Gli ultimi sviluppi della scienza hanno ingenerato nell’umanità almeno un interrogativo e una certezza. L’interrogativo è quello relativo alla possibile futura estinzione di uno dei più vecchi mestieri del mondo, quello del becchino, la certezza invece è che – con buona pace del cardinale Borromeo, che suo malgrado non potrà mai venire “fertilizzato” – tutto l’inquietante impianto dell’operazione psicologica nota come «controriforma», col barocco dei tristi cimiteri, Cristi violacei nei sepolcri e marmorei angeli della morte armati di spada posti a presidio dei sepolcri andranno in disuso.
Già, perché ben presto si potrebbe approcciare l’evento “decesso” in maniera diversa, ricorrendo alla salma come a una fonte economicamente ed ecologicamente disponibile.
Ma procediamo per gradi. Intanto va riconosciuto agli americani di essere, come spesso hanno dimostrato anche in passato, all’avanguardia nella ricerca, poiché gli ultimi sviluppi in materia di compostaggio dei resti umani sono il frutto del lavoro di Katrina Spade, una designer quarantunenne di Seattle che ha iniziato a concentrarsi sull’idea nel 2013, quando lavorava al suo master in architettura presso l’Università del Massachusetts.
L’obiettivo iniziale di Spade era progettare un sistema in grado di ripristinare la connessione delle persone alla morte e alle sue conseguenze, in parte recise – a suo personale avviso – dall’industria funeraria. Introdotta da un amico alla pratica agricola di compostaggio del bestiame morto (definita compostaggio di mortalità) comprese come essa dimostrava il contemporaneo mantenimento in sicurezza degli agenti patogeni delle carogne e l’arricchimento dei terreni agricoli.
Da qui l’intuizione di creare un sistema che utilizzasse gli stessi principi del compostaggio della mortalità animale applicato però agli esseri umani. La Spade ha quindi iniziato a lavorare al progetto insieme ai ricercatori della Western Carolina University e della Washington State University.
Esso prevede la collocazione dei resti umani non imbalsamati, avvolti in un sudario, all’interno di un contenitore di forma cilindrica, dove è presente un letto di materiale organico di trucioli di legno, erba medica e paglia. Attraverso la successiva periodica introduzione di aria nel serbatoio viene fornito ossigeno in modo da accelerare l’attività microbica. Grossomodo nel periodo di un mese i resti umani vengono infine ridotti a un metro cubo di compost che, a quel punto, può essere utilizzato per fertilizzare i terreni destinati alla coltivazione o al giardinaggio.
La sicurezza del processo dipende dal mantenimento di una temperatura di 131 gradi Fahrenheit per settantadue ore consecutive, climatizzazione necessaria alla distruzione degli elementi patogeni, un calore che, sempre secondo la Spade, verrebbe generato dai microbi presenti in natura.
Nel 2017 l’intraprendente designer di Seattle ha fondato una società, la Recompose, una società di pubblica utilità Spade fondata nel 2017 per che ha lo scopo di espandere la ricerca e lo sviluppo del concetto da lei stessa elaborato, società che recentemente ha co-sponsorizzato un programma pilota del valore di 75.000 dollari col contributo della Washington State University.
Coordinato dalla ricercatrice Lynne Carpenter Boggs – professore associato di agricoltura sostenibile e biologica nello Stato di Washington -, il programma della durata di cinque mesi, ha ricomposto i materiali messi a disposizione per la ricerca da sei enti donatori in un ambiente attentamente controllato allo scopo di evitare la diffusione di agenti patogeni.
Al riguardo – rilevano i ricercatori impegnati nel programma -, non è possibile effettuare ricomposizione con tutti i cadaveri, poiché alcuni agenti patogeni, come i batteri che causano l’antrace, sopravvivono al compostaggio negli animali, quindi per ragioni di sicurezza dalla ricomposizione verranno escluse le persone con specifiche malattie incompatibili con il processo.
La ricerca si è conclusa nell’agosto 2018 e il suo risultato è stato che la ricomposizione di resti umani è sicura. Ora la Carpenter Boggs prevede di presentare il tutto mediante una pubblicazione scientifica entro l’anno.
Il compost umano aggiunge sostanze nutritive al suolo, migliora le sue capacità di assorbimento dell’acqua e ne riduce l’erosione.
In precedenza, sempre nel 2017, un progetto che includeva l’idrolisi alcalina (ma non la ricomposizione) venne accantonato e il suo promotore Pedersen attribuì all’opposizione della Chiesa cattolica romana quel fallimento. Thomas Parker, un ex lobbista della Conferenza cattolica dello stato di Washington, riferì che la chiesa era preoccupata per i resti umani dissolti finiti nelle fogne.
Tuttavia, il senatore Michael Baumgartner – politico repubblicano che presiedette la commissione per il lavoro e il commercio del Senato in quel periodo – riguardo allo specifico disegno di legge affermò che l’opposizione della Chiesa non aveva svolto alcun ruolo significativo nel suo fallimento. Sospetti non infondati, poiché l’idrolisi alcalina può contravvenire la dottrina cattolica, che richiede un rispetto del corpo umano.
In ogni caso, Katrina Spade ha sottolineato il fatto di non aver ricevuto opposizioni da nessun gruppo religioso o di altra natura e ha anticipato che, in futuro, le famiglie dei defunti potranno scegliere se portare a casa i resti mortali dei loro cari, oppure donarli al fine di fertilizzare la terra.
L’uomo ritornerebbe alla terra rigenerandola. Una prospettiva che potrebbe però preoccupare gli operatori del settore funerario. Infatti, al momento le opzioni percorribili sono tre: tumulazione, inumazione e cremazione. Secondo la National Funeral Directors Associations la cremazione di un cadavere costa intorno ai mille dollari, mentre una sepoltura tradizionale in media ne costa circa settemila, a fronte dei soli cinquemila per i servizi che potrebbero offrire sul mercato società come la Recompose. Cosa succederebbe, dunque, se questa innovativa pratica (come presto potrebbe verificarsi nello Stato di Washington) venisse legalizzata?
E inoltre, quali strade aprirà il compostaggio umano in un mondo affamato a causa dell’esplosione demografica e delle speculazioni finanziarie su materie prime e generi alimentari? Il pianeta si sta forse inesorabilmente avviando verso una realtà che negli anni Sessanta e Settanta veniva rappresentata nei film di fantascienza apocalittici americani del genere di “Soylent Green”?