CRIMINALITÀ, Africa. Mafia nigeriana, una piovra dai tentacoli clanico-tribali presente anche in Italia.

Non più soltanto nel casertano e a Palermo, poiché ora l’organizzazione criminale più potente del continente africano si è ramificata in tutto il Paese. Nascita, sviluppo, storia e attuali modalità di azione; le attività di contrasto nei suoi confronti poste in essere dalle Istituzioni.

Quello relativo alla criminalità organizzata nigeriana è un fenomeno sempre più preoccupante. Ma cos’è davvero la “mafia nigeriana”? Quali sono i suoi interessi? Quale la sua struttura? Oggi è possibile ripercorrerne con precisione le fasi storiche del suo sviluppo. Un tema di scottante attualità che è stato affrontato nel corso del dibattito “Contrasto alla criminalità organizzata come strumento di stabilizzazione in Africa occidentale”, promosso dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e dal Centro Studi Internazionali (CeSI), evento che ha avuto luogo presso la Sala Nigra della Farnesina l’11 aprile scorso.

Origini e sviluppo. La criminalità organizzata nigeriana vede la luce grazie a un processo di mutazione sociale di alcune aggregazioni universitarie giovanili risalenti agli anni Cinquanta, nella fase della lotta per il Black Power. I principali centri urbani allora interessati furono Lagos e Benin City, è all’interno degli atenei di queste due grandi città che prendono vita alcune confraternite formate principalmente dai giovani rampolli della locale borghesia. Il meccanismo è quello classico di questi gruppi, quello della coesione corroborata dalla pratica della violenza e dell’intimidazione per l’autoaffermazione.

Nello spazio di pochi anni questi sodalizi acquisiscono potere e penetrano la società stabilendo saldi legami con settori della politica e, soprattutto, dell’esercito, che in Nigeria rappresenterà per anni il vero livello apicale di uno stato federale sbilanciato tra un nord musulmano e povero e un sud, costiero cristiano e animista, ricco di materie prime e proiettato verso i commerci e il mare.

In questo caso sarebbe dunque errato un approccio di tipo deterministico, che consideri la “mafia nigeriana” quale frutto del disagio, della povertà e delle condizioni di degrado. Al contrario invece, essa nutrendosi delle criticità di natura economica, sociale e financo securitaria, da galassia di confraternite (di secret cult infatti si parlava) che era al suo stato larvale, si evolve successivamente nelle forme di vera e propria organizzazione criminale.

Questo si verifica nella seconda metà degli anni Ottanta, una mutazione che si protrarrà anche nel decennio successivo. È in questa fase che i gruppi, ormai pienamente dediti alle attività criminali, assumono sempre più stabilmente il controllo di vaste porzioni del territorio nelle varie regioni del Paese.

Un incremento della loro potenza viene alimentato dai crescenti volumi finanziari gestiti e, quindi, dalle attività di riciclaggio. Un arricchimento esponenziale reso possibile dalla nuova “funzione” che l’Africa si trova a svolgere, quella di hub per il transito delle sostanze stupefacenti.

Ma la crescita sui piani finanziario e della potenza militare ne accresce anche la valenza su quello politico. È l’ultima fase di trasformazione, quello che vede i gruppi criminali nigeriani applicare il modello della sostituzione delle istituzioni, un modello efficace, che si impone sugli altri perché attraverso la corruzione (già estremamente diffusa nel Paese) “coopta” gli uomini dello stato.

Struttura. Si tratta di gruppi organizzati ramificati e, almeno all’estero, nella loro dimensione transnazionale (network), per il momento ancora mobili. Formatisi su base tribale e regionale hanno costituito strutture difficilmente penetrabili in quanto rispondenti al consolidamento al loro interno di un clima di omertà e alla saldatura del vincolo associativo, ricorrendo a tale fine anche a pratiche rituali di natura magico-religiosa (gli ormai noti riti woodoo e juju) che prevedono un giuramento di fedeltà assoluta verso l’organizzazione.

La loro conformazione e la linea di comando si caratterizzano per l’intercambiabilità di una struttura orizzontale con un’altra verticale, queste si incontrano in un più ampio network (la rete dei gruppi e degli interessi) laddove si generano anche le dipendenze gerarchiche.

Infatti, a volte i gruppi sono organizzati sulla base di una catena gerarchica, soprattutto quando prevale l’affiliazione tribale o seguita a riti di iniziazione, in altri casi, invece, si è riscontrata l’esistenza di sottogruppi aggregatisi esclusivamente allo scopo di concludere un determinato affare o perseguire uno specifico obiettivo. In questo caso il gruppo criminale si caratterizza per la marcata flessibilità.

Dal vertice si articola la filiera costituita dalla logistica dell’organizzazione e le cellule operative che operano sul territorio. I membri di queste ultime in genere non conoscono l’identità dei componenti i livelli superiori e mantengono contati esclusivamente con il soggetto che gli impartisce gli ordini.

