva contro Tsahal, una dinamica prevista da Aman (Agaf Modi’in, sezione informazioni militari) che tuttavia non venne adeguatamente tenuta in considerazione a Tel Aviv dai vertici politico-militari del tempo.

Questa fazione sciita libanese, assieme a parte dei guerriglieri palestinesi, formò il Movimento di resistenza nazionale, nei confronti del quale Tsahal avrebbe avuto poche possibilità di neutralizzarlo.

 

Hīzbūllāh, prima fase di attività. La campagna di guerriglia anti-israeliana in Libano ebbe inizio alla fine del 1982 mediante isolati attacchi effettuati da piccoli nuclei della sinistra libanese, poi però venne gradualmente controllata e condotta sul campo da Hīzbūllāh, da ciò che restava dell’Olp e, in seguito, anche da parte dei miliziani di Amal, a quel tempo l’organizzazione sciita libanese maggiormente consistente.

Da questo momento si intensificheranno le attività guerrigliere e terroristiche, che si attesteranno su una media di un centinaio attacchi al mese, provocando tra i militari israeliani centinaia di vittime. Testimonianza ne furono anche gli attacchi con auto-bombe contro le basi di Tsahal nell’area di Tiro compiuti nel 1982 e nel 1983, dove lo Shin Bet perse  buona parte dei suoi agenti operativi in LIbano.

Questa è la fase nella quale il Partito di Dio opera utilizzando anche sigle di copertura, quali “Lotta per la libertà” oppure “Organizzazione per la difesa degli oppressi sulla terra”, nella quale vengono portati a termine una serie di sequestri di persona, principalmente a danno di occidentali residenti in Libano (è il periodo più caldo dell’utilizzo degli ostaggi nelle trattative internazionali segrete).

Tra il 1983 e il 1988, rivendicando le azioni mediante la sigla “Jihad islamica”, l’organizzazione sciita ispira una serie di attentati contro obiettivi occidentali.

Nel 1985 l’Organizzazione per la difesa degli oppressi sulla terra compie alcuni dirottamenti aerei, tra i quali quello del volo Twa 847 il giorno 14 giugno.

Emergono figure importanti che svolgeranno ruoli di rilievo in seno al movimento, segnandone la storia negli anni a venire: ‘Imad Fa’iz Mughniyah (che il 13 febbraio 2008 verrà eliminato a Damasco per mezzo di un auto-bomba) e Abdul Hadi Chammadi.

In questi anni viene sviluppata la linea politica della «strada per Gerusalemme che passa per il Sud del Libano», elaborata da quello che allora era il segretario generale del movimento, cioè Subchi Tufeili.

Tuttavia in questo momento lo Stato ebraico non costituiva ancora il nemico principale per Hīzbūllāh, rappresentando soltanto uno dei suoi numerosi obiettivi, seppure colpito duramente.

 

Prime criticità israeliane nell’azione di contrasto. Finché si trattò di contrastare il terrorismo dei gruppi palestinesi, ben conosciuti dall’intelligence israeliana, nel Libano le criticità non furono così avvertibili, poiché gli strumenti utilizzati nel contrasto mantennero una loro efficacia. Tuttavia, il quadro della situazione mutò quando furono gli sciiti, seppure in maniera graduale, ad assumere l’iniziativa incrementando la pressione sull’occupante, ampliandone sempre più lo svantaggio sul campo.

Tel Aviv andò incontro a grandi difficoltà nell’identificazione e nella cattura dei guerriglieri sciiti, che godevano di notevole libertà di movimento.

Le criticità di un’occupazione militare divennero evidenti e non fu casuale che lo Shin Bet, il servizio di sicurezza interno dello Stato ebraico, già dalla fine del 1982 venisse gravato della competenza del supporto dell’esercito in Libano, anche se normalmente non operava in territorio nemico come invece facevano regolarmente Aman e Mossad.

