Il prossimo 5 settembre inizierà anche in Italia la distribuzione del taser alle forze di polizia, che lo potranno così sperimentare per un periodo di tre mesi l’arma definita «non letale». Con esclusione di Roma saranno dodici le città “campione” italiane interessate da questa fase di prova con i primi trentacinque esemplari donati al precipuo scopo al Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno dall’impresa produttrice, la Axon.
Spesso impropriamente indicata come «storditore elettrico», in realtà il taser è un incapacitore neuro-muscolare, cioè una macchina che mediante l’impiego della corrente elettrica è in grado di interrompere il controllo dei muscoli volontari nel soggetto contro il quale viene utilizzata.
Stringenti, almeno sulla carta, le regole di ingaggio che dovranno seguire gli agenti che ne verranno dotati, infatti essa dovrà essere mostrata in maniera evidente nonché il suo possesso da parte dell’agente dovrà venire dichiarato espressamente prima dell’utilizzo, reso possibile soltanto nei casi in cui la minaccia si configurerà come reale.
Come funziona il taser. L’arma scaglia contro il bersaglio due dardi metallici collegati a un filo che, una volta andati a segno, scaricano una corrente elettrica molto bassa che provoca nell’individuo colpito una dolorosa serie di contrazioni muscolari che (almeno teoricamente) hanno l’effetto di bloccare qualsiasi atto volontario, senza però cagionare letalità o danni permanenti. Per questa ragione i taser vengono compresi nella categoria delle cosiddette «armi non letali».
Il loro vantaggio principale è quello di offrire agli operanti una possibile soluzione di quei casi critici nei quali l’uso della forza dovrebbe essere adeguatamente controllato, al fine offrire protezione a questi ultimi, consentendogli tuttavia, al medesimo tempo, di effettuare un arresto in condizioni di sicurezza oppure di bloccare un comportamento violento senza necessariamente correre il rischio di uccidere o ferire il soggetto, ovvero, di porre addirittura a repentaglio l’incolumità di tutte quelle persone incolpevoli che in quello stesso momento si trovano nelle vicinanze.
Solitamente i soggetti colpiti si irrigidiscono e crollano subito a terra, mentre raramente vengono colti da convulsioni incontrollabili, in ogni caso la scarica elettrica provoca in essi un intenso dolore.
Il taser offrirebbe notevoli vantaggi rispetto ad altre armi non letali come gli spray irritanti, i proiettili di gomma sparati da fucili o i manganelli, strumenti che non sempre conducono a risultati soddisfacenti. Ad esempio, nei confronti di persone fortemente motivate al compimento dell’atto criminale che si propongono, oppure la cui capacità di provare dolore viene attenuata da alterazioni prodotte da preventive assunzioni di droghe o sostanze psicotrope.
Inoltre, al riguardo va rilevato che l’impiego delle tradizionali armi non letali può cagionare nell’individuo colpito gravi traumi e, in alcuni casi, anche il decesso.
Di pari passo con la sua sempre maggiore diffusione, dunque, il taser ha iniziato a evidenziare anche la sua intrinseca pericolosità.
Il primo studio scientifico relativo ai suoi effetti sul corpo umano risale al 2006, mentre nel 2013 un rapporto redatto dall’associazione non governativa Amnesty International ne collegò l’impiego al decesso di sessanta persone, registrate negli Usa tra il 2001 e il 2014. Altri studi e rapporti in seguito portarono a conclusioni diverse.
In alcuni dei casi presi in esame la morte fu conseguenza del cosiddetto «delirio eccitante», un complesso di fattori che avevano inciso contemporaneamente sul soggetto colpito dalla scarica elettrica: droghe da questi precedentemente assunte, anomali quantitativi di adrenalina secreta dall’organismo in conseguenza della dinamica dello scontro con i poliziotti, l’accelerazione del metabolismo, con le temperature corporee che salivano e il battito cardiaco in sensibile aumento, oltre i limiti sostenibili da un essere umano al punto da causare un arresto cardiaco.
Diversamente da queste, altre cause di decesso vennero ricondotte a sollecitazioni di tipo meccanico, come le conseguenze di urti con altre superfici e cadute.
Tuttavia, a partire dal 2017 anche organizzazioni come Amnesty International hanno rivisto le proprie posizioni riguardo al taser, sostenendo l’uso di tale arma purché effettuato applicando chiari parametri di natura professionale.
In Italia l’Associazione Antigone, rifacendosi ai dati di un rapporto pubblicato dalla stessa Amnesty International, ha riferito che dall’anno 2000, cioè da quando il taser venne introdotto negli Usa, ammonterebbero almeno a mille i decessi causati di questo tipo di pistola elettrica. Inoltre, numerosi studi condotti in campo medico hanno confermato la sua pericolosità (indicandone il «rischio mortale») nei confronti di persone che abbiano avuto disturbi di natura neurologica o cardiaca. Conclusioni confermate dalla stessa impresa produttrice, la statunitense Axon, che si è vista costretta ad ammettere che nello 0,25% dei casi di impiego è fondato il rischio di decesso.
In Italia la fase di sperimentazione ha preso avvio in forza del Decreto ministeriale varato il 4 luglio dello scorso anno, seppure già nel 2014 ne fosse stato previsto l’utilizzo sulla base delle statuizioni contenute nel cosiddetto «decreto sicurezza stadi».
In un suo comunicato il Dipartimento per la Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno ha altresì reso noto che «l’acquisizione della dotazione necessaria da parte delle Forze dell’Ordine avverrà solo all’esito positivo della sperimentazione», della quale è prevista una durata di tre mesi, fase rinnovabile per altri tre.
La dotazione dell’arma è stata auspicata anche per la Polizia Ferroviaria, poiché – affermano i sindacati del comparto sicurezza – «gli strumenti attualmente in dotazione, come lo spray al peperoncino, non si sono rivelati idonei ad assicurare la sicurezza dei passeggeri e del personale viaggiante».