Diaspore all’estero. I gruppi criminali nigeriani si sono progressivamente ritagliati spazi di manovra in tutto il mondo, ramificandosi capillarmente in numerosi paesi, a cominciare da quelli africani. Essi hanno dato prova di una elevata capacità adattativa, che costituisce allo stesso tempo un elemento di forte pericolosità e di ostacolo al loro contrasto

L’Italia non è comunque l’unica piazza dove risultano attivi i sodalizi nigeriani, poiché essi sono presenti in forze anche in Olanda, Gran Bretagna, Francia, Germania, Spagna, Belgio e Usa. Nel nostro Paese hanno però raggiunto un notevole livello criminale, al punto da ricevere nel 2010 la conferma della loro «mafiosità» per effetto di una sentenza emessa dalla Corte di Cassazione.

A oggi i gruppi operanti in Italia non avrebbero comunque raggiunto i numeri sufficienti a fargli fare il salto di qualità, di risulta sono obbligate al rispetto del meccanismo concessorio applicato dalle organizzazioni criminali autoctone. Questo per il momento, ma in futuro? La storia della cosiddetta “mafia nigeriana” è emblematica, poiché essa ha esteso le sue ramificazioni in molti paesi africani.

In questo senso la diaspora nigeriana all’estero costituisce un elemento di fondamentale importanza all’affermazione di questo genere di sodalizi, soprattutto in un momento in cui le reti criminali transnazionali si trovano nelle condizioni di poter sfruttare al meglio le aperture derivanti dalla globalizzazione.

E l’Africa ben si presta a questo, date le croniche problematiche che la affliggono – mutamenti climatici, conflitti, precarie condizioni di vita, carenza di libertà – e che inducono all’emigrazione i suoi figli.

Alla fine degli anni Novanta il continente conosce un trend di crescita importante. È l’inizio di un ciclo economico positivo, che però porta con sé tassi demografici “esplosivi” e, in parallelo, anche un forte incremento della criminalità, che si sostanzia nello sfruttamento della citata nuova posizione acquisita di hub per il narcotraffico e nel business del terzo millennio, il traffico di esseri umani.

La crescita a tassi del 6 o del 7% rappresenta un fenomeno epocale che non manca di delineare ulteriori lati oscuri in un contesto dalle numerose criticità irrisolte. Come le diffuse fragilità istituzionali, che allo stesso tempo costituiscono i presupposti per la crescita della criminalità organizzata e l’ostacolo allo sviluppo sostenibile delle società. Su di esse gli effetti di tutto ciò sono destabilizzanti, poiché rischiano di collassare a causa di questi tumultuosi progetti di sviluppo. Questo, per altro, significa anche che la collaborazione internazionale tra le polizie permane difficile.

Presenza in Italia. In pratica, l’intero territorio nazionale italiano viene interessato dalle attività criminali poste in essere dai sodalizi nigeriani.

Il loro primo insediamento nel Paese viene registrato negli anni Ottanta nella zona di Castel Volturno, un’area capillarmente controllata dai locali clan camorristici, dove in particolare si mettono in luce i gruppi affiliati alla confraternita Black Axe, originaria di Benin City, che nel casertano stabilisce uno dei suoi centri principali. Sul litorale domizio i nigeriani praticano la tratta di esseri mani e lo sfruttamento della prostituzione, costringendo al meretricio giovani donne loro connazionali.

La presenza dei Black Axe viene registrata anche in Sicilia, soprattutto dal momento in cui cosa nostra deve necessariamente ricorrere ai loro servizi quando perde i collegamenti coi suoi tradizionali fornitori.

A partire dal primo decennio degli anni Duemila le caratteristiche dei gruppi criminali nigeriani si evolvono nel senso della caratura e delle dimensioni, che gli consente forme di collaborazione a livello locale con le organizzazioni attive in Italia. Mafia siciliana, ‘ndrangheta e camorra stipulano accordi con gli africani al fine di assicurarsi, anche per il loro tramite, la vigilanza del territorio. A loro volta i nigeriani pagano per praticare quelle stesse zone.

Dediti ai traffici di esseri umani e di cocaina – soppiantando così in parte i colombiani in questo genere di business, che mantengono il controllo della rotta marocchina verso la Spagna -, i nigeriani sfruttano le opportunità offertegli dalla collaudata rotta “trans-sahariana”, che dalla Nigeria attraverso Niger e Libia conduce in Italia.

In Sicilia, col tempo e pagando il “pizzo” alla mafia locale, riescono a ritagliarsi degli spazi per lo smercio al dettaglio degli stupefacenti, colmando in alcuni casi i vuoti lasciati dalle cosche in difficoltà che non riescono più a controllare il territorio come lo facevano in precedenza.

Un esempio paradigmatico di questa evoluzione viene fornito dal palermitano, dove i nigeriani insediano diverse basi, compreso il centro storico del capoluogo, agendo persino all’interno del mercato del Ballarò. Per farlo vengono a patti con i mafiosi del mandamento di Porta Nuova, articolazione della mafia in precedenza  colpita da numerose operazioni di contrasto del crimine che ne hanno depotenziato gli organigrammi scompaginandone il vertice, determinando conseguentemente un vuoto di potere sul territorio.

