LIBIA, guerra civile. Haftar muove le truppe su Tripoli, forse è un bluff e il rischio è quello dello scontro finale; Parigi si mantiene ambigua, ma è difficile credere che l’uomo forte di Bengasi non abbia ricevuto “luce verde” dall’Eliseo.

Le forze al comando di Khalifa Haftar avanzano in direzione dei sobborghi della capitale. Le colonne militari del leader di Bengasi, provenendo sia da sud che lungo la fascia costiera, dove si sono attestate a poche decine di chilometri da Sirte, starebbero formando una tenaglia per stritolare il nemico.

 

«È nelle intenzioni del Libyan National Army (LNA) liberare anche la Tripolitania e la stessa “capitale dei terroristi”», questo si è letto nel comunicato ufficiale diffuso quest’oggi dal comando delle forze che fanno capo all’ex generale di Gheddafi divenuto dopo la deposizione del leader della Jamahiriyya libica un potente signore della guerra. Un proclama da far giungere a qualcuno che deve sentire e, soprattutto osservare, poiché alle parole stampate sulla carta è stata associata una spregiudicata azione di natura militare. Un’apparente colpo di mano a opera dell’uomo che, grazie alle articolate (e indispensabili) alleanze stipulate con parte dei clan, dei gruppi armati e dei beduini che vivono sul territorio, attualmente controlla buona parte del Paese.

 

Le forze di Haftar avrebbero praticamente conquistato Garian, località distante cento chilometri a sud della capitale. Il film è lo stesso già visto anche in altri teatri di guerra in Medio Oriente e in Asia centrale, con i vari warlords locali che si arrendono o si ritirano senza combattere il nemico che avanza spesso trattando con quest’ultimo (anche sul piano economico) il transito attraverso le aree che controllano. Dal canto suo, il presidente Fayez al-Serraj ha mobilitato tutte le milizie che lo appoggiano, ma la sua debolezza sul piano militare è evidente, inoltre anche lui – ma da posizioni critiche però – è condizionato e dipende da alleanze tutt’altro che solide con milizie e i ras della zona. Il premier del governo riconosciuto dalla comunità internazionale (il cosiddetto Governo di Accordo Nazionale sostenuto dall’Onu e dall’Italia) Fayez al-Serraj, ha quindi abbozzato una difesa ordinando alle sue forze, (inclusa la componente aerea) di intercettare le colonne del LNA e bombardare le sue posizioni a sud di Tripoli.

 

Ma quali sono le reali intenzioni di Haftar? Vuole davvero scatenare la guerra civile e dare la spallata decisiva all’avversario che gli ostacola il controllo totale della Libia? Sarebbe realistico pensare di controllare l’intero territorio dopo aver eliminato al-Serraj, oppure vuole solo impossessarsi dei terminali petroliferi che attualmente si trovano sotto il controllo del governo di Tripoli? Arresterà le sue truppe prima di Misurata (dove sono stanziati trecento militari italiani) o procederà oltre in uno scontro sanguinoso con la milizia di Ahmed Maitig e il “Comando della Zona Centrale”? Forse no. Magari si è prefisso obiettivi diversi, più alla sua portata, come ad esempio quello di influenzare il processo politico in atto grazie alla mediazione dell’Onu.

 

C’è chi ha acutamente sottolineato l’inevitabilità del divampare di forti tensioni con l’avvicinarsi della data di inizio della Conferenza nazionale libica, indetta a Ghadames dall’inviato delle Nazioni Unite Ghassan Salamé per il 14 al 16 aprile e annunciata dallo stesso Salamé al forum che ha avuto luogo a Palermo lo scorso novembre. Un tentativo di riconciliazione nazionale apparentemente nato male e mal digerito dagli stessi due principali protagonisti della scena libica. Alla metà del mese i rappresentanti della società civile libica dovranno riunirsi allo scopo di fornire indicazioni e aiutare le istituzioni politiche nel rilancio del processo di pacificazione del Paese, nella prospettiva di elezioni nazionali entro l’anno.

 

Evidentemente Haftar vuole sedersi al tavolo delle trattative da una posizione di forza. Mediante questa prova di forza, più a uso mediatico che strategico, Haftar ha acceso i riflettori su di sé nel tentativo di presentarsi al mondo nelle vesti del vero uomo forte della Libia, di colui che è in grado di controllare il territorio (o almeno le porzioni più importanti di esso) e debellare quella coalizione divisa al suo interno che gli si oppone. Insomma, vorrebbe indurre la comunità internazionale a “cambiare cavallo” e a puntare tutto su di lui.