Prima dell’Operazione “Pace in Galilea”, infatti, la responsabilità per la raccolta del materiale di intelligence in Libano era competenza dei militari, che soprattutto per mezzo dell’Unità 504 attivava e coordinava gli elementi dell’Aman.

A seguito dell’invasione, però, il premier Menachem Begin stabilì che lo Shin Bet si affiancasse a Tsahal per supportarlo nella prevenzione delle attività ostili a Israele.

Avraham Shalom, allora direttore del servizio di sicurezza interno, criticò questo ulteriore gravoso impegno cui veniva fatta carico la sua struttura, poiché era consapevole che la cosa non avrebbe funzionato efficacemente in un territorio che non fosse militarmente controllato in maniera capillare.

Sta di fatto che nella città di Tiro venne costituito un nuovo centro per il “teatro di operazioni in Libano” a capo del quale venne posto il responsabile del settore settentrionale dello Shin Bet che aveva la sua sede ad Haifa.

Il paradigma fu quello precedentemente seguito nel West Bank e a Gaza: agenti sul territorio, organizzazione di una rete di informatori, case rifugio, centri per gli interrogatori, eccetera.

Le attenzioni vennero concentrate sul «triangolo di ferro» sciita a est di Tiro, specialmente sul villaggio di Maarake, caposaldo di Hīzbūllāh nell’area.

Accadde che, mentre l’opinione pubblica israeliana avrebbe voluto lasciarsi alle spalle la vicenda libanese, le condizioni nelle quali operavano i servizi di intelligence nel Libano occupato andarono gradualmente deteriorando, con effetti deleteri sia sulla popolazione locale che sugli stessi rapporti tra Aman e Shin Bet, che entrarono in crisi, avvelenati da contrasti e dissapori, al punto da portare nel 1987 allo smantellamento dell’organismo centrale di prevenzione, l’Hos.

I modelli di repressione e prevenzione applicati con successo nei territori palestinesi occupati nel 1967 non si rivelarono ripetibili in Libano, dove invece si rivelarono inefficaci e controproducenti, questo anche in ragione della difficile penetrabilità della rete di militanti sciiti.

Hīzbūllāh si dimostrò difficile da penetrare, data l’efficacia della sua sezione di sicurezza preventiva (Sh’ubat al-Amn) e della rigida formazione radicale dei propri militanti, inoltre giocarono a proprio favore anche il capillare welfare garantito nelle zone dove era presente, reso possibile anche dai flussi finanziari provenienti da Iran e Siria.

Da questo momento la milizia sciita avrebbe mantenuto ininterrottamente l’iniziativa militare fino al definitivo ritiro israeliano dal Paese.

 

Consolidamento politico di Hīzbūllāh (1988-91). In questo periodo il Partito di Dio si rafforzò, costituendo una propria effettiva componente militare, anche col sostegno fornito dai consiglieri militari iraniani, che formarono i quadri della milizia sciita.

Nel 1989 Hīzbūllāh entrò in conflitto e sconfisse sul campo l’altra grande formazione politico-militare sciita, Amal. Contestualmente iniziò anche a infiltrare profondamente l’Armée du Sud, che sulla base delle aspettative israeliane avrebbe dovuto controllare la fascia di sicurezza nel Libano meridionale a ridosso della frontiera con lo Stato ebraico.

Colpendo sistematicamente l’esercito occupante, colpendo in massima parte militari di leva e riservisti, alimentò il disagio e i fastidi che l’opinione pubblica israeliana manifestava apertamente da tempo per l’impantanamento in Libano del loro esercito.

Sfruttando questa situazione, gli strateghi del movimento sciita seppero utilizzare magistralmente a proprio vantaggio le molteplici tecniche di guerra psicologica.

Tra il 1991 e il 1995 venne registrato un aumento della sua influenza, effetto combinato di diversi fattori: Hīzbūllāh dette agli sciiti libanesi un’identità religiosa e comunitaria oltre a un welfare diffuso soprattutto tra le fasce più deboli della popolazione, reso possibile dalla sua capillare rete di assistenza sociale.