Ma non sono soltanto i Black Axe a commettere reati nell’isola, infatti diverse sono le confraternite nigeriane attive. Nella Sicilia orientale, vengono smantellati alcuni sodalizi collegati ai Vikings, che possono contare su loro affiliati anche al Cara di Mineo. Lo stesso gruppo, in diversa misura, è presente in Emilia Romagna, in particolare nella zona di Ferrara.

Nel medesimo periodo, le Forze dell’ordine italiane portano a termine una serie di operazioni effettuando numerosi arresti di esponenti della criminalità nigeriana. Dalle indagini condotte per anni emerge che la confraternita maggiormente presente nel Paese è l’Eiye, particolarmente ramificata al settentrione.

Gli interessi: dalla prostituzione alla droga. Se inizialmente gestivano parte della prostituzione di strada e del piccolo spaccio, adesso i gruppi nigeriani presenti nel Paese sono invece dediti a un ampio spettro di attività criminali, che spazia dalla tratta degli esseri umani al traffico internazionale di droga passando per il caporalato e altri ambiti minori come il racket dell’accattonaggio.

Dagli ultimi rilevamenti disponibili effettuati dagli organi inquirenti e risalenti al 2017, emerge che i nigeriani costituiscono il maggiore gruppo di soggetti stranieri appartenenti alla stessa nazionalità arrestati alle frontiere italiane per traffico di sostanze stupefacenti. È la riprova che questi gruppi trafficano con l’Europa ponendosi come valida alternativa alla tradizionale rotta balcanica.

Non è tanto la produzione di droga in Nigeria in sé a costituire grossi problemi (poiché essa è tutto sommato modesta), quanto la fondamentale funzione svolta per il traffico dai porti del Paese africano, che sono il luogo dello smistamento delle sostanze stupefacenti provenienti da altre zone di produzione e che da lì vengono dirette verso i mercati esteri.

Questo, seppure in Italia i gruppi criminali nigeriani in alcuni casi producano autonomamente droghe sintetiche che poi vengono immesse sulle piazze di spaccio con il consenso delle mafie locali.

Nel caso dell’eroina, va rilevato che attualmente le piazze di spaccio del Vecchio continente rappresentano una buona fetta del cespite globale complessivo, pari al 19% dei consumi, cifra che sale al 21% quando ci si riferisce invece alla cocaina. Dunque guadagni stratosferici che, per la maggior parte, vengono successivamente convogliati nel paese di origine dove vengono riciclati. Un passaggio, quello del “lavaggio” del denaro sporco che ha luogo soltanto in minima parte nel territorio italiano, un’attività residuale che solitamente investe piccoli esercizi commerciali che offrono in vendita al dettaglio prodotti etnici.

Questo evidenzia come allo specifico riguardo possano risultare scarsamente efficaci gli strumenti tradizionalmente impiegati nei confronti del contrasto e della repressione del medesimo fenomeno, però posto in essere dalle organizzazioni criminali autoctone italiane.

Contrasto. Per restare agli ultimi anni, nel 2016 le Forze dell’ordine traevano in arresto una ventina di affiliati alla mafia nigeriana, sospettati di avere costretto con la violenza delle giovani africane alla prostituzione. Tra gli arrestati figurava Kenneth Osahon Aghaku, ritenuto dagli inquirenti elemento apicale dell’organizzazione formata da almeno cento elementi.

Nel luglio del 2018, invece, in Germania veniva catturato il boss che controllava le piazze di spaccio di Venezia e Mestre, esponente di spicco della confraternita Eiye, la cui presenza, oltreché nel Veneto, veniva registrata anche a Torino, in Lombardia e in Sardegna.

L’Onu, nella sua competenza in materia di contrasto della criminalità organizzata si articola da tempo su cinque uffici regionali, due dei quali attivi nell’Africa occidentale e, allo scopo, ECOWAS e UACA interagiscono con i ministeri della giustizia di quindici paesi dell’area.

Lo Stato italiano dal 2016 si muove sulla base dei tre accordi di cooperazione rafforzata nello specifico settore che erano stati precedentemente stipulati. Un viceprefetto è distaccato presso l’Ambasciata italiana ad Abuja, mentre contemporaneamente alcuni funzionari della polizia nigeriana collaborano con le Autorità italiane nel nostro Paese. Inoltre, il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale, la Polizia di Stato, l’Arma dei Carabinieri e il Corpo della Guardia di Finanza sono impegnati in Nigeria nella formazione del locale personale di polizia, attività svolta nel quadro di alcuni programmi sostenuti e finanziati da Roma.

Quali forme assumerà e quale potenza sarà in grado di esprimere nel prossimo futuro la cosiddetta “mafia nigeriana” è prevedibile stabilirlo, infatti gli enormi proventi derivanti dalle attività criminali che pone in essere la renderanno sempre più forte socialmente, militarmente e politicamente. Per evitare questo pericoloso sviluppo, con ogni probabilità si dovranno adottare (anche) concetti e strumenti di contrasto diversi, più adeguati alla minaccia, onde ridurre l’immensa massa finanziaria che la droga gli frutta.

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