È iniziato oggi il viaggio pastorale del pontefice in Marocco. Si tratta del ventottesimo compiuto da Bergoglio, il terzo per lui in un paese a maggioranza musulmana, il primo nel 2017 in Egitto seguito da quello negli Emirati arabi uniti.
Al suo arrivo all’aeroporto è stato accolto dal sovrano, nell’occasione accompagnato dal principe ereditario Moulay Hassan e dal fratello, il principe Moulay Rachid, che lo hanno ricevuto con datteri e latte di mandorla. Le autorità marocchine sono molto interessate a una visita fortemente improntata allo sviluppo del dialogo interreligioso. Un tema estremamente caro anche al pontefice, che due mesi fa, durante lo storico viaggio negli Emirati arabi uniti ha firmato insieme al grande imam della massima istituzione sunnita, l’Università di Al Azhar del Cairo (lo sceicco Ahmed al-Tayeb) un «documento sulla fratellanza umana» che richiede la libertà di credo e di espressione e la piena cittadinanza per le minoranze discriminate.
L’attuale visita al Regno alawide (la forma di governo del Marocco è una monarchia costituzionale) ha luogo in una fase di revisione delle relazioni internazionali della Santa Sede, in particolare con la Cina popolare, avviato, tra gli altri, dal Segretario di Stato vaticano, arcivescovo Pietro Parolin.
Seppure risalenti nel tempo, i rapporti tra le due cancellerie conobbero una intensificazione a seguito dell’incendio nella moschea al-Aqsa, quando si addivenne a un primo scambio epistolare tra Hassan II e Paolo VI. Sempre durante il pontificato di Montini, alcuni Paesi nordafricani stabilirono relazioni diplomatiche col Vaticano, l’Algeria e la Tunisia lo fecero nel 1972, mentre nel 1972 in Arabia saudita, nella citta di Jeddah venne istituito il Comitato al-Quds (Comitato per Gerusalemme) nell’ambito dell’Organizzazione della Conferenza islamica, la cui prima sessione venne presieduta dal sovrano del Marocco.
Le relazioni diplomatiche tra Marocco e Santa Sede vennero stabilite nel 1976 e, in seguito, si cementarono cinque anni dopo con la visita di re Hassan in Vaticano, il primo sovrano musulmano a farlo, che chiese a Giovanni Paolo II di ricambiare la visita nel suo Paese. Wojtiła lo avrebbe fatto nel 1985, quando al ritorno dal suo viaggio in Africa si fermò una giorno a Casablanca, dove incontrò migliaia di musulmani. Fu nel 1997 che Rabat aprì una rappresentanza diplomatica permanente oltre Tevere. Nel 1997 un altro sovrano marocchino, stavolta Mohammed IV, tornò in visita in Vaticano.
Dal 1976 le relazioni bilaterali conobbero anche diversi momenti di crisi, ad esempio, in occasione della crisi nel Sahara occidentale che oppose il Marocco al Fronte del Polisario, Rabat rimproverò alla Santa Sede di mantenere una posizione neutrale. In un altro momento, molti anni dopo, l’ambasciatore marocchino sarebbe stato richiamato in patria per alcuni giorni in segno di protesta contro la famosa “lezione di Ratisbona” fatta da papa Benedetto XVI.
Non sempre tutto andò per il meglio, poiché i rapporti conobbero acuti picchi di tensione, come quando nel 2010 centinaia di cristiani giunti in Marocco da vari paesi vennero arrestati e poi espulsi dal Regno sulla base di un’accusa di “proselitismo”. Nel sistema penale marocchino è presente il reato di apostasia, tuttavia, solitamente a prevalere è la tolleranza e quindi esso non viene mai applicato, però non mancarono critiche e ammonizioni rivolte alla Chiesa. Come quelle di Abdelouhab Maalmi, ambasciatore presso la Santa Sede dal 1997 al 2001, che giunse a sottolineare come «l’insistenza del Vaticano sul tema della libertà religiosa» – che oltre Tevere viene considerata la prima di tutte le libertà, oltreché fondamento dei diritti umani – costituisse una fonte di tensioni non solo col Paese nordafricano, ma con la maggioranza dei musulmani.
Oggi, nel suo discorso al popolo marocchino, il papa si è espresso nel senso della «gratitudine che si trasforma in importante opportunità per promuovere il dialogo interreligioso e la conoscenza reciproca tra i fedeli delle nostre due religioni – aggiungendo che – l’incontro e la mano tesa sono una via di pace e di armonia per l’umanità, laddove l’estremismo e l’odio sono fattori di divisione e di distruzione».
«È indispensabile opporre al fanatismo e al fondamentalismo la solidarietà di tutti i credenti – ha concluso Bergoglio -, avendo come riferimenti inestimabili del nostro agire i valori che ci sono comuni». Infine, un appello non previsto dal protocollo per Gerusalemme, Francesco lo ha firmato assieme a Mohammed VI allo scopo di preservarne lo stato di città santa. «Noi riteniamo importante preservare la Città santa di Gerusalemme/Al Qods Acharif – vi si legge – come patrimonio comune dell’umanità e soprattutto per i fedeli delle tre religioni monoteiste, come luogo di incontro e simbolo di coesistenza pacifica, in cui si coltivano il rispetto reciproco e il dialogo. A tale scopo devono essere conservati e promossi il carattere specifico multi-religioso, la dimensione spirituale e la peculiare identità culturale».