AGRICOLTURA, emergenza alimentare, FAO, nuovo direttore generale: quattro candidati a confronto

Due di essi, Kirvalidze e Geslain-Lanéelle, si sono confrontati a Roma nel corso della conferenza “Oltre la sicurezza alimentare: le sfide del prossimo direttore generale della Fao”, evento organizzato da ISPI e Chatam House

Si giocherà tutto a breve termine, infatti è prossima la decisione sui vertici della Fao, Food and Agriculture Organization, l’organismo internazionale che ha la sua sede al Circo Massimo a Roma, in quello che fu il palazzo del Ministero per l’Africa italiana al tempo del fascismo.

Il presidente potrebbe essere un cinese, almeno questi sono i rumours, il direttore generale, invece, verrà tratto da una rosa di quattro nomi, quattro personalità di nazionalità diversa e dai trascorsi diversi, tutti però esperti di agricoltura e alimentazione.

Chi sono e da dove vengono i quattro «papabili»? Qu Dongyu, già viceministro dell’agricoltura e degli affari rurali della Cina Popolare; Ramesh Chand, economista indiano specializzato nel settore agricolo; Davit Kirvalidze, in passato ministro dell’agricoltura della Georgia; Chaterine Geslain-Lanéelle, francese, ingegnere agronomo già direttrice generale del ministero dell’agricoltura di Parigi.

Due di essi – Kirvalidze e Geslain-Lanéelle – si sono confrontati stamani a Roma in una conferenza che ha avuto luogo presso il Centro Congressi Roma Eventi Fontana di Trevi, nell’antico palazzo che ospita l’Università Gregoriana, in piazza della Pilotta.

“Oltre la sicurezza alimentare: le sfide del prossimo direttore generale della Fao”, questo l’evento organizzato dall’ISPI, l’Istituto italiani per gli studi internazionali in collaborazione con Chatam House, The Royal Institute of International Affairs.

A moderare Femi Oke, nota giornalista afro originaria di Clapham Junction, Londra, volto televisivo di varie emittenti satellitari come BBC, Sky, CNN e al-Jazeera.

Per Pinstrup-Andersen e Gerda Verburg, elementi apicali della Fao hanno introdotto la discussione e tratto le conclusioni alla fine, dopo le domande poste dai convenuti nella sala per l’occasione gremita.

La conferenza era finalizzata al rilancio nel dibattito pubblico dei temi che sostanziano la missione internazionale dell’organismo emanazione dell’Onu: non solo l’accesso al cibo e la (auspicata ma, temo, difficile) definitiva sconfitta del problema della fame nel mondo, ma anche un controllo più severo e puntuale sulla qualità del cibo che possa condurre a un livello più alto di sicurezza alimentare.

Inoltre la lotta ai cambiamenti climatici, nonché un maggiore impegno per la crescita economica e lo sviluppo cosiddetto sostenibile, fissato dalle Nazioni Unite negli obiettivi dell’agenda mondiale per il prossimo futuro.

Nel mondo la povertà è in aumento ed è difficile far coincidere gli attuali regimi alimentari con quelli della salute. Ottocento milioni di persone soffrono per carenze alimentari, le loro diete sono inadeguate poiché deficitarie di sostanze micronutrienti come il ferro e le vitamine. Vengono registrate in aumento patologie come l’anemia e l’obesità, anche in Occidente, dove per saziarsi i meno abbienti si riempiono la pancia di carboidrati e simili, che costano meno.

Nel corso della conferenza è stata sottolineata la necessità di un’azione «immediata, rapida, pronta e orientata che però eviti il deterioramento delle risorse naturali».

Ma come? La risposta fornita sostanzialmente da tutti gli intervenuti è stata quella del miglioramento degli sforzi profusi negli ultimi cinquant’anni per moltiplicare la produzione agricola mediante il ricorso agli investimenti pubblici e privati.

È necessario anche un acceso equo alle risorse e alla loro disponibilità, mentre diverso dovrebbe configurarsi l’approccio – indicato in senso omnicomprensivo – con gli altri organismi internazionali, «portandoli anche al di la dei limiti dei loro mandati». Infatti la Fao non ce la può fare da sola.

