Esponenziale incremento della tensione nel Golfo Persico, l’US Navy dispiega le sue flotte ed esercita un’ulteriore pressione sulla Repubblica islamica degli ayatollah e gli effetti riflessi nell’intera regione si fanno sentire. trasferendo importanti risorse militari nella regione, tra cui un gruppo di attacco di portaerei e bombardieri con capacità nucleari. La portaerei USS Abraham Lincoln, che guidava un gruppo navale più grande, ha navigato attraverso il Canale di Suez verso il Golfo Persico la scorsa settimana.
Giovedì scorso il segretario di stato americano Mike Pompeo ha minacciato una risposta americana «rapida e decisiva» a qualsiasi attacco eventualmente sferrato dell’Iran, mentre il Pentagono ha poi confermato lo spostamento di una batteria di missili antimissile Patriot in Medio Oriente a scopi preventivi.
Un funzionario americano ha infine dichiarato che la decisione di potenziare il dispositivo militare si basa in parte sull’intelligence, che ha riferito dello spostamento di alcune rampe di missili balistici a corto raggio iraniane presso la costa.
In Israele si temono attacchi iraniani quale eventuale conseguenza degli sviluppi del confronto militare con gli americani. Yuval Steinitz, ministro dell’energia dello Stato ebraico non perde l’occasione e getta benzina sul fuoco della paura: «Nel Golfo le cose si stanno scaldando – ha affermato dai teleschermi dell’emittente Israel Net TV -, c’è una sorta di conflagrazione tra l’Iran e gli Stati Uniti, tra l’Iran e i suoi vicini, non escludo che attiveranno Hezbollah e la Jihad islamica da Gaza, o addirittura che cercheranno di lanciare missili dall’Iran sullo Israele».
Steinitz non è un manichino della Rinascente, è un membro del gabinetto di sicurezza del premier Benyamin Netanyahu, quindi le sue parole dovrebbero avere un peso.
Ma è pensabile che da Teheran venga effettivamente dato un ordine di lancio dei missili contro il territorio dello Stato ebraico? Difficile, gli ayatollah e i loro generali sono perfettamente consapevoli che in quella malaugurata ipotesi verrebbero “vetrificati” in mezz’ora. Più realistica l’ipotesi di un’attivazione proxi di Hezbollah e della Jihad islamica.
La prima è la milizia sciita libanese alleata di Teheran e di Damasco (in verità assai provata dopo il suo vittorioso impiego in Siria contro gli jihadisti del “califfato” di al-Baghdadi), la seconda, anch’essa legata all’Iran, è invece un’organizzazione islamista attiva nei territori palestinesi, in particolare nella Striscia di Gaza ma non solo, che pratica anche il terrorismo come forma di lotta.
Entrambi potrebbero agire sui confini israeliani, ma allo specifico riguardo l’esercito israeliano non ha commentato l’ipotesi relativa a una loro minacce derivante dall’attuale incremento della tensione tra Iran e Usa.
Missili no, ma razzi magari sì, una modalità di attacco ormai divenuta routine per i cittadini dello Stato ebraico.
Sempre nella stessa giornata, ma poco più tardi, sempre Steinitz, stavolta dai microfoni di una stazione radio, ha voluto sottolineare che non era a conoscenza di alcuna informazione particolareggiata sui piani iraniani, ma che a causa della forte pressione economica esercitata sulla Repubblica islamica, nel clima venutosi a creare «tutto potrebbe accadere, poiché – ha affermato – gli iraniani potrebbero impazzire e dichiarare la guerra a tutto il Medio Oriente».
I commenti di Steinitz seguono un rapporto divulgato da Channel 13 venerdì scorso, secondo il quale Israele avrebbe avvertito gli Usa che l’Iran stesse progettando ritorsioni sugli impianti di produzione petrolifera dell’Arabia saudita.
Nel rapporto, del quale non è stata citata la fonte, si afferma anche che gli iraniani starebbero considerando la possibilità del ricorso a «vari atti ostili» contro obiettivi statunitensi. In ogni caso, l’obiettivo principale veniva indicato negli impianti di produzione petrolifera saudita.
Sempre Channel 13, riportando fonti di intelligence di un paese arabo non indicato, ha parlato di un acceso scontro in seno alla leadership iraniana riguardo alla designazione degli obiettivi americani e dei loro alleati che da colpire in caso di ritorsione, con i vertici dei pasdaran che spingevano per colpire anche obiettivi israeliani, mentre altri ammonivano che sarebbe un suicidio farlo, perché avrebbe scatenato un serio conflitto con gli Usa.