TELECOMUNICAZIONI, 5G. Guerra aperta ai cinesi, si combatte sul terreno della disinformacija, stavolta viene smentito bloomberg.com: nel 2011 Huawei non inserì backdoors nel sistema Vodafone

La posta in gioco è troppo alta, quindi su entrambi i fronti non si escludono i “colpi bassi” come le fake news: la paura indotta nell’opinione pubblica può indirizzare il decisore politico su scelte fondamentali quali quelle relative all’adozione delle nuove tecnologie e ai relativi fornitori

Un tempo l’avrebbero definita disinformacija oggi si parla frequentemente di «fake news», tuttavia la sostanza rimane la medesima: condizionare l’opinione pubblica, che ovviamente significa anche condizionare i consumatori.

Il business delle nuove tecnologie è grande, molto grande, in particolare quello del 5G. Dunque la guerra senza quartiere per accaparrarsi i mercati si combatte con le regole convenzionali dell’economia e con quelle non convenzionali più diverse.

E guarda caso la nuova polemica investe l’Italia, il cui governo non ha ancora assunto una posizione del tutto chiara riguardo alle sue relazioni commerciali con la Cina Popolare nel campo delle telecomunicazioni. Ricorrerà al 5G di Huawei e Zte, che sarebbero entrate pienamente nella terza fase di ricerca e sviluppo della tecnologia in questione.

Veniamo al fatto. Di recente è filtrata la notizia che uno dei giganti delle telecomunicazioni, la Vodafone potesse essere stato infiltrato da accessi non autorizzati alla sua rete italiana mediante una backdoor nascosta illecitamente. Una vulnerabilità in essere nel periodo intercorrente tra il 2011 e il 2012, identificata nell’articolo pubblicato ieri dall’agenzia stampa internazionale con sede a New York – «Vodafone Found Hidden Backdoors in Huawei Equipment» – in Telnet, un software comunemente usato nell’esecuzione di funzioni diagnostiche nei sistemi, che – afferma la stessa Vodafone – non sarebbe comunque accessibile da Internet.

Insomma, dopo che martedì scorso la maggiore compagnia telefonica europea aveva sì riconosciuto di aver rinvenuto alcune «vulnerabilità risalenti nel tempo» con le apparecchiature fornite dalla cinese Huawei e utilizzate per lo svolgimento delle attività italiane del vettore, ma non ha specificato (a differenza di quanto ha successivamente riferito bloomberg.com) di avere poi identificato delle backdoor nascoste nel software, cioè di “porte di accesso” che avrebbero potuto fornire al colosso di Shenzhen, strettamente legato allo Stato e al Partito comunista cinese, accesso (ovviamente non autorizzato) alla rete fissa italiana dove opera anche la multinazionale con sede a Londra.

Entrare segretamente nella rete consente di carpire informazioni dagli inconsapevoli utenti di Internet, cioè milioni di famiglie e di imprese.

A questo punto ci sono state le immediate contromosse di Vodafone e Huawei. La prima si è affrettata ad affermare in un comunicato ufficiale che «Bloomberg non è stata corretta nell’affermare che ciò avrebbe dato a Huawei l’accesso non autorizzato alla rete fissa in Italia», puntualizzando poi che allo stato attuale non esistono prove di accessi non autorizzati, «non si trattava altro che la mancata riuscita nella rimozione di una funzione diagnostica dopo lo sviluppo – hanno aggiunto i portavoce della multinazionale -, i problemi sono stati comunque identificati grazie a una serie test di sicurezza indipendenti avviati da Vodafone come parte delle proprie misure di sicurezza di routine e risolti in quel momento da Huawei».

Si sarebbe trattato di una vulnerabilità tempestivamente sanata dai tecnici di entrambe le aziende interessate dal problema, «inconvenienti che sono pressoché all’ordine del giorno», come hanno sottolineato gli uffici stampa e relazioni esterne delle due società, che, per altro, si sono dette «sorprese» per l’eccessivo focus mediatico concentrato su una «vulnerabilità non degna di particolare valore sotto il punto di vista tecnico».

Dal canto suo, Huawei ha tenuto a precisare che era stata informata di queste vulnerabilità e, conseguentemente, aveva adottato le necessarie misure correttive. La vulnerabilità dei software rappresenta una sfida per l’intero settore. «Come ogni fornitore Ict – ha aggiunto l’impresa cinese – disponiamo di un sistema consolidato di rilevazione e risoluzione dei problemi che, una volta identificati, ci permette di lavorare a stretto contatto con i nostri partner per intraprendere l’azione risolutiva più appropriata».

Tutto bene dunque. Nessun problema, assenza di rischi di accessi non autorizzati alla rete in Italia, niente backdoor illecitamente occultate da chissà chi. L’articolo pubblicato da bloomberg.com, dunque, altro non dovrebbe essere considerato che una fake news.

Possibile, tuttavia l’allarme nell’opinione pubblica è stato egualmente ingenerato, e masse di persone sempre più influenzabili dalla cultura del sospetto con ogni probabilità hanno metabolizzato il messaggio.

«Sono le psycological operations baby» avrebbe forse detto qualcuno, «e nulla si fa per nulla…»

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