Si torna a parlare delle omissioni dei politici italiani sul caso Moro, cioè la ritrosia, quando non la vera e propria azione di interposizione di ostacoli, nel procedere su una strada che potesse portare alla liberazione del presidente della Democrazia cristiana sequestrato nel 1978 dai terroristi delle Brigate rosse.
L’ultima voce – che in realtà segue la falsariga di numerose altre nel passato più o meno recente di questo Paese – è quella dell’ex boss della Nuova camorra organizzata (Nco) Raffaele Cutolo, che alla fine degli anni Settanta e nei primi Ottanta combatté in Campania una sanguinosa e spietata guerra contro il “cartello” di clan e sodalizi avversari, genericamente denominato “Nuova famiglia”.
«Potevo salvare Moro ma fui fermato», queste le affermazioni emerse da un interrogatorio risalente a tre anni fa, quando il 25 ottobre del 2016 venne interrogato nel carcere di Parma – dove sta scontando la pena di quattro ergastoli in regime di 41 bis – dai magistrati che indagano su uno dei suoi luogotenenti del passato, quel Pasquale Scotti arrestato dopo trenta anni di latitanza.
Parte dei contenuti di quell’interrogatorio sono stati pubblicati oggi dal quotidiano napoletano “Il Mattino”. Essi sono venuti alla luce a causa di un procedimento amministrativo avviato dinanzi al Tar scaturito a seguito della decisione della Procura di bocciare la collaborazione di Scotti.
Cutolo, nello specifico, parlò della trattativa intercorsa per la liberazione dell’assessore regionale Ciro Cirillo, sequestrato anche lui dalle Brigate rosse e successivamente rilasciato pochi mesi dopo il rapimento, il 27 aprile del 1981, grazie al pagamento di un riscatto di un miliardo e 400 milioni di lire. Egli riferì del suo mancato coinvolgimento nella possibile trattativa per Moro, aggiungendo che il ministro dell’Interno allora in carica, il democristiano Francesco Cossiga, «si rifiutò di incontrarmi».
Al riguardo va ricordato che nel periodo dei cinquantacinque giorni del sequestro Moro il capo della Nco era latitante, tuttavia, lo stesso personaggio in futuro non avrebbe alcuna difficoltà a relazionarsi con spezzoni dello Stato e dei servizi segreti, in particolare proprio quando questi ultimi ebbero l’impellenza di sottrarre dalle mani delle Brigate rosse un elemento di massimo spicco (seppure di livello locale) del partito di maggioranza relativa.
In Campania erano i mesi del dopo terremoto, quelli degli stanziamenti ultramiliardari della ricostruzione. Finanziamenti a pioggia che fecero gola a molti, non soltanto ai camorristi che controllavano buona parte del territorio, che con quei soldi (oltreché con quelli derivanti dalla droga). Poterono compiere il salto di qualità sui piani militare e politico.
Anche le locali correnti democristiane – in quel momento dilaniate da un furibondo scontro intestino per il potere – avevano interesse a che un personaggio di rilievo come Cirillo, assessore regionale ai lavori pubblici e, dopo il disastroso sisma del 1980, vicepresidente del comitato tecnico per la ricostruzione. Un ruolo chiave che lo rese depositario di molti segreti.
È noto che Cutolo incontrò nel carcere di Ascoli Piceno molte persone, compreso il suo luogotenente, quel Vincenzo Casillo assassinato con un ordigno esplosivo pochi mesi dopo mentre avviava il motore della sua Golf GTI parcheggiata nei pressi di Forte Braschi a Roma, la sede del Sismi, il servizio segreto militare.
Al pubblico ministero Ida Teresi e al direttore della Direzione distrettuale antimafia Giuseppe Borrelli il boss detenuto fece riferimento a quella fase storica ancora oscurata da numerose zone grigie, quali quelle delle trattative tra esponenti dello Stato, alcune organizzazioni criminali e i gruppi terroristici.
«Aiutai l’assessore Ciro Cirillo – riferì Cutolo – e potevo fare lo stesso con Moro, ma i politici del tempo mi dissero di non intromettermi». Per Cirillo si mossero tutti, mentre invece per il presidente della Dc nelle mani delle Brigate rosse nessuno fece nulla. «per lui – proseguì il boss – i politici mi dissero di fermarmi perché a loro Moro non interessava».
A distanza di così tanti anni è difficile pensare di poter giungere finalmente alla verità sul più grande mistero della storia repubblicana di questo paese, tuttavia non è detto che prima o poi qualcosa si sappia. Buona parte dei protagonisti dei fatti di allora sono deceduti e, nonostante alcune commissioni parlamentari d’inchiesta abbiano negli anni tentato di fare maggiore luce, sul caso permangono ancora numerose zone grigie. L’ultima è stata quella presieduta dal senatore Giuseppe Fioroni.
insidertrend.it ne ha parlato con Stefania Limiti, giornalista e saggista che sulle tematiche relative alla strategia della tensione, al caso Moro, alle connessioni tra Stato e mafie ha scritto numerosi libri. Con lei, partendo dalla divulgazione delle dichiarazioni di Cutolo, sono stati affrontati gli argomenti in questione: Moro, Cirillo, le omissioni dello Stato e della politica di allora. L’audio dell’intervista è fruibile di seguito.