Gerda Verburg, che è stata assistente del segretario generale, ha sottolineato che «è tempo di riprogettare l’agricoltura ai fini di un sistema della nutrizione diverso, che incida sull’intera catena alimentare».

Secondo l’alto funzionario si starebbe aprendo un decennio importante che  la Fao dovrà affrontare insieme all’Oms (Organizzazione mondiale per la sanità), durante il quale si riproporrà con urgenza il divario “fame zero” e “malnutrizione”: il futuro del cibo risiede nella ricchezza degli alimenti e nella loro diversità, nella produzione di calorie e di nutrimento.

La Fao dovrebbe porsi alla guida del rinnovamento per colmare tale divario. E qui, di nuovo, i convitati di pietra, cioè i potenti portatori di interessi (nel corso dei lavori nessuno ha mai pronunciato le parole «corporation» oppure «contratti future»): l’approccio dei vari organismi internazionali alla sicurezza e all’alimentazione – si è affermato unanimemente – dovrà essere multi-stake holder, e sarà finalizzato alla caratterizzazione di ogni singolo paese.

«La Fao – ha concluso la stessa Verburg – dovrà essere più attiva nel sostegno ai governi, assicurandosi dei risultati conseguiti da questi ultimi, interagendo con loro stimolandoli, facendo sì che non si sentano isolati».

Kirvalidze si è detto convinto che il problema della fame può essere risolto solo col coinvolgimento del privato, che «è orientato al business e va quindi oltre a ciò che dicono e fanno i governi degli stati sovrani» nel futuro, ha poi aggiunto «non si dovrebbe esclusivamente fornire cibo agli affamati, bensì occuparsi anche dei consumatori: il settore privato deve avere la leadership, ma l’accesso alimentare non può prescindere dal libero commercio». Tuttavia – sempre secondo l’opinione del candidato georgiano -, attualmente il mercato non sarebbe affatto libero ed equo, «poiché i piccoli agricoltori non vi hanno accesso».

La Geslain-Lanéelle ha poi aggiunto che l’obiettivo prioritario dovrebbe essere l’ottenimento di un sistema alimentare maggiormente produttivo, visto il tasso di crescita della popolazione mondiale, allo scopo di rigenerare le risorse alimentari ed essere resilienti nei confronti dei mutamenti climatici.

«Inoltre – ha proseguito -, oggi il 30% degli alimenti prodotti va in scarto, mentre non viene adeguatamente sviluppata la catena del valore alimentare per generare nuova occupazione».

Come intervenire dunque? Secondo la candidata francese innovando, approfondendo le ricerche scientifiche. «In questo la Fao ha un ruolo di partnership: la rivoluzione digitale può rendere disponibili a tutti le conoscenze».

Secondo Pinstrup-Andersen la Fao dovrà delegare ad alcune ong (organizzazioni non governative) private alcune delle sue funzioni.

Capitolo Ogm (organismi geneticamente modificati), entrambi i candidati si sono trovati concordi sul fatto che ne vada verificata ogni tecnica che consenta dei progressi nel settore, facendo però attenzione, poiché molti dei paesi aderenti alla Fao non hanno capacità scientifiche in questo campo e quindi sono costretti a basarsi sulle informazioni che gli forniscono terzi.

Kirvalidze ha affermato che «riguardo agli ogm fino a oggi non sono state fornite prove di un loro nocumento alla salute dell’uomo – e ha chiosato che –, tutto dovrebbe essere fatto dalla scienza e la politica dovrebbe restarne fuori». A queste affermazioni la Geslain-Lanéelle ha replicato che «però, è innegabile che sia in atto un dibattito aperto nella società civile i risultati delle ricerche scientifiche non vanno certo compromessi, tuttavia si devono tenere in debita considerazione le opinioni degli altri, i governi non possono essere esclusi da questo», concludendo che la Fao deve essere la sede naturale di questo dibattito.

Quanto alla biodiversità, è stato affermato che riveste estrema importanza e che nel futuro per mantenerla dovrebbero essere costituite delle “banche dei geni”. Ma non solo: attraverso la biodiversità si dovrà pervenire a nuovi prodotti che sodisfino i gusti oggi in fase di cambiamento.

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