All’inizio del 1992 il movimento sciita subì un duro colpo dagli israeliani, l’eliminazione di un suo elemento apicale, lo sceicco Abbas Mussawi, che venne eliminato insieme alla sua famiglia nella sua Mercedes blindata da quatto missili lanciati due elicotteri Apache.

Iran e Hīzbūllāh mutarono quindi in parte i termini del confronto. La guida del movimento venne assunta da Hasan Nasrallah, che lo avrebbe condotto alla legittimazione politica sul piano interno, preludio a una piena partecipazione alla società libanese.

Parallelamente opera anche sul piano della propria sicurezza, lanciando allo Stato ebraico tutta una serie di inequivocabili avvertimenti.

Emblematici furono gli attentati contro obiettivi ebraici compiuti in Argentina in risposta all’uccisione da parte israeliana di Mussawi, che rientrava nel quadro della campagna di “eliminazioni mirate” di elementi del vertice e degli agenti operativi del movimento sciita allo scopo di decapitarlo.

Alle eclatanti azioni di Buenos Aires seguirono il fallito attentato ad Antoine Lahad e quello, invece riuscito, al brigadier generale Erez Gerstein, ucciso il 28 febbraio 1999.

Gerstein, comandante dell’unità di collegamento di Tsahal nel Libano, era un ufficiale carismatico e combattivo, conseguentemente, la sua eliminazione mediante una road-bomb fu un duro colpo sia per i militari che la classe politica dello Stato ebraico.

Ehud Barak, politico laburista già militare nei paracadutisti e capo di stato maggiore di Tsahal, subito dopo l’attentato affermò che una volta divenuto premier «avrebbe tirato fuori l’esercito dal Libano». Questo sarebbe avvenuto nel maggio dell’anno 2000.

Hīzbūllāh nel 1995 aveva assunto un atteggiamento politico aperto a tutta la società libanese, diffondendo il messaggio della mobilitazione nazionale per la liberazione del Paese dalla perdurante occupazione israeliana. Contestualmente vennero intensificati gli attacchi ai convogli nemici, le road bombs e le uccisioni di ufficiali di Tsahal e dei loro alleati dell’Els.

 

Il ritiro israeliano dal Libano. Nel maggio del 2000 le truppe israeliane si ritirarono dal Libano meridionale. In questo modo Hīzbūllāh divenne la principale forza nell’area, ottenendo, di fatto, un riconoscimento dal governo di Beirut e l’autorizzazione alla sorveglianza dei confini del Paese con lo Stato ebraico.

La scelta strategica di Barak, nel frattempo divenuto primo ministro, si basava sull’ottimistica convinzione che la guerra d’attrito sarebbe cessata in virtù di quel ritiro unilaterale.

Tuttavia, senza un accordo sul Golan con i siriani le ostilità non avrebbero avuto fine, aspetto dirimente confermato dallo stesso Nasrallah dopo il fallimento dei colloqui di Shepardstown, poiché – affermò in quell’occasione il leader del Partito di Dio – l’attività della sua milizia era legata anche al ritiro israeliano dalle alture occupate nel 1967.

Oggi da allora sono trascorsi quasi vent’anni, durante i quali sarebbero stati combattuti altri conflitti, brevi ma tuttavia a elevata intensità e, come sempre, con uno strascico di polemiche sulla condotta politica e militare delle operazioni.

Nella perenne anomalia libanese oggi Hīzbūllāh è ancora una milizia totalmente indipendente dal governo di Beirut che opera su diversi fronti: quello meridionale alla frontiera con Israele, occasionalmente combattendo negli scontri interni divampati in ambito nazionale, e – come efficacemente dimostrato di recente in Siria – anche come strumento risolutivo nell’ambito delle sanguinose proxi-war regionali a sostegno dei suoi storici alleati, al-Assad e gli ayatollah di Teheran.

Ma quali saranno le sue prospettive future nel mutato scenario mediorientale, nel quale la tensione tra Israele l’Iran diviene sempre più elevata?

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