 

Tuttavia le incognite in Libia non sono poche, mentre, al contrario, una sola sarebbe la «quasi certezza». Novello Rommel, nella sua travolgente avanzata Haftar sta allungando molto le sue linee logistiche, inoltre non è detto che tutto gli vada sempre per il meglio. Di Misurata si è fatto cenno, ma poi ci sono anche altri attori che in Tripolitania recitano ruoli non del tutto secondari. Come i fratelli Khani e la loro VII Brigata di Tharuna, la città sita a 65 chilometri a sud-est di Tripoli, anche loro più volte protagonisti di repentini cambiamenti di fronte nella lotta senza quartiere per il potere che ha luogo alle porte della capitale. Costoro nel recente passato non hanno esitato a ingaggiare scontri con le forze del presidente, adesso si trovano di fronte Haftar, che vuole passare per la strada che attraversa il loro territorio. Incognite, certo, ma anche possibili conferme che non si proceda troppo oltre. A conferma di quest’ultima ipotesi risiederebbero i pochi caduti nelle battaglie campali, che nella concretezza degli avvenimenti assumerebbero dunque le dimensioni di scontri limitati.

 

Esaminate le incognite, veniamo adesso alla «quasi certezza», cioè al molto probabile zampino messoci dai francesi. Già, poiché l’attacco in forze sferrato da alcune componenti del dispositivo militare di Haftar avverrebbe con il quasi certo “placet” fornitogli dalla Francia, un paese “alleato dell’Italia nella Nato ” che fin dall’inizio del caos libico ha mantenuto un ambiguo atteggiamento, dapprima forzando la mano con l’attacco di Sarkozy (e dei britannici) a Gheddafi, poi manovrando più o meno alla luce del sole (più meno che più) per appoggiare il proprio “uomo forte” sulla sponda meridionale del Mediterraneo. È infatti impensabile che l’ex generale della Jamahiriyya abbia intrapreso un’iniziativa di tale portata senza ricevere il permesso dei suoi sponsor, in particolare di Macron e dei sauditi.

 

In Libia si sta giocando una grossa partita e lo si sta facendo senza esclusione di colpi, una vera a propria «proxi war», o guerra per procura, come si ama definire oggi questo genere di conflitti. I blocchi di alleanze sono ben definiti, da una parte il debole al-Serraj con dietro Qatar, Turchia e Italia, dall’altra l’Egitto di al-Sisi (generale pure lui, patrono del libico Haftar e assillato dal pericolo dei Fratelli musulmani nel proprio paese), gli onnipresenti sauditi e gli emirati arabi.

 

Il ministro degli esteri italiano Enzo Moavero Milanesi, in trasferta a Washington per il vertice Nato, si è mantenuto costantemente in contatto con l’ambasciata a Tripoli seguendo gli ultimi della situazione in Libia. La Farnesina ha comunicato che egli si è unito al segretario generale dell’Onu António Guterres nel rammentare che «la via per la soluzione della crisi passa attraverso un dialogo inclusivo, costruttivo e responsabile fra tutte le componenti del Paese, nel primario interesse del popolo libico e di un’equilibrata stabilizzazione», aggiungendo poi che l’Italia conferma il proprio sostegno all’azione dell’inviato dell’Onu per la Libia. Ma c’è il rischio che le dichiarazioni ufficiali lascino il tempo che trovano.

 

L’Italia è isolata, lasciata da sola in Libia anche dall’alleato americano, che non ha tollerato gli atteggiamenti di Roma su molti delicati dossier quali quello venezuelano e, da ultimo, quello cinese. Per Washington sarebbero i francesi oggi gli alleati più affidabili, una loro controparte europea nel duro confronto con Pechino e Mosca, un convincimento trasversale alla politica del Congresso, che vedrebbe in sintonia repubblicani e democratici. Emmanuel Macron lo ha capito benissimo e quindi si prende le sue ampie libertà in quella parte di Africa piena zeppa di materie prime e di instabilità, dimenticando per un istante anche la problematica e costosa sovraesposizione militare francese nella regione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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