Presentato il Rapporto OCSE sullo stato dell’economia italiana, le previsioni elaborate dall’organizzazione internazionale indicano a una situazione di stallo. Secondo l’OCSE, nel 2019 il Pil (prodotto interno lordo) italiano si attesterà allo -0,2%, mentre per l’anno successivo viene previsto un incremento allo 0,5%. Critiche rivolte nei confronti dei principali provvedimenti di politica economica assunti dal governo presieduto dal Giuseppe Conte, in particolare il reddito di cittadinanza e “quota cento” sulle pensioni, che secondo gli analisti faranno lievitare il disavanzo pubblico dal 2,1% del Pil registrato nel 2018 al 2,5% nel 2019 mentre, contestualmente, il debito pubblico salirà al 134 per cento. L’OCSE chiede inoltre che venga abrogata la quota cento che ha modificato le previgenti norme in materia di pensionamento anticipato dei lavoratori perché «oltre ha incrementare le diseguaglianze intergenerazionali e a incrementare il debito pubblico, se il governo italiano tornasse sui propri passi si libererebbero quaranta miliardi di euro che nei prossimi anni», questo mentre «il reddito di cittadinanza – prosegue la nota nel Rapporto OSCE – incoraggerà il lavoro sommerso».
Il ministro dell’Economia e delle Finanze Tria ha replicato che il risultato sarà invece migliore di quanto previsto dall’OSCE, un commento al quale si è associato il vicepresidente del Consiglio Salvini, che ha affermato che «quota cento porterà lavoro e crescita», mentre il Presidente del Consiglio ha espresso il suo forte dissenso nei confronti delle previsioni contenute nel rapporto OSCE, aggiungendo che sono stati sottostimati gli effetti della manovra, annunciando infine che «presto verrà varato un piano di investimenti e riforme senza precedenti».
In un vertice che ha avuto luogo a Palazzo Chigi Conte ha avrebbe avuto un duro confronto col ministro Tria, attaccato anche dal Movimento 5 stelle per un suo presunto conflitto di interessi. Il 10 aprile dovrà essere presentato il Documento di economia e finanza (Def), dal quale – a meno che non si tratti di un Def “tendenziale” che rimandi tutto alla legge di stabilità in autunno – dovrebbero emergere le linee guida della politica economica dell’esecutivo in carica. È dunque il momento dell’apertura dei cassetti e della fuoriuscita dei dossier scottanti? Lo scontro intestino al governo sta entrando nella sua fase decisiva? Possibile. In ogni caso il problema permane irrisolto: in che modo si potranno sterilizzare le clausole di salvaguardia nel 2020? Con ulteriore disavanzo pubblico, come affermano alcuni esponenti della coalizione gialloverde, o magari presentandosi a Bruxelles a richiedere l’applicazione della cosiddetta golden rule, che permetterebbe di scorporare le spese per investimenti (magari quelli «senza precedenti» annunciati da Conte) dal deficit considerato come riferimento dai parametri del Patto di stabilità e crescita?
I nodi vengono al pettine, adesso si dovrà decidere sulle spinose questioni ormai non più eludibili. Tra poco ci saranno le elezioni europee e poi… poi l’Italia se la dovrà vedere in primo luogo con i mercati e le agenzie di rating. Il Def sarà infatti il riferimento sia dell’unione europea che dei mercati finanziari, laddove qualora verrà ingenerata ulteriore incertezza nei potenziali investitori si accentueranno di conseguenza le difficoltà nel collocamento dei titoli del debito pubblico nazionale in scadenza e si tratta di 250 miliardi, euro più euro meno.
Per l’intanto, Via XX Settembre rende noto che nel mese di marzo di quest’anno il saldo del settore statale si è chiuso in via provvisoria con un fabbisogno di 20.200 milioni di euro, quindi in diminuzione di circa 900 milioni rispetto al risultato del corrispondente mese dello scorso anno (che era di 21.118 milioni). Il fabbisogno dei primi tre mesi dell’anno in corso è invece di 28.569 milioni, in aumento di circa 1.600 milioni rispetto a quello registrato nel primo trimestre del 2018. Nel confronto con il corrispondente mese del 2018, dal lato degli incassi il saldo ha beneficiato di un aumento di circa 2.400 milioni, cui hanno contribuito maggiori incassi fiscali per circa 1.000 milioni oltre ai proventi delle aste delle quote CO2 per un importo pari a 1.452 milioni. Infine, dal lato dei pagamenti si è registrato un aumento di circa 1.500 milioni, cui hanno concorso in maniera significativa i maggiori prelevamenti dai conti di tesoreria intestati all’Inps per circa 400 milioni e le uscite per interessi del debito pubblico, risultate in aumento di circa 800 